mercoledì 30 aprile 2014

UNA GRANDE FEDE



La serva entrò nella stanza e spense la luce della lanterna ad olio. Fuori cominciava ad albeggiare. Si avvicinò all’uomo addormentato sulla sedia accanto al letto e gli posò la mano sulla spalla: “Mio signore, svegliatevi, è già l’alba”.

L’uomo aprì lentamente gli occhi, appesantiti dal sonno, mettendo a fuoco il volto dell’anziana donna che gli sorrideva affettuosamente.

“Avete dormito ancora sulla sedia, padrone. E’ già una settimana che non riposate nel vostro letto. Vi ammalerete anche voi!”

“Rachel, come potrei dormire lontano dal suo giaciglio?” le domandò indicando la figura distesa nel letto, “potrebbe aver bisogno di me durante la notte”.

“Yehoyakin ormai è in queste condizioni da settimane, padrone. Dobbiamo rassegnarci alla sua malattia” ribatté scuotendo il capo tristemente.

Gli occhi del centurione si velarono di lacrime. Ormai piangeva di continuo, non mangiava quasi più nulla e la notte rimaneva al capezzale del suo amato che stava spegnendosi pian piano. Rachel era profondamente affezionata al suo padrone. Pur essendo un soldato romano, era un uomo buono. La maggior parte dei soldati invasori erano feccia, si comportavano in maniera violenta con loro, avevano ridotto in povertà tutto il popolo ebreo, esigevano tributi, razziavano i campi, depredavano il loro bestiame e violentavano le loro donne. Cornelio no, era un uomo buono e gentile. Per loro aveva fatto costruire persino una sinanoga, più ampia di quella che avevano prima. Pur essendo a capo di una guarnigione numerosa e persona importante agli occhi del governatore Pilato, nonché dotato di ricchezza perché figlio di una famiglia patrizia latina, egli si comportava gentilmente con la sua servitù e non aveva mai alzato le mani su di loro. Provvedeva a nutrirli e ai loro bisogni. Era bello vivere nella sua casa, era come se fossero una famiglia e Rachel si era affezionata a lui come se fosse suo figlio, quello che purtroppo non aveva mai avuto. Yehoyakin era ebreo, figlio della sorella di Rachel, che era morta l’anno prima. Il servo era di qualche anno più giovane di Cornelio. Di lui il centurione si fidava come di se stesso e sapeva che l’uomo gli era profondamente riconoscente. Il loro rapporto si era andato approfondendo sempre più: prima li legava una profonda amicizia, poi una mutuale devozione ed infine tra loro era sbocciato anche l’amore. Ora Yehoyakin era un “Pais”, che in ebraico ha il significato di amante di un uomo socialmente più elevato. Ma il nipote stava morendo e la donna pregava che la morte venisse presto a liberarlo della sua infermità. Stava soffrendo e faceva anche soffrire Cornelio. Rachel sapeva che presto si sarebbe ammalato anche lui se avesse continuato a trascurarsi a quel modo. La donna aprì la tenda per fare entrare un po’ di sole nella stanza, poi raccolse le cose che il padrone aveva abbandonato sul tavolo e si diresse in cucina. La cuoca, che era già al lavoro, si voltò verso di lei mentre stava tagliando delle zucchine: “Come sta?” chiese ansiosa.

“Come sempre, Miriam. Si sta spegnendo sempre più e Cornelio non lo lascia solo per un attimo. Si sta distruggendo anche lui” rispose passandosi una mano sul viso in un gesto di disperazione.

“Che situazione penosa” sospirò la cuoca. “Sai, mi hanno detto che quell’uomo di Nazareth, quello che dicono sia un profeta, sta arrivando qui in città”.

“Qui a Kefarnahum? E che ci viene a fare in questo posto sperduto?” domandò Rachel.

La cuoca non aveva una risposta e ignorò la domanda: “Dicono che faccia miracoli! Ha cambiato l’acqua in vino a Canaan, e ha guarito un cieco a Betsaida ed uno zoppo a Corazìn. Dicono che sia un guaritore”.

Rachel si animò immediatamente, poteva essere l’occasione giusta per poter guarire Yehoyakin: “Ti hanno detto dove è diretto?”.

“No, ma posso mandare Samuél a vedere se riesce a scoprirlo” propose Miriam.

“Andrà certamente alla sinagoga. Manda Samuél ad avvisare il rabbino, che lo faccia venire qui a casa del Centurione, è tempo che Eliah ripaghi il nostro signore per avergli donato il nuovo tempio”.

Rachel corse ad avvisare il padrone e la casa si trasformò immediatamente in un via vai di gente, furono pulite tutte le stanze e venne rigovernato il patio centrale, furono spolverati i mobili e lucidati i bronzi e gli ottoni degli ornamenti. Il centurione vestì la sua alta uniforme anche se non gli calzava più a pennello. Fu preparato il pane azzimo e la frutta più fresca, venne attinta l’acqua fresca al pozzo e preparato il vino migliore. Non avevano ancora finito di riordinare tutto che Samuél entrò a perdifiato dal portone: “Sta arrivando, sta arrivando!”.

Cornelio corse al portone per ricevere l’ospite, la servitù si mise appena dietro di lui in posizione schierata. Tutti speravano che Jeshùa fosse veramente un guaritore e non un cialtrone come tanti altri che percorrevano in lungo e in largo la Palestina.

Dopo un po’ di attesa snervante, dal fondo della strada finalmente arrivò un drappello di gente. Davanti c’era la scorta romana che Cornelio aveva inviato. Quando furono davanti al loro capitano, lo salutarono con il braccio destro alzato e si scostarono a lato.

Il rabbino Eliah si avvicinò a Cornelio e lo abbracciò affettuosamente, anche lui voleva bene al romano, non solo gli aveva donato una nuova sinagoga, ma era anche un uomo corretto e degno di rispetto: “Amatissimo figlio, ti reco in visita il rabbino Jeshùa di Nazareth come hai richiesto”.

Eliah si voltò e un uomo, tra quelli del gruppo, fece qualche passo verso il centurione. I suoi occhi si posarono in quelli di Cornelio e il romano fu come se vedesse il sole per la prima volta. Lo sguardo di Jeshùa sembrava leggergli nel cuore, si sentì letteralmente invaso dalla presenza di quell’uomo. La grandezza e la maestà del Nazareno erano palpabili, il soldato capì di essere una nullità nei suoi confronti. Eliah lo presentò dicendo: “Rabbunì, costui è Cornelio, centurione romano giusto e magnanimo. Egli ama la nostra nazione ed è lui che ha fatto costruire la nostra sinagoga”.

Jeshùa abbassò lievemente il capo in un cenno di saluto, poi gli sorrise.

Facendosi coraggio Cornelio si inchinò al profeta e disse: “Signore, non son degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola e il mio amatissimo Pais sarà salvato. Io sento che sei un uomo di potere. Anche io sono un uomo sottoposto all’autorità di altri e sotto di me ho dei soldati. Quando dico a uno ‘vai’, egli va, o ad un altro ‘vieni’, egli viene. Quando dico al mio servo ‘fa questo’ egli lo fa. Per cui ti imploro, rabbunì, salvalo”. Poi quell’uomo grande e grosso ma anche piccolo e insignificante, scoppiò in lacrime, inchinato di fronte a chi era più grande di lui.

Nessuno fiatava. Il silenzio aveva il dominio della scena.

Jeshùa era meravigliato dalle parole del soldato romano, finalmente dopo quello che sembrava un secolo si rivolse alla folla intorno a loro e disse: “Io vi dico che non ho mai trovato una fede così grande in nessun abitante d’Israele!” Poi si rivolse a Cornelio e gli sorrise nuovamente: “Ecco, sia fatto come hai creduto”.

Il Nazareno alzò il braccio indicando la porta della casa di Cornelio e tutti videro uscire Yehoyakin, ancora un po’ vacillante sulle gambe ma con un sorriso radioso. Il romano corse incontro al suo amatissimo uomo che era stato salvato da Jeshùa, figlio di Dio. Il Messia non li aveva condannati per il loro rapporto omoaffettivo, non era scappato scandalizzato, non li aveva maledetti o maltrattati, nè derisi e sbeffeggiati. Li aveva benedetti per la loro grande fede e per il loro amore. Cornelio e Yehoyakin si abbracciarono felici e si volsero verso il Salvatore.

L'uomo aveva già voltato loro le spalle ed aveva ripreso il suo cammino.

martedì 29 aprile 2014

UN LENTO

Carissimi frequentatori del Blog, le favole di Papà Eagle vi danno un arrivederci con questa settimana. Purtroppo il materiale a mia disposizione è momentaneamente esaurito. Dopo 102 post su questo tema, ritorneranno quando la redazione (leggi = detentore del Blog), troverà qualcosa di appetibile da postare. Nel frattempo. il martedì ospiterà le recensioni dei libri e dei film che ho letto o visto.


UN LENTO - Jeff Erno - Dreamspinner Press

Trama:

Per sei anni Rex Payton si è concentrato su due cose: mantenere a galla il bar che ha ereditato dal padre in una piccola città del Kentucky e crescere suo nipote, Tyler. Dopo la tragica perdita dei genitori e della sorella, Rex non è interessato all’amore. È rispettato nella sua comunità ed è considerato fra gli scapoli più desiderabili di Carlisle, ma ha accettato che la sua vita non sia destinata a una relazione romantica, considerate soprattutto la sua riservatezza e la sua omosessualità.
Fa il suo ingresso sulla scena Josh Billings, uno studente di veterinaria che sta facendo tirocinio in città. La passione più profonda di Josh è aiutare gli animali. L’amore è quanto di più lontano ci sia dalla sua mente… fino alla notte in cui incontra il taciturno, bellissimo Rex Payton. Il caso e un ballo lento dopo l’orario di chiusura cospirano per forgiare un’intima connessione che nessuno dei due cercava, ma che nessuno dei due può ignorare, perché quel lento porta dritto a un bacio.
Improvvisamente l’amore non è più così insignificante, ma nemmeno senza complicazioni. Affinché questa relazione funzioni, Josh dovrà decidere se se la sente di uscire con un papà single, Rex dovrà aprire il suo cuore, e Ty dovrà imparare a condividere con un’altra persona l’affetto di suo padre.

Voto:

Avete presente l'effetto Domino? Le famose tesserine che si buttano giù costruendo trame intricate (ma volendo anche lineari) cadendo l'una sull'altra. L'effetto che mi ha fatto questo libro è il medesimo. Oppure ancora, mi è venuta in mente un’altra immagine, un ricordo: da piccolino, sulla spiaggia dell’Adriatico giocavo con le bilie (vi sfido a fare una pista da bilie sulla spiaggia della Liguria). Mi piaceva fare una montagna abbastanza alta, per poi costruire la sinuosa pista che la attraversava e, dall’alto, vedere la pallina che arrivava senza intoppi fino alla meta. Stesso effetto. Già nel primo capitolo i due personaggi si scambiano il primo bacio. E che cavolo? Mi son detto. Niente storia prima… e dopo cosa verrà? Invece proprio da quel primo bacio si svolge una storia semplice, tutta in discesa, proprio come le piste dell’Adriatico o delle tessere del domino. Una storia che potrebbe essere assolutamente vera. Come veri sono i personaggi, in lotta con i problemi di tutti i giorni ma travolti, e sottolineo questo verbo, da una passione d’amore che li legherà indissolubilmente l’uno all’altro e al loro piccolino. In tre, perché sono in tre a costruire questo rapporto affettivo e destinati ad essere non una coppia ma una famiglia. Una storia garbata, senza fronzoli letterari. L’unica stonatura me la fornisce la scena dell’assistente sociale che trovo “politically incorrect”. Ma anche questo ci sta. Una storia d’amore così travolgente la si trova in pochi libri. Bravo dunque a Jeff Erno per essere stato così semplice e dolce nella sua narrazione. Grazie per averci regalato due personaggi sinceri e passionali, anzi tre con l’adorabile Ty. Grazie per aver toccato tematiche varie quali il coming out e l’omofobia religiosa, la discriminazione, l’ingiustizia e la corruzione legale, le famiglie omoparentali e il provincialismo bigotto. Un libro che si vorrebbe veder realizzato in pellicola. Posso scegliere i personaggi principali? Chuck Wicks nei panni di Rex e Jeremy Sumpter in quelli di Josh (rispettivamente qui sotto).


NB Il voto è del tutto soggettivo e viene strutturato ad un massimo di cinque stelle: scarso, sufficiente, discreto, ottimo, eccellente.

lunedì 28 aprile 2014

DUE AMANTI FELICI



Due amanti felici fanno un solo pane,
una sola goccia di luna nell’erba,
lascian camminando due ombre che s’uniscono,
lasciano un solo sole vuoto in un letto.

Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s’uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.

E’ la felicità una torre trasparente.

L’aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.

Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.

-Pablo Neruda -

domenica 27 aprile 2014

A PORTE CHIUSE



II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO A)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv. 20, 19-31)

Dopo la morte di Cristo, gli apostoli rimasero soli. Ebbero paura al punto di rinchiudersi per il timore delle persone malevoli. Avevano vissuto tre lunghi anni con il Maestro, ma non l’avevano capito, al punto che Cristo dovette rimproverarli seriamente (Lc 24,25). Non l’avevano capito perché il loro modo di pensare restava troppo terra terra. Vedendo Cristo impotente e senza coscienza sulla sua croce, essi avevano gettato tutt’intorno sguardi impauriti, dimenticando ciò che era stato detto loro: “Vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22). Ed ancora: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).
I discepoli si rallegrarono al vedere Cristo, furono rassicurati dalle sue parole: “Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo!”. Ma essi dovettero attendere la Pentecoste perché lo Spirito Santo venisse a purificare i loro spiriti e i loro cuori, a dare loro il coraggio di proclamare la gloria di Dio, di portare la buona novella agli stranieri e di infondere coraggio ai loro seguaci. Dio si è riavvicinato agli uomini ed essi si sono rimessi nelle sue mani, per mezzo di Cristo e dello Spirito Santo.
Concedendo agli apostoli il potere di rimettere i peccati, Cristo ha detto loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). Come Cristo ha fatto con gli apostoli, così il vescovo, imponendo le mani ai sacerdoti che vengono ordinati, trasmette oggi il potere dello Spirito Santo, che permette loro di dispensare i sacramenti e, attraverso di essi, di assolvere i peccati. Ogni sacramento, non solo evoca il ricordo di Cristo, ma è Cristo in persona, che agisce immediatamente per salvare l’uomo. Nel dispensare i sacramenti, la Chiesa si mette in un certo senso ai piedi della croce per portare la salvezza ai credenti. Come potrebbe quindi dimenticare la fonte dalla quale scaturiscono le grazie di salvezza che sgorgano dalle sue mani?
Dio realizzerà il suo più grande desiderio, renderà l’uomo felice se egli lo vorrà, se risponderà “sì” al Padre che gli offre la gioia, a Cristo che gli porta la salvezza, allo Spirito Santo che gli serve da guida.
Dio non impone il suo amore agli uomini. Egli attende che l’uomo stesso faccia un passo in avanti. Dio salva chi si apre a lui per mezzo della fede, della speranza e dell’amore. Dio si avvicina, e anche l’uomo deve avvicinarsi a lui. Allora Dio e l’uomo si incontrano sullo stesso cammino, in Cristo, nella sua Chiesa.
Cristo non è solo uomo, né solo Dio. È Dio e uomo allo stesso tempo; grazie a questa duplice natura, egli è come un ponte teso tra l’umanità e Dio. Questo ponte sarebbe rimasto deserto - né gli uomini né Dio vi avrebbero messo piede - se la causa della discordia e della separazione - il peccato - non fosse stata soppressa. Il sacrificio offerto a Dio da Cristo ha cancellato le colpe passate, presenti e future. “Egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,27). Da allora gli uomini possono “per mezzo di lui accostarsi a Dio” fiduciosi del fatto che “egli resta sempre” (Eb 7,25).
Così, per la sua natura prodigiosa e il suo sacrificio completo, Cristo è il solo Intercessore e Sacerdote Supremo. In Cristo, gli uomini ritornano al Padre. In Cristo il Padre rivela agli uomini l’amore che egli porta loro.
È sempre più facile avvicinarsi a Dio prendendo la mano caritatevole che il Padre tende all’uomo per aiutarlo a seguire Cristo, nostro Redentore. Tale è il senso del salmo che evoca l’uomo miserabile il cui grido giunse fino agli orecchi del Signore, e che fu liberato dai suoi mali.

sabato 26 aprile 2014

venerdì 25 aprile 2014

NOZZE GAY, LA CHIESA SBAGLIA


Articolo tratto dal giornale Il Tirreno dell'11 aprile 2014, p.2

«La CEI definisce uno strappo, una fuga pericolosa fuga in avanti la decisione del tribunale di Grosseto sul matrimonio gay? Mi dispiace per la CEI, il Vangelo della vita che pratico ogni giorno e quello di Gesù m'inducono a dire che è un crimine non equiparare a un matrimonio l'unione civile che si basa sull'amore».
Don Alessandro Santoro, della comunità delle piagge di Firenze, non rinuncia al suo anticonformismo e senza mezzi termini va contro all'opinione della conferenza dei vescovi: «Se c'è amore vero anche tra persone dello stesso sesso, vuol dire che c'è la mano di Dio». Tanto più che «niente va ad alterare il matrimonio tradizionale. Non riconoscere un amore equivale a contraddire Dio e il Vangelo»
Quanto forte sia l'aria di l'aria di fronda nella chiesa lo conferma Mauro Vaiani, volontario dei progetto associativo"Gionata.org" che lavora attorno al rapporto tra fede e omosessualità: «La sentenza non mi sorprende, far finta che gli omosessuali non si debbano sposare rappresenta una forzatura.
La CEI si oppone? Pazienza. Io so che nei gruppi (ndr di cristiani) omosessuali stiamo ascoltando i temi delle coppie gay e certi ambiti cristiani sono anche più avanti. E' un processo che non può essere fermato. Tra le domande di preparazione al sinodo sulla famiglia d'inizio autunno c'è quella su cosa unioni omosessuali».

giovedì 24 aprile 2014

TATTOO GNOCCHI

Ed eccoci al giovedì, e come ogni giovedì che si rispetti: Gnocchi!!!!!!! Personalmente non amo molto i tatuaggi, li trovo volgari e penso che deturpino la pelle. Tuttavia riconosco che alcuni possano essere anche molto belli, qui sotto ne abbiamo dei buoni esempi. Ma siccome lo Zio Eagle vi vuole bene, e non è assolutamente razzista (quando una cosa è buona, è buona anche con il tatuaggio), ho preparato per voi un piatto decorato con i tatuaggi, appunto. Qundi buon appetito anche che per questa settimana.


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mercoledì 23 aprile 2014

PIOGGIA E TIRAMISU'


Domenica pomeriggio senza niente da fare. Che noia. Odio buttare via le mie domeniche e, in genere, i miei fine settimana in questa maniera. Durante il sabato avevo studiato biologia, avevo un esame lunedì mattina e, per una regola che mi sono prefissato, non si studia il giorno prima dell’esame. Mio fratello era uscito con la sua nuova ragazza, una biondina svampita che, ne ero certo, era tutta casa e chiesa fuori, ma nelle cui mutandine doveva esserci senz’altro un semaforo che controllasse il traffico dei mezzi in movimento, da tanti che ne vedeva passare all’incrocio! Comunque non era affar mio. Se mio fratello si voleva far del male, che facesse pure. Così, sedevo di fronte alla televisione a fare un po’ di zapping e mi stavo annoiando mortalmente. Anche se fuori pioveva, il caldo era insopportabile e il ventilatore girava allegramente sulla mensola della libreria, creando un leggero vortice di aria fresca. Ero quasi dell’idea di guardarmi un film in DVD, quando sentii mia madre dalla cucina urlare che c’era Ruggero al telefono. Perché cercava me? Dovete sapere che Ruggero è il migliore amico di mio fratello. Sono innamorato da lui da sempre. Ovviamente lui non sa e non sospetta nulla, almeno spero. Mi alzai annoiato dal letto della mia cameretta e mi avviai verso la cucina rispondendo alla cornetta: “Pronto?”

“Hei, campione! Che stai facendo?” mi chiese allegramente.

“Niente. Non ho nulla da fare, e tu?” borbottai sufficientemente annoiato.

“Mi sto rompendo allegramente le palle” fu la sia risposta. “Tuo fratello, da quando si vede con Mariella, mi dà continuamente buca. Ti va di andare a prendere un gelato?”

“Ma se sta piovendo!”

“Perché? Il gelato non si mangia quando piove?” chiese ironico.

Guardai fuori dalla finestra, stava diluviando in quel momento. “Non me la sento di uscire. Vieni qui da noi che mamma ha fatto il tirmisù, piuttosto” sbuffai annoiato.

“Grande! Adoro il tiramisù di tua madre.” esclamò entusiasta “Sono subito lì”.

Ruggero abita nella nostra via, due case più in là, quindi calcolai cinque minuti di tempo, misi giù il telefono e urlai a mia madre che stava arrivando Ruggero. Giusto per assicurarmi che lei non avesse ancora la vestaglia di casa addosso. Passando davanti alla porta del salone vidi mia madre seduta elegantemente sul divano, perfettamente vestita con gonna in tweed e una camicetta di seta in tinta,  con un libro in mano e gli occhiali da leggere nell’altra, mi guardò come se avessi le antenne sulla testa. Dimentico sempre di essere il figlio di una donna e di un uomo che rasentano la perfezione.

Decisi che era il caso di dare una sistemata, ogni volta che viene Ruggero a casa nostra, cerco di fargli una buona impressione. Insomma, sapete com’è quando si è innamorati di una persona. Ed io avevo una cotta per lui da qualcosa come… che so? Dieci anni? Forse di più. Comunque sia, sistemai il copriletto, misi via i libri di scuola, mi infilai una maglietta pulita perché ero a torso nudo per il caldo e spensi il televisore.

Io e mio fratello siamo gemelli. Aspettate, prima di dire “Che bello”! Fortunatamente siamo eterozigoti, completamente diversi. Sì, ci si assomiglia un poco, ma siamo proprio il giorno e la notte, anche caratterialmente. Volete un esempio? Lui sta facendo ingegneria aerospaziale, io scienze naturali. Lui frequenta una squadra di calcio e ci riesce anche bene, io faccio atletica e faccio pena. Lui adora la musica Heavy Metal, io la musica pop in genere. Nel tempo libero lui va in bicicletta e in skateboard, io dipingo e adoro cucinare. Chi è quello gay, secondo voi? Basta dirvi che Paolo è un etero convinto mentre io, crescendo, mi devo essere guastato da qualche parte e sono omo. Non che si veda, per carità. Non vado in giro sculettando e con i polsi slogati, vestito alla moda e con colori inguardabili. Sono frocio dentro, insomma, non fuori. Comunque lui è il classico tipo che va forte con le ragazze, ne cambia una alla settimana o quasi. Io invece ancora non ho trovato il ragazzo che faccia per me. Forse perché sono troppo innamorato di Ruggero per rimaner infatuato da qualcun altro.

Il campanello della porta suonò distogliendomi dai miei pensieri, andai ad aprire e mi trovai davanti al sogno erotico della mia pubertà “barra” adolescenza: in tutto il suo splendore. Mi sorrise e mi colpì la spalla con un leggero pugno. “Ehi, campione! Ciao Clara” gridò a mia madre dall’anticamera.

“Ciao Ruggero, come sta la mamma?” chiese lei, più per dovere che per interesse, mia mamma e Lucia si sentivano quasi ogni giorno.

“C’è la zia da noi, stanno chiacchierando del più e del meno. Le ho lasciate in sala mentre stavano discutendo sull’ultimo film di Eastwood. Ha detto di fare un salto da loro se hai voglia di un tè”.

Ci infilammo in cucina, lui si sedette al tavolo e io aprii il frigorifero, presi la terrina del tiramisù, tolsi la pellicola trasparente e tagliai un’abbondante fetta di dolce che servii su un piatto e lo appoggiai davanti al mio Sig. Polluzione Notturna Personale. Mi sorrise in ringraziamento e dopo essersene gustato un’abbondante boccone, che avrebbe fatto invidia ad un pitone, urlò a mia madre in apprezzamento: “Clara, è fantastico questo tiramisù. Ti sei superata!”.

“Grazie, tesoro” rispose mia madre.

Ruggero e noi siamo praticamente cresciuti come cugini. Le nostre mamme sono due vecchie amiche dell’oratorio che sono amiche da sempre. Ora che mi ricordo sono entrambe testimoni di nozze l’una dell’altra. Con le nostre famiglie abbiamo fatto parecchie vacanze insieme in passato. Ruggero ha un anno più di noi, ma in prima liceo è stato bocciato ed è finito in classe con mio fratello, io invece ero in un’altra sezione, così la loro amicizia si è saldata maggiormente. A me toccava guardarlo da lontano, sospirare di desiderio, me lo vedevo gironzolare per casa, lo ammiravo sulla spiaggia in vacanza, disteso al sole in costume da bagno o studiando i suoi muscoli mentre giocava a pallavolo.

Un tormento!

Mia madre entrò in cucina, con l’ombrello in mano: “Ragazzi, vi lascio soli, se non vi dispiace. Vado da Lucia a prendere il tè che mi ha promesso”.

Così rimanemmo in casa da soli. Presi due bicchieri e versai del succo di frutta. Ruggero finì il dolce e me ne chiese un altro bicchiere. “Ma quanto è buono il tiramisù di tua madre?” chiese retoricamente, quindi ruttò sonoramente.

“Altezza Reale, che finezza!” gli dissi per prenderlo in giro.

“Principessa!” rispose facendomi un inchino con la testa.

Sentii una punta di dubbio trapanarmi il cervello, l’aveva detto apposta al femminile? Sospettava qualcosa? Decisi di cambiar discorso: “Che facciamo? Guardiamo un film?”. Presi il piatto e i bicchieri, li sciacquai nel lavello e li misi in lavastoviglie. Poi uscii dalla cucina e lui mi seguì: “Mettiamo un po’ di musica? Non ho voglia di guardare un film, con questo tempo finirei per addormentarmi”.

Entrammo nella mia camera e lui si buttò sul mio letto mettendosi le mani dietro la testa. La sua camicia si alzò un poco lasciando intravedere una linea scura di peli che sparivano nelle sue mutande. Deglutii e distolsi lo sguardo. “Cosa vuoi sentire? Ho preso questo CD nuovo di un cantautore irlandese, ti va?”

“Se non è la merdosa musica che ascolta tuo fratello, va sempre bene”.

Uno a zero per me, Paolo. Beccati questa.

Luka Bloom cominciò a cantare per noi la sua cover personale di ‘Bad’ degli U2. Quando il pezzo andò smorzandosi, Ruggero sospirò: “Bella!” poi si alzò dal letto e si tolse la camicia a quadri: “Cazzo, che caldo!”

La bocca mi si seccò immediatamente divenendo come carta vetrata. Mi sembrava di essere nel mezzo del Sahara e la visione dei suoi pettorali mi ricordarono le dune di sabbia. Nel frattempo il disco continuava la sua musica.

“Certo che tuo fratello è proprio uno stronzo” affermò ributtandosi sul letto. “Da quando ha incontrato Mariella è sparito”. Stava guardando il soffitto e ne approfittai per accarezzarlo con gli occhi. La visione del suo torace era perfetta. Cominciò a venirmi duro.

“Sarà innamorato” aggiunsi io con la bocca impastata.

“Innamorato?” mi chiese ironico “Ma dove vivi, Filippo? A tuo fratello piace pucciare il biscotto!”

“Sì, me ne sono reso conto. Perché a te no?”

“Io? Io no. Sono diverso”.

In che senso, scusa. Volevo chiedergli. No perché, se intendi ‘diverso’ come dico io, anche io sono ‘diverso’. Quindi vieni qui e piantami la lingua in gola.

“Mi sa che ci tocca stare insieme io e te” continuò.

“Lo dici come se fossi un rimpiazzo” esclamai quasi arrabbiato.

“Ma no, scemo. Lo sai che voglio bene a tutti e due”. Pausa. “Ma in maniera diversa”.

“O certo, lui è il tuo migliore amico, infatti. Io sono solo il fratello di Mr. Amico Perfetto” mi stavo proprio arrabbiando.

Si alzò poggiandosi sui gomiti e mi guardò strano: “Hai le tue cose o sei meteopatico?”

Sbuffai nervosamente: “E’ questo tempo di merda” mentii.

“Vieni qui” disse spostandosi sul bordo del letto verso il muro.

Mi sedetti sul materasso; sul ciglio, come un uccello su un trespolo. Sembravo il pappagallo sulla spalla di Long John Silver (1). Ero troppo nervoso. Ora non alzate gli occhi al cielo, per favore. Cosa fareste voi se aveste sdraiato nel letto il vostro sogno erotico di sempre? E per di più a torso nudo, completo di pettorali e addominali e di due bellissimi capezzoli rosa che chiedevano – anzi imploravano – di essere leccati? E vogliamo parlare dell’ombelico, da dove partiva quel bellissimo sentiero di peli scuri che spariva sotto il bordo elastico delle mutande? 

“Hai ragione fa caldo” dissi annuendo. E i pantaloni mi si stanno restringendo, aggiunsi mentalmente pensando al cavallo dei calzoni che cominciava a tirarmi pericolosamente sul davanti.

“Togliti la maglietta”.

Non potevo contraddirlo. Uno che ha caldo cosa fa di solito? Si spoglia. Logico.

Mi sfilai la camicetta dalla testa e la gettai sulla sedia poco distante. L’aria smossa dal ventilatore rinfrescò immediatamente la patina di sudore che avevo sulla pelle. Mi distesi al suo fianco.

“Vuoi raccontarmi cosa c’è che non va?” mi chiese fissando il soffitto.

Pensai che avrei fatto prima a dirgli quello che andava per il verso giusto. Feci spallucce.

“Sono il tuo migliore amico, no?”

“Veramente sei il migliore amico di mio fratello”. Appena finii la frase me ne pentii.

“Ehi, campione, mi offendi! Non credi che sia anche il tuo migliore amico?” si lamentò.

“Si, scusa, non voleva suonare così offensivo” ammisi. “E’ che…” A quel punto non potevo più star zitto. "Quando hai un amico… intendo un ‘amico amico’… accetti tutto di lui, vero?” domandai incerto.

“Si, certo”

“Quindi visto che sei il mio migliore amico, mi accetteresti per quello che sono, mi ascolteresti e mi aiuteresti, non mi cacceresti come un cane rabbioso… anche se quello che dicessi ti offenderebbe e ti farebbe arrabbiare, addirittura. Giusto?”

Fece un mugugno mentre ci pensava sue e poi: “Si, credo di sì.”

“Eh no” protestai “Non puoi avere dubbi altrimenti non ti dico niente. Allora, è giusto o no?”.

“Va bene, giusto”.

“Sei sicuro?”

“Sì”

“Sicuro, sicuro?”.

“Cazzo, Filippo! Sì, sono sicuro”.

“OK” Cercai di trovare le parole ma non riusciva a venirmi in mente nulla. Dovevo partire dalle api e dall’impollinazione dei fiori? Oppure dal fatto che si è scoperto che gli animali hanno comportamenti omosessuali, ma non sanno cos’è l’omofobia? Forse potevo raccontargli il fatto che due pinguini dello zoo di Madrid si amano e si corteggiano come se fossero maschio e femmina?

“Quindi?” urlò esasperato del mio silenzio.

 Sobbalzai: “Sono gay!”.

“Tutto qui?” chiese alzandosi sui gomiti e guardandomi in faccia. Fece un sorriso sghembo. Uno strano sorriso sornione, che intendeva qualcos’altro. La sua reazione non mi sembrò strana. Chissà perché?

“No, non è tutto”.

“Cazzo, Filippo, non mi dire che l’hai fatto con qualcuno senza il preservativo e ti sei beccato l’AIDS!” esclamò spaventato.

“No, no, no” mi affrettai ad aggiungere.

“Ah, meno male” sospirò lui “Mi hai fatto spaventare”.

“E’ che sono ancora vergine. Non l’ho mai fatto”.

Mi guardò negli occhi e sorrise “Filippo, guarda che hai quasi ventun’anni. Datti una mossa”.

“Ma non posso” piagnucolai.

“Non ti si rizza?”.

“Oh, sì eccome!” soprattutto quando me lo meno pensando a te, volevo aggiungere. “E’ che sono innamorato di un tipo e tutti gli altri non esistono”.

“Fagli una dichiarazione. Al limite ti riderà in faccia!”.

“Ok” sospirai “Ruggero, ti amo da una vita e vorrei che tu fossi il mio ragazzo”.

Improvvisamente le sue labbra furono sulle mie e le sue mani nel miei capelli, la nostra pelle nuda venne in contatto e poi…

Poi mi persi nel bacio.

Sentivo arricciarsi le dita dei piedi, le nostre lingue danzavano tra di loro e le sue labbra carnose sulle mie. Allungai le mani verso il suo corpo e lo strinsi a me come se volessi farlo entrare di me, dentro il mio corpo. Finalmente era mio. Il sogno della mia vita, il ragazzo che avevo sempre amato era lì e mi stava baciando con lo stesso trasporto. Capii immediatamente perché avesse detto che voleva bene sia a me che a Paolo ma in maniera diversa. Lui era il suo amico, io gli piacevo, mi voleva bene MA in maniera diversa.

Quando si staccò da me, anni luce dopo, mi guardò sorridendo: “Scemo. Non potevi dirlo prima?”.

Mi prese la mano e se la portò sull’inguine, sentii la sua erezione sotto il cotone dei pantaloni. Poi la sua sul mio, a strofinarmi languidamente.

“Hei campione, abbiamo scoperto un’ottima nuova ricetta per il tiramisù!”

(1) Personaggio de “L’isola del Tesoro” di Robert L. Stevenson