venerdì 30 novembre 2012

ESSERE GAY NEL 1891

Da una lettera inviata nel 1891 ad Emile Zola da un giovane militare italiano ventunenne

"I miei compagni si erano addormentati da parecchio tempo e noi non ci eravamo ancora spogliati. Alla fine mi decisi e, sbarazzatomi della mia uniforme, mi rannicchiai nella mia camicia di batista ed entrai nel mio lettino, sul quale avevo fatto sedere il mio giovane amico, al quale, nella nostra eccitazione e nella ebbrezza causata dal vino e dal chiasso che avevamo appena fatto, prodigai come se scherzassi le più dolci carezze e le parole più lusinghevoli.

Io ero semisdraiato sul cuscino che ci si concedeva di tenere nel nostro letto. Lui era mezzo svestito, e sedendosi sulle mie cosce si chinò su di me.

Io gli parlavo come in stato di rapimento e semiebbrezza, causato dal sonno e dal calore del letto che iniziava a vincermi, quando lui si abbassò completamente su di me, mi circondò con le sue braccia, mi baciò sul viso, passando al tempo stesso le sue mani sotto la mia camicia, stringendo la mia carne a piene mani.

Io mi sentivo morire, e qualcosa come una gioia immensa mi prese improvvisamente.
Ci incollammo per un breve momento l'uno contro l'altro, fronte contro fronte, le guance in fiamme, la mia bocca sulla sua bocca come su un dolce guanciale. Non ero mai stato così felice!

La lampada appoggiata per terra lanciava lampi minacciosi nell'immenso dormitorio, dove nei letti lontani i miei compagni dormivano, e lasciava nella più profonda oscurità l'angolo nel quale noi eravamo così colmi di gioia. Tuttavia ebbi paura che qualcuno ci potesse vedere e, desiderando godere completamente dell'abbandono del mio amico, gli dissi all'orecchio, baciandolo: "Va' a spegnere la lampada, ma ritorna, fa' presto".
Si alzò traballando e andò a bere alla brocca, che era posata a terra, accanto alla lampada. Il dormitorio non fu più rischiarato se non dalla lampada del dormitorio vicino, vale a dire che ci si vedeva un poco al centro della sala, ma che tutto il resto era nelle tenebre più fitte.
Lo vidi nella penombra ritornare al suo letto, che era di fronte al mio. Sentii che si svestiva velocemente e che tornava verso di me trattenendo il respiro.

Quel breve momento mi sembrò un secolo, e quando lo sentii accanto a me fra le lenzuola calde lo abbracciai alla vita, lo palpai e baciai ardentemente, a stento trattenendo grida di gioia e godimento.

Si offrì all'amore molto veemente; in un attimo fummo nudi formando un solo corpo, strettamente avvinghiati. Non avrei mai creduto di poter godere di tanta voluttà.
Le nostre lingue si allacciavano nelle bocche, e tanto strettamente ci abbracciavamo da potere a stento respirare. Con le mani esploravo quel corpo così bello, tanto desiderato, quel viso dolce e virile che era così diverso dal mio.
Infine le nostre voluttà ebbero termine, e, cosa che mi fece soprattutto piacere, raggiunsero il culmine nel medesimo istante.

Rimanemmo a lungo abbracciati, scambiandoci carezze e dolci parole. "Non ho mai goduto tanto con una donna", mi disse. "I loro baci e le loro carezze non sono né così ardenti né così amorosi".

 - Dr Laupts (pseud. di Georges Saint-Paul), "Tares et poisons, perversion & perversité sexuelles: une enquête médicale sur l'inversion: notes et documents. (Le roman d'un inverti-né. Le procès Wilde. La guérison et la prophylaxie de l'inversion)", Masson, Paris 1896. -

mercoledì 28 novembre 2012

CONSULENZE AZIENDALI AL RISTORANTE


Ero con amici in un ristorante e ho notato che il cameriere che ci ha preso l'ordinazione aveva un cucchiaio nel taschino della camicia, ma non ci ho fatto caso piu' di tanto. Pero' mi sono accorto che ce l'aveva anche il ragazzo che ha apparecchiato... mi sono guardato intorno e ho visto che tutto il personale aveva un cucchiaio nel taschino. Quando il cameriere e' tornato, gli ho chiesto il perche' del cucchiaio.
"Vede - mi ha spiegato - i titolari si sono rivolti alla 'Andersen Consulting' esperti in efficenza, per rivisionare le procedure del ristorante. Dopo mesi di analisi statistiche, hanno concluso che i clienti fanno cadere il cucchiaio il 78% piu' spesso che le altre posate, per un totale di circa 3 cucchiai all'ora. Se il personale e' pronto per queste evenienze, possiamo ridurre i viaggi cucina-sala, risparmiando 1.5 ore/uomo ogni sera". Appena finito di parlare, da un tavolo vicino e' caduto un cucchiaio. il cameriere l'ha sostituito subito, e ha spiegato: "Ora ho tutto il tempo di prendere un altro di riserva con comodo, quando passero' in cucina, invece di andarci apposta".
Ero impressionato. il cameriere continuava a prendere gli ordini, e mentre i miei amici ordinavano, ho continuato a guardarmi intorno. Mi sono accorto che ciascun cameriere aveva un cordino che dall'asola dei pantaloni finiva dentro la cerniera. La curiosita' mi ha spinto a chiedere al cameriere che cosa fosse quel cordino.
"Mi complimento per il suo spirito di osservazione, la Andersen ha scoperto anche che potevamo risparmiare tempo in gabinetto. Ehm... tirandolo fuori col cordino, possiamo avvicinarlo all'orinatoio senza toccarlo, eliminando la necessita' di lavarsi le mani cosi' il tempo trascorso in bagno si riduce ben del 58%".
"OK, capisco - ho detto io - il cordino vi aiuta a tirarlo fuori, ma come lo rimettete dentro?"
"Be' - ha sussurrato - non so gli altri camerieri, ma io uso il cucchiaio".

martedì 27 novembre 2012

L'ECO E LA VITA



C'era una volta un bambino che passeggiava con suo papà in montagna. All’improvviso il ragazzino inciampò contro una pietra e cadde facendosi male.
Dal dolore urlò :”AAAhhhhhhhhhhh!!!”
Con suo grande stupore il bimbo sentì una voce venire dalle montagne che ripeteva : “AAAhhhhhhhhhhh!!!”
Con curiosità, egli chiese: “Chi sei tu?”
E ricevette la risposta: “Chi sei tu?”
E il ragazzino urlò: “Io ti sento! Chi sei?”
E la voce rispose: “Io ti sento! Chi sei?”
Infuriato da quella risposta gridò: “Codardo”
E ricevette la risposta: “Codardo!”
Allora il bimbo guardò suo padre e gli chiese: “Papà, che succede?”
Il padre gli sorrise e rispose:”Figlio mio, ora stai attento:”
E l’uomo gridò: “Tu sei un campione!”
La voce rispose: “Tu sei un campione!”
Il figlio era sorpreso ma non capiva.
Allora il padre gli spiegò:
“La gente chiama questo fenomeno ECO ma in realtà è VITA.
La Vita, come un’eco, ti restituisce quello che tu dici o fai.
La vita non è altro che il riflesso delle nostre azioni.
Se tu desideri più amore nel mondo, devi creare più amore nel tuo cuore;
Se vuoi che la gente ti rispetti, devi tu rispettare gli altri per primo.
Questo principio va applicato in ogni cosa, in ogni aspetto della vita; la Vita ti restituisce ciò che tu hai dato ad essa.
La nostra Vita non è un insieme di coincidenze, è lo specchio di noi stessi.

lunedì 26 novembre 2012

SONETTO 18



Dovrei paragonarti ad un giorno d'estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell'estate ha vita troppo breve:
talvolta troppo cocente splende l'occhio del cielo
e spesso il suo volto d'oro si rabbuia
e ogni bello talvolta da beltà si stacca,
spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire
nè perdere possesso del bello che tu hai;
nè morte vantarsi che vaghi nella sua ombra,
perchè al tempo contrasterai la tua eternità:
finchè ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita.
(William Shakespeare)

domenica 25 novembre 2012

CRISTO RE


XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». (Gv. 18, 33-37)

Per festeggiare Cristo, re dell’universo, la Chiesa non ci propone il racconto di una teofania splendente. Ma, al contrario, questa scena straziante della passione secondo san Giovanni, in cui Gesù umiliato e in catene compare davanti a Pilato, onnipotente rappresentante di un impero onnipotente. Scena straziante in cui l’accusato senza avvocato è a due giorni dal risuscitare nella gloria, e in cui il potente del momento è a due passi dallo sprofondare nell’oblio. Chi dei due è re? Quale dei due può rivendicare un potere reale (Gv 19,11)? Ancora una volta, secondo il modo di vedere umano, non si poteva che sbagliarsi. Ma poco importa. I giochi sono fatti. Ciò che conta è il dialogo di questi due uomini. Pilato non capisce niente, né dei Giudei, né di Gesù (Gv 18,35), né del senso profondo del dibattito (Gv 18,38). Quanto a Gesù, una sola cosa conta, ed è la verità (Gv 18,37). Durante tutta la sua vita ha servito la verità, ha reso testimonianza alla verità. La verità sul Padre, la verità sulla vita eterna, la verità sulla lotta che l’uomo deve condurre in questo mondo, la verità sulla vita e sulla morte. Tutti campi essenziali, in cui la menzogna e l’errore sono mortali. Ecco cos’è essere re dell’universo: entrare nella verità e renderle testimonianza (Gv 8,44-45). Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se “ascoltano la sua voce” (Gv 18,37). È veramente re colui che la libertà ha reso libero (Gv 8,32). E noi siamo figli di questo Re, quindi discendenza regale. Anche noi fedeli LGBT poichè Gesù non ha mai detto nulla in contrario. Chiunque è della verità, ascolta la sua voce.

O Dio, fonte di ogni paternità,
che hai mandato il tuo Figlio
per farci partecipi del suo sacerdozio regale,
illumina il nostro spirito,
perché comprendiamo che servire è regnare,
e con la vita donata ai fratelli
confessiamo la nostra fedeltà al Cristo,
primogenito dei morti
e dominatore di tutti i potenti della terra.
Egli è Dio, e vive e regna con te
per tutti i secoli dei secoli.
Amen

sabato 24 novembre 2012

L'ACCETTAZIONE, NON IL RIFIUTO

Articolo di Jill Tucker tratto da The Oakland Tribune del 22 gennaio 2006, liberamente tradotto da B.L.R. Eglantyn

Il cuore del prete stava battendo nel suo petto. Le sue mani erano gelate. Era nervoso. Più del solito.
I banchi erano quasi pieni, come sono solitamente la maggior parte delle domeniche, quando prese a salire la navata centrale della basilica di San Giuseppe ad Alameda per celebrare la Messa.

Era dopo le nove di mattina. I bambini si lamentavano ed i ritardatari scivolavano ai loro posti mentre la luce del sole si riversava attraverso le vetrate raffiguranti Maria, Gesù, Giuseppe ed i Santi.

Nel celebrare il rituale della Messa, il prete ebbe difficoltà ad accettare nella sua mente la decisione che aveva preso. ‘È il momento’, pensò. ‘Il posto giusto, il giusto popolo’.

I parrocchiani cantavano e ripetevano i consueti “amen” e “e con il tuo spirito”, repliche di un formulario adottato.
Una qualsiasi Messa domenicale.
Poi il prete iniziò a parlare. Il tema dell'omelia di quel giorno di tardo autunno, come dettato dalla gerarchia cattolica, era l'accettazione, non il rifiuto.

Il prete raccontò una storia. Fu così che andò.

All'incirca due anni prima sua zia stava morendo. Come prete e suo nipote, si recò al suo capezzale.
Le si sedette accanto quando lei iniziò a piangere, confessando finalmente al prete, suo nipote, che era lesbica.

“Ho così tanta paura di andare all'inferno,” ricordava che gli disse.
Gli rispose: “Non è così che funziona con Dio”.

I parrocchiani non erano sorpresi dalla storia del prete, quel giorno. L'omosessualità all'interno della Chiesa Cattolica era un argomento oggetto di discussioni recenti.
Il Vaticano aveva progettato di rilasciare una lettera entro poche settimane per chiarire la sua posizione a proposito dell'entrata di persone omosessuali nei seminari per diventare successivamente preti.

La posizione del Papa, comunque, era nota negli insegnamenti del Vaticano da tempo. Un'anomalia, ecco come era considerata l'omosessualità secondo il Vaticano.
Inoltre, uomini e donne gay sono soggetti obiettivamente disturbati ed i loro atti omosessuali sono da definire serie depravazioni.

Il prete continuò con la sua omelia. Egli afferrò un grande libro fra le sue mani, alzando il Vangelo decorato sopra la sua testa.
“Questa Buona novella è per tutti, o è per nessuno,” disse alla congregazione.

Il vangelo deve essere anche per sua zia. Per tutti i gay e le lesbiche, disse con convinzione.
Come faceva a saperlo? La risposta era semplice. “Sono uno di voi,” disse padre Rich Danyluk.

Quattro semplici parole

Quelle quattro semplici parole riecheggiarono dentro la basilica, quella domenica mattina.
‘Davvero ha detto quello che penso abbia detto?’ si chiesero alcuni parrocchiani, guardandosi l'uno con l'altro. Si, l'aveva detto.

Padre Rich Danyluk, prete da trent'anni, nel bel mezzo della Messa aveva detto di essere gay. L'aveva detto a sua zia, due anni prima, ed ora l'aveva dichiarato al mondo.

Alameda (citta della California, Stati Uniti) non è di sicuro la cittadina più liberale che si estenda sulla costa destra della baia.
È un isola incentrata su sé stessa, con bizzarri politici e testardi pensieri da paesino di provincia nel bel mezzo di una grande area metropolitana.
Non è il primo posto dove ci si aspetterebbe di incontrare un prete dichiaratamente gay.

Forse a San Francisco, o a Berkeley. Anche in questi bastioni della tolleranza sessuale, però, i preti gay celebrano la Messa e si prendono cura degli ammalati e del loro gregge restando nell'anonimato.

In California ed attraverso il paese, le stime su quanti fra i preti siano omosessuali variano dal 10 al 60 percento.
Gli altri preti di solito sanno chi sono. I vescovi sanno essere discreti. E i parrocchiani sessualmente confusi alla ricerca di conforto religioso sono parte del segreto.

Ma un prete investito del suo ruolo, in piedi davanti a Dio e alla congregazione nel mezzo della Messa, che ammette di essere gay? Non succede mai. O meglio, quasi mai.
In tre differenti Messe, di quella domenica settembrina, padre Rich condivise il suo orientamento sessuale con chi veniva ad adorare.

Durante la Messa della sera, la piccola sentenza cadde sulla congregazione. Non c'era la stessa esitazione presente nelle Messe precedenti.
Invece, la basilica si prodigò in un applauso, nei banchi i parrocchiani si alzarono.

Il loro prete era omosessuale e loro salutarono la notizia con un'ovazione.

Nato a Betlemme

Rich Danyluk nacque a Betlemme, in Palestina, il 23 dicembre 1947. “Sei quasi Gesù,” gli aveva detto una volta un ragazzino, dopo essere venuto a conoscenza dei suoi biblici natali.
Padre Rich, 58 anni, ride quando racconta di questa storia.

All'età di 13 anni o 14, forse addirittura più giovane, padre Rich disse che sapeva la verità: era gay. “Sapevo fin dalla giovane età che ero diverso” dice. Non sorride mentre racconta quella storia.

Era un ragazzo gay in una città industriale di colletti bianchi, nella costa ad est. Comunque, Dio lo chiamò.
Nel 1967 entrò nel seminario di San Carlo, a Filadelfia. Ma il primo passo di padre Rich nella carriera ecclesiastica fu un fallimento.

Fu cacciato per aver mancato la promozione in greco e latino – in conclusione gli istitutori pensavano non avesse il cervello per diventare prete.
Lavorò in un orfanotrofio.
Lì i suoi colleghi, incluse le suore, pensavano che dovesse riprovarci e incoraggiarono un prete che faceva loro visita a parlargli.

Padre Rich si persuase ed entrò nella congregazione del Sacro Cuore di Gesù e Maria, finendo sotto l'autorità di un ordine religioso invece che di una diocesi.

Non doveva imparare lingue arcaiche e, anche se faticò nei suoi studi come ammette di essergli sempre accaduto, fu ordinato il 23 agosto del 1975.

Una questione

C'è una questione in sospeso. È difficile da porre quando si siede accanto ad un prete nel suo ufficio, le icone appese al muro. Padre Rich attende la domanda.

Si potrebbe pensare che sia abituato alle persone che lottano per dire quello che devono durante una confessione o mentre cercano consiglio. Aspetta. In silenzio.

“Come puoi?” la domanda parte prima che possa fermarla. “Come puoi volere?” e una nuova pausa.
Finalmente: “Come puoi tu, un uomo gay, lavorare per un'istituzione che odia e condanna una parte di ciò che sei?”.

Padre Rich sorride. “A volte c'è differenza tra servire la chiesa e servire Cristo.” lui dice.
“C'è una voce molto più alta che io sento.” “Questa è un'istituzione umana,” aggiunge dopo.

“Ci sono volte in cui lo facciamo bene, magnificamente. Altre volte molto meno.” “È come una famiglia.
C'è il nonno disfunzionale, uno o due zii pazzi. Ma tu li ami lo stesso, perché resti fedele all'idea di famiglia e forse al pensiero di quello che potrebbe diventare.” Padre Rich spiega in un'altra maniera.

Si alza e prende un pezzo di carta datogli da un amico. “Per tutto l'odio cattolico, ho trovato una comunità di amore,” ne legge un pezzo.
“Per tutta l'idiozia delle istituzioni, ho trovato una tradizione di ragione.

Per tutta la repressione individuale, ho respirato aria di libertà... Per tutta l'apparente assenza di Dio, ho sentito qui la vera presenza di Cristo.”

Il pezzo di carta sembra rispondere alla strana domanda fatta a Padre Rich al posto suo.
“Siamo gente spezzata,” dice. “È un'istituzione spezzata. È il corpo spezzato di Cristo.”

Solo, semplicemente, Rich

Padre Rich ha un biglietto da visita. Non c'è scritto che è un prete, solo Rich Danyluk, indirizzo e contatti.
Ma stampata sul retro c'è la Preghiera della Serenità: “Dio garantiscimi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare quello che posso e la saggezza per capire la differenza.” Le parole serenità, coraggio e saggezza sono evidenziate in neretto.

Per la maggior parte della sua vita, delle voci autorevoli dicevano a Padre Rich che era obiettivamente disturbato. A volte usavano diversi termini: anormale o sbagliato.

L'omosessualità è un problema morale ed un fenomeno sociale, in accordo con i documenti vaticani.
Nel 2003, la Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede stabilì la seguente posizione:“Le Sacre Scritture condannano gli atti omosessuali come seria depravazione, [...]”

Il documento dice, citando i Romani 1:24 – 27; 1 Corinzi 6:10 e 1 Timoteo 1:10, “Questa sentenza delle Scritture non ci permette, certamente, di concludere che tutti quelli che soffrono di questa anomalia sono personalmente responsabili per essa, ma deve attestare il fatto che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disturbati.”

In altre parole, i gay non possono fare nulla contro il loro essere omosessuali, ma la loro condizione resta comunque contro natura.
Visto che il Vaticano si stava preparando, nel tardo autunno, a pubblicare le istruzioni riguardanti i gay in seminario, la stampa ne parlò a iosa.

Alcuni articoli sostenevano che il tempismo di tali istruzioni era sospetto – essendo così vicine allo scandalo dei pedofili che stava tormentando la Chiesa Cattolica americana.

La possibilità era che il Vaticano volesse distogliere l'attenzione dagli scandali recenti concentrandosi sugli omosessuali in seminario, oppure che il Vaticano stesse creando una connessione tra preti pedofili e preti gay.
Per padre Rich, la raffica quotidiana di articoli che dibattevano sul fatto che i gay potessero o meno diventare preti fu troppo.

“Non è tollerabile tanto parlare a proposito di quanto tu sia disturbato,” padre Rich disse in un'intervista con l'Herald alcune settimane dopo la Messa di settembre durante la quale aveva condiviso il suo segreto.
“Non sono stato battezzato come disturbato figlio di Dio, ma come ogni altro.”

Una decisione dura “La decisione di condividere il proprio orientamento sessuale durante la Messa non è stata una mossa politica o una protesta personale,” dice padre Rich.

Lui lottò con quella decisione. Egli stava per confessare ai suoi parrocchiani qualcosa che non aveva mai detto neppure al suo amato padre ottantacinquenne.
Padre Rich non voleva usare il pulpito per una confessione personale.

Egli voleva annunciare il Vangelo – la Buona Novella – ai gay e alle lesbiche. “Perchè sono uno di loro,” padre Rich disse nel suo ufficio qualche settimana dopo.
“Il solo messaggio che mi prefiggo di diffondere è il Vangelo.”

Comunque quella non era la prima volta che padre Rich aveva liberato una parte segreta di sé davanti alla congregazione.
Sei anni prima, nel sud della California, padre Rich era stato arrestato. Guida in stato di ebrezza.

In quell'occasione, era stato destituito dalla sua parrocchia in San Dimas e spedito per tre mesi ad un centro di ricovero per preti in Minnesota.
Prima di andarsene, nella sua ultima omelia, in piedi di fronte a tutti si era detto un alcolista.

Anche quella volta aveva ricevuto un'ovazione Padre Rich sorride mentre ricorda. Aveva detto loro.: "state applaudendo per un prete ubriaco”.

Ma gli tornano alla memoria anche le lacrime degli uomini adulti che l'avevano abbracciato dopo la Messa, ringraziandolo per la sua onestà, forse vedendo un po' di loro in quel fallimentare prete.

“Ho scoperto che i nostri fallimenti ci obbligano più della perfezione,” disse padre Rich. “Io penso che l'unica cosa che abbiamo da dare agli altri siamo noi stessi,” aggiunge.

“La sola cosa che ho da offrire alle persone sono io. Il Vangelo attraverso me.”

Altri come lui

Padre Rich non teme per il suo lavoro. Ha fede nella sua congregazione.
“Il vescovo sa che ci sono preti gay all'interno della Diocesi di Oakland,” dice.

“Il vescovo è al corrente del meraviglioso servizio che svolgono per la vita di tante persone.” I preti gay fedeli ai loro voti sono celibi.
Celebrano la Messa. Amministrano le ultime benedizioni ai moribondi e confortano i malati.

Ascoltano le confessioni e concedono le assoluzioni. Sembrano preti. Si comportano da preti. Sono preti.

Sorella Sandra Schneiders era alla Messa delle 7 della sera nel corso della quale padre Rich confessò la sua omosessualità.
Era tra quelli che si alzarono per applaudirlo.
“Fu coraggioso,” dice; “egli non lo disse con rabbia o con l'intenzione di colpire la chiesa.”

“L'ha semplicemente detto,” dice Schneiders, professore spirituale alla Scuola Gesuita della Teologia a Berkeley.
“Per quanto ho potuto vedere, era come se stesse dicendo: ho fatto del mio meglio come prete e questo è per continuare a farlo.”

All'inizio del mese, a distanza di tre mesi da quando padre Rich disse ai suoi parrocchiani di essere gay, un prete in Louisiana, il Reverendo Jim Morrison, si rivelò alla congregazione.
Voleva essere onesto con la sua parrocchia, ha detto Morrison al giornale locale.

Incoraggiava onestà in ogni azione, ma lui per primo non era ancora stato onesto fino in fondo.
Non è stimabile il numero di preti gay che stanno prestando servizio attraverso la regione e che seguiranno questo esempio.

Pochi membri della parrocchia di San Giuseppe ad Alameda se ne sono andati in seguito al coming out di padre Rich.
La maggior parte ha piantato radici su di lui.

“Penso che padre Rich stia riflettendo sul dolore e la sofferenza che la vera gente prova quando si trova ad affrontare la discriminazione della società.
Egli vuole dire che Dio è con loro nella loro lotta,” dice il parrocchiano Robert Lassalle-Klein.

“Posso solo dire che la congregazione è come se lo sentisse dire: Dio ti ama per quello che sei e ti accetta per come sei.”

venerdì 23 novembre 2012

CASTELBARCO

Il Castello di Avio, o Castello di Sabbionara, è tra i più noti ed antichi monumenti fortificati del Trentino. È situato nella frazione di Sabbionara d'Avio.
Esso domina grazie al suo mastio la Vallagarina, che fu una delle principali vie di comunicazione tra il Mediterraneo ed il Nord Europa, la Pianura Padana col mondo germanico. Le stesse arterie moderne non fanno che ripercorrere il medesimo tracciato dell'antica via Claudia Augusta, che attraversa la valle dal 15 a.C. Il castello dopo essere passato da varie proprietà è stato poi donato dalla contessa Emanuela di Castelbarco al FAI, che ne cura la manutenzione. È tuttora visitabile dal pubblico.
La collina di Sabbionara d'Avio, posta ai suoi margini, protetta alle spalle dalla montagna e dominante gli antichi guadi sull'Adige, era fatale che venisse scelta come difesa e vedetta, nonché luogo prestigioso di un potente. Le prime fonti storiche che ne parlano sono datate 1053 con il nome Castellum Ava. Sappiamo che nel XII secolo i proprietari erano gli appartenenti alla famiglia Castelbarco, vassalli del vescovo di Trento, che lo cedettero nel 1411 per testamento a Veneziani. Qui venne ampliato e decorato con una cappella in onore di San Michele insieme ad una facciata riportante gli stemmi dei loro dogi. Nel 1509 il castello passa di mano alle truppe imperiali di Massimiliano I che, dopo aver fatto dipingere le proprie insegne araldiche, lo ipoteca ai Conti d'Arco. A questa fase susseguono diversi passaggi di mano finché, nel XVII secolo, il castello torna ai Castelbarco. Nel 1977 Emanuela Castelbarco, nipote di Arturo Toscanini, dona al FAI il Castello di Avio e la fondazione inizia importanti interventi.
Il castello è costituito da tre cinte murarie che circondano a guisa di corona l'insieme del sistema difensivo e può vantare ben 5 torri, tra cui quella della picadora, dove in passato venivano eseguite le condanne capitali per mezzo dell'impiccagione; il suo perimetro irregolare eppure armonioso si appoggia al terreno seguendone il dislivello. Dentro le mura le vie sono delimitate da muri, terrazzamenti, passaggi coperti e torri aperte; le porte, le mura e gli interni sono illuminati da splendidi affreschi. Attorno al potente mastio, risalente al XI secolo, si trovano numerosi edifici tra cui la Casa delle Guardie, la Cappella, il Palazzo Baronale e la Casa d'Amore all'ultimo piano del mastio, tutti quanti mirabilmente affrescati.
Gli studiosi hanno individuato negli affreschi la mano di due differenti artisti, con le relative équipe; il primo, già attivo nella chiesa dei Domenicani di Bolzano, è il decoratore della Casa d'Amore: un ciclo di affreschi di grande qualità, pieno di allusioni, allegorie e rimandi. Forse dopo due o tre decenni, opera nel castello un altro artista, d vena più semplice e popolare rispetto al precedente; a lui si devono le battaglie della Casa delle Guardie. Ulteriori scoperte si sono avute nel corso degli accurati restauri: l'esame degli affreschi ai raggi ultravioletti ha svelato la presenza di disegni preparatori sotto i dipinti attuali.
Gli affreschi della Casa delle Guardie rappresentano le arti della guerra necessarie alla formazione del cavaliere. Essi sono opera di un maestro trentino della metà del Trecento che risente sia della pittura veronese sia di stilemi transalpini (contorni marcati e luci violente). Gli affreschi della Camera di Amore nel mastio, raffinati e ricchi di una colta simbologia (pittura cortese) , sono ascrivibili ad un pittore di ambiente veneto-emiliano vissuto alla metà del Trecento.