lunedì 31 dicembre 2012

L'UTILITA' DI UN SASSO

C’era una volta, in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.
Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.
Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso: “Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”
Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”.
L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra: “Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi. Ti sarò sempre debitore”.
Ma il sasso rispose: “Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare al mondo”.

domenica 30 dicembre 2012

IL GRANDE CUORE DI MARIA


SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE


I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
L’inquietudine e l’incomprensione di Maria e di Giuseppe, nonostante la loro vicinanza a Gesù, nonostante fossero stati preparati da Dio al compito di accompagnare i primi passi della vita di Gesù, ci riportano a quello che è il nostro atteggiamento di fronte all’opera di Dio in noi e intorno a noi. Ogni essere è un mistero per quelli che lo circondano. La sofferenza che nasce da questa solitudine collettiva non trova pace se non nella fede.
Noi siamo vicini gli uni agli altri perché siamo tutti amati di un amore divino. L’amore che ci unisce, lungi dall’abolire il nostro essere diversi gli uni dagli altri, rafforza, anima e sviluppa quanto c’è di originale in noi. Ma solo una carità che venga da Dio può mettere nei nostri cuori una tale disposizione.
Maria e Giuseppe non hanno capito a fondo ciò che Gesù diceva o faceva. Ma hanno accettato, nella fede e per amore, di vederlo compiere la sua vita e adempiere alla sua missione, partecipandovi nell’oscurità della loro fede. Che lezione per noi! Quando non capiamo l’azione del nostro prossimo, perché supera le nostre capacità, dobbiamo saper amare senza capire: solo con un tale atteggiamento tutto diventa possibile.
Questo diventa tutto più reale nella comunità LGBT, in quanto non compresi dalla Chiesa e dagli stereotipi della cultura umana, diventiamo come Gesù dodicenne agli occhi dei suoi genitori. Ma Maria, la nostra mamma celeste, vede e osserva e custodisce tutte queste cose nel suo cuore. Perciò consoliamoci di essere cullati nel grande cuore della Vergine Maria.

sabato 29 dicembre 2012

AMORE BIBLICO



Mettimi come sigillo sul tuo cuore
Come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione;
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
In cambio dell’amore
Non ne avrebbe che dispregio.



(Cantico dei Cantici)

venerdì 28 dicembre 2012

MATRIMONIO PER TUTTI, UN PROGRESSO UMANO

Dichiarazione della redazione* della rivista cattolica francese Témoignage chrétien del 14 dicembre 2012, traduzione di www.finesettimana.org

L'omosessualità è stata perseguitata o oppressa da lunghi secoli. In realtà si tratta di un orientamento sessuale legittimo e degno quanto l'eterosessualità. Il matrimonio è un contratto scelto da due persone più libere e consenzienti oggi più di quanto non lo siano mai state. È un contratto che può essere rotto o rinnovato legalmente.
Vi sono famiglie fondate al di fuori del matrimonio e il 40% dei bambini nascono al di fuori del matrimonio. Rifiutare questo contratto agli omosessuali significherebbe aggiungere un'ennesima discriminazione a quelle di cui sono stati troppo spesso oggetto.
Ecco perché noi consideriamo giusto che sia aperto a coloro – uomini e donne – che vogliono dare un quadro lecito più forte alla loro unione. Spetterà alle religioni riflettere al senso del matrimonio religioso ma sarebbe un grave errore politico porsi l'uno contro l'altro.
Ricordiamo infine che le stesse persone che vantano le virtù dell'unione civile oggi dopo aver rifiutato i PACS ieri, spesso con le stesse parole, sono i primi responsabili di una radicalità generata dalla loro chiusura alle libertà individuali. Speriamo che la lezione serva. Non crediamo che il matrimonio per tutti porti alla dissoluzione della società. Il divorzio non ha fatto scomparire il matrimonio. Un grandissimo numero di divorziati si risposa. Se il matrimonio per tutti è un modo di integrazione supplementare nella società, allora non è il caso di esitare.
Riteniamo che il progetto di legge attuale costituisca un progresso reale. Distinguiamo la coniugalità, la genitorialità e la filiazione. Il diritto di ogni bambino di conoscere le proprie origini e la sua filiazione è un diritto essenziale, tranne per impossibilità o caso di forza maggiore di natura patologica.
Infine chiediamo a tutti di aprire gli occhi su una realtà che è la solitudine di milioni di persone, in situazioni di indigenza materiale, affettiva e psicologica talvolta terribile. Piuttosto che interrogarsi astrattamente sui supposti disordini antropologici di un'apertura del matrimonio ad una parte necessariamente ridotta della popolazione, non sarebbe meglio rivolgere tutti i nostri sforzi al disordine antropologico, ben reale questa volta, di una società le cui forme di consumo, di produzione e di ripartizione sono così poco rispettose della persona umana e della sua dignità?
L'umanità cresce quando i cittadini rifiutano di sacralizzare i legami di sangue e danno la precedenza ai legami di fraternità che li uniscono. Così ciò che li unisce, anche all'interno della famiglia, deriva dall'adozione. Cristo sulla croce diceva a Giovanni: “Giovanni, ecco tua madre” e a sua madre “Donna, ecco tuo figlio”.
Non è la paternità biologica, non sono i legami di sangue che ci rendono fratelli e sorelle. Il nostro DNA unico e comune è un amore fraterno che sposta più lontano le frontiere dei nostri pregiudizi e delle nostre paure.

* Dichiarazione di Témoignage chrétien a proposito della legge sul matrimonio per tutti e in occasione delle manifestazioni del 16 dicembre 2012 e del 13 gennaio 2013.

mercoledì 26 dicembre 2012

GLI ZOCCOLI DI NATALE



Questa leggenda risale ai tempi in cui i Barbari invasero la Gallia devastandola. Il mondo gallo-romano stava crollando ed i contadini fuggivano all'incalzare delle orde di Attila e di Genserico. Fra i contadini in fuga c'erano anche San Crispino e San Crispiniano. La notte di Natale, tremanti di freddo e di fame, essi bussarono alla porta di una misera casupola di Crespy en Valois. Comparve una donna in lacrime, con voce rotta dai singhiozzi narrò che pochi giorni prima, suo marito era stato ucciso dai Vandali. Ora le rimaneva solo un bambino di due anni che piangeva in una culla. "Ha fame. Ci hanno portato via tutto e abbiamo tanto freddo; per l'ultima fiammata ho bruciato persino gli zoccoletti del mio piccino."
I due santi, commossi, andarono ad abbattere un albero nel bosco vicino e svelti svelti intagliarono due rozzi sandaletti che posarono davanti al focolare spento. Poi si inginocchiarono in preghiera. Ed ecco che miracolosamente i trucioli che avevano gettato nel camino si misero a danzare e a brillare. Non erano più trucioli di legno, ma pepite d'oro. E così Crispino e Crispiniano furono proclamati patroni dei calzolai. Gli zoccoli di legno da allora vennero considerati un simbolo natalizio; ogni anno, colmi di dolci o semplicemente decorati a vivaci colori, ornano le case o si regalano.

lunedì 24 dicembre 2012

IL PRESEPE DI GRECCIO

di Tommaso da Celano da "VITA PRIMA"

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incamazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria del Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco, vede che tutto è predisposto se- condo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria.
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che, in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore,e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell'anima e santificazione del corpo, la carne dell'Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.

domenica 23 dicembre 2012

UN SUSSULTO NEL GREMBO


IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». (Lc. 1, 39-45)

Oggi il vangelo ci rivela come si sono realizzati la venuta del Messia e il mistero della redenzione che essa contiene.
La persona di Maria, la sua fede, il suo “sì”, la sua maternità, sono le vie scelte da Dio per fare visita ai suoi e portare la salvezza a tutti gli uomini. Il centro dell’avvenimento evangelico di questo giorno si sviluppa, dunque, attorno a Maria: lei è la più profonda e più radicale via dell’Avvento. Si capisce la ragione della visita a sua cugina Elisabetta nel messaggio dell’angelo (Lc 1,36). Ella si dirige rapidamente verso il villaggio in Giudea, perché la grazia ricevuta da sua cugina Elisabetta, che diventerà mamma, la riempie di gioia. Il suo saluto ha un effetto meraviglioso su Elisabetta e sul bambino. Tutti e due si impregnano di Spirito Santo. Elisabetta sente il bambino sussultare dentro di sé, come fece tempo prima Davide davanti all’arca dell’Alleanza, durante il suo viaggio a Gerusalemme (2Sam 6,1-11). Maria è la nuova arca dell’Alleanza, davanti alla quale il bambino esprime la sua gioia. Dal bambino l’azione dello Spirito è trasmessa anche ad Elisabetta, cosa che la conduce a riconoscere la Madre del suo Signore. Sotto l’ispirazione dello Spirito, conosce il mistero del messaggio dell’angelo a sua cugina Maria, e la riconosce “felice” in ragione della fede con la quale ella l’ha ricevuto. La testimonianza di Elisabetta è la più antica testimonianza della venerazione della prima Chiesa per la Madre del Salvatore.


O Dio, che ci hai dato il pegno della vita eterna,
ascolta la nostra preghiera:
quanto più si avvicina
il gran giorno della nostra salvezza,
tanto più cresca il nostro fervore,
per celebrare degnamente il Natale del tuo Figlio.
Per Cristo Nostro Signore

sabato 22 dicembre 2012

LA PREGHIERA



La preghiera è il sunto del nostro rapporto con Dio. Potremmo dire che noi siamo ciò che preghiamo. Il grado della nostra fede è il grado della nostra preghiera; la forza della nostra speranza è la forza della nostra preghiera; il calore della nostra carità è il calore della nostra preghiera. Né più né meno.
(Carlo Carretto - Lettere dal deserto)

venerdì 21 dicembre 2012

MAHMOUD E AYAZ



Articolo di Carlos Osma del 10 dicembre 2012 dal sito di “Homoprotestantes” (Spagna) liberamente tradotto da me.

Mahmoud e Ayaz si tenevano per mano mentre nessuno poteva vederli, erano molto vicini, tanto da poter sentire il ritmo accelerato del battito del cuore l’uno dell’altro. Avevano paura, ma rimanevano in silenzio. Niente sembrava dare un senso al tempo, infatti le parole erano di troppo, solamente i sentimenti di paura, colpevolezza e amore, occupavano quella specie di stalla dove avevano passato la notte.

Sentivano degli animali intorno a loro, vacche e cavalli, o forse buoi e muli, ma non avevano curiosità di sapere se erano una cosa oppure un’altra. Quello che vedevano erano galline e polli che passavano avanti e indietro, e le pecore e le capre che sembravano non accorgersi della loro presenza. Senza dubbio l’invisibilità non li preoccupava, e neppure li spaventava, era qualcosa alla quale erano abituati fin da piccoli. Avevano appena abbandonato la loro adolescenza.
Avevano udito il rumore in lontananza di persone che venivano a piedi, o con muli e cammelli. Ma avevano ancora un po’ di tempo per stare da soli, ancora un po’ di tempo per raccontarsi una vita da vivere insieme che non avrebbero mai raggiunto. Tempo per dirsi che si volevano bene, tempo per arrabbiarsi e riconciliarsi, tempo per deludersi e chiedere perdono, tempo per ricercare insieme i propri sogni, o tempo per fare in modo che l’altro realizzasse i suoi. Ma non aprirono la bocca, solo le mani erano strette e serrate con più forza mentre le lacrime esprimevano tutto il resto.

Se non avevano perso la nozione del tempo, oggi era venerdì, come il giorno che si erano conosciuti. E doveva essere la stessa ora, quella della preghiera. Entrambi erano a piedi nudi come allora, ma a quel tempo non riuscivano a smettere di parlare, a raccontarsi le cose, fu attrazione a prima vista. Tutti pensavano che fossero grandi amici, ma la verità era che erano profondamente innamorati, non avrebbero mai pensato che li avrebbero scoperti. Vedere le loro madri in lacrime e vedere i loro padri pieni di rabbia era stata dura, non avevano altra scelta che mentire loro affinchè il loro mondo non sparisse con loro. Ma non era servito a niente, un familiare li denunciò alla polizia, e gli eventi per loro precipitarono rapidamente e tragicamente. Ora erano lì imprigionati, seduti e terrorizzati in attesa.

Mahmoud faticava a respirare, il terribile odore di letame lo obbligò ad alzarsi avvicinandosi alla finestrella con le sbarre che era lì vicino. Da lì riusciva a vedere il cielo, la luce di una grande stella lo aveva abbagliato e costretto a chiudere gli occhi, aveva così poca forza che cadde in ginocchio. Si girò rapidamente e vide Ayaz che stava gesticolando indicandogli un angolo di quella stalla. C’era una specie di culla fatta di legno e paglia, e dietro di essa una bambina con i capelli castani che non doveva avere più di tre anni, in piedi li guardava con i suoi dolci occhi azzurri spalancati.

Ayaz e Mahmoud non avevano avuto tempo per parlare di quello, ma avevano sentito che in alcuni paesi, gli uomini come loro potevano aver figli. Non lo sapevano per certo, ma se tutto fosse stato diverso, se l’amore avesse trionfato, forse un giorno aavrebbero avuto una bambina come questa. Una bambina da amare, da proteggere, da crescere e curare. Una bimba che assomigliasse a quella, che avesse un amore incondizionato negli occhi e che dicesse che la loro relazione non era qualcosa di sporco, ma che poteva essere la cosa più bella del mondo. Era così impossibile da credere, come il fatto che quella bambina fosse lì in quel momento.

Ma era vero, e quella bambina si avvicinò a loro lentamente per asciugare le loro lacrime. E disse una parola nuova per loro, come le prime sillabe dette dai bambini: “il vostro amore ha trionfato”. Non volevano spiegarle che non era così, che a volte l’amore perde, e che quelli che perdono devono pagare un prezzo alto. Era una bambina e con certezza l’avrebbe scoperto con il tempo da sola. Ma, come se quel piccolo essere sapesse quello che stavano pensando, li guardò con amore e misericordia, e li prese entrambi per mano. Fu in quel momento che si accorsero che la bimba era ferita, che aveva del sangue sulle mani.

Prima di poter fare o dire qualcosa, la porta si aprì, la folla era giunta. Ayaz e Mahmoud dissero alla bambina di andarsene, di fuggire in fretta, ma lei li ignorò e rimase con loro. Tutti gli altri si muovevano come se la bimba non fosse lì. Le guardie bendarono gli occhi ad entrambi e legarono le loro mani dietro la schiena, ma la bambina continuava a tenere le loro mani. Avevano paura, sentivano le grida, gli insulti e i colpi che ricevevano mentre camminavano tra la folla. Piangevano, tremavano e pregavano il loro Dio che non li abbandonasse, mentre stringevano con più forza le manine di quella bambina misteriosa che li teneva uniti.

Salirono le scale fino ad una pedana, capirono che stavano mettendo la corda intorno al loro collo, e poco prima che i loro corpi fossero spinti con violenza verso il vuoto, dall’odio incomprensibile di coloro che si aggrappano al loro Dio terribile che non riconosce un amore diverso, hanno sentito la bambina che diceva:: “Io so che il redentore di coloro che hanno perso la loro vita ingiustamente, è vivente, e un giorno resusciterà i morti”.

Dopo l’esecuzione la folla si spostò di nuovo verso la stalla, cantando e ringraziando Dio. Speravano di trovare lì il loro salvatore, ma non c’era. Non era importante, continuarono a rimanere lì, inginocchiati davanti alla culla vuota, come se non si rendessero conto che non c’era colui che stavano aspettando.

Da lontano, la bambina li guardava tristemente mentre ungeva, con i suoi capelli impregnati di mirra, i corpi senza vita di Mahmoud e Ayaz.