venerdì 31 agosto 2012

CI VORREBBE UN AMICO

Una delle figure di spicco dell’Antico Testamento è sicuramente il Re Davide. La vita di quest’uomo è stata avventurosa e ricca di colpi di scena, amante delle donne che non aveva timore di prendersi anche se già sposate, e mandandone a morte i legittimi mariti, uno fra tutti Uria l’Ittita. Ed era anche un po’ sbruffone, ma gli è sempre andata bene: le vie in cui si manifesta l’amore di Dio sono insondabili. 
Dopo aver sbaragliato e ucciso Golia, il campione filisteo che terrorizzava e insolentiva gli ebrei sfidandoli a duello, conobbe fortunatamente Gionata, che successivamente gli sarebbe stato d’aiuto nel rapporto tumultuoso che Davide intratteneva con il Re Saul, che guarda caso era padre proprio del giovane Gionata.
Si narra che il piccolo Davide fosse stato introdotto alla corte di Saul come suonatore di cetra, dato che era dotato di buona voce e di capacità liriche notevoli. Siccome era anche un uomo valoroso, Saul lo amava molto ed egli divenne il suo scudiero. L’amicizia del figlio del re con Davide nacque poco dopo l’uccisione di Golia, che impressionò moltissimo il giovane principe. Nacque così una profonda amicizia: “la medesima anima di Gionata si legava all’anima di Davide ed egli lo amava come la sua propria anima” e i due ragazzi “concludevano un patto d’amicizia”.
Ma Saul improvvisamente impazzisce perchè lo Spirito di Dio lo aveva lasciato ed era stato sostituito da uno spirito cattivo. Saul cominciò ad avere il desiderio di uccidere Davide, e Gionata si affrettò ad aiutarlo facendolo fuggire perchè non aveva sentimenti di gelosia nei suoi confronti ma al contrario, lo amava come se stesso.
Non vedendolo ritornare a corte, Saul cominciò a mangiare la foglia e, mentre sedevano a tavola, il figlio prese le difese dell’amico. Questo fece infuriare talmente il padre che quasi scagliò una lancia contro il proprio stesso figliolo.
Allora l'ira di Saul si accese contro Gionatan, e gli disse:«Figlio perverso e ribelle, non so io forse che tu prendi le difese del figlio d'Isai, a tua vergogna e a vergogna di tua madre? Poiché fintanto che il figlio d'Isai avrà vita sulla terra non vi sarà stabilità per te né per il tuo regno. Dunque mandalo a cercare e fallo venire da me, perché deve morire». Gionatan rispose a Saul suo padre e gli disse: «Perché dovrebbe morire? Che ha fatto?» Saul brandì la lancia contro di lui per colpirlo. Allora Gionatan riconobbe che suo padre aveva deciso di uccidere Davide. Acceso d'ira, si alzò da tavola, e non mangiò nulla il secondo giorno della luna nuova, addolorato com'era per l'offesa che suo padre aveva fatta a Davide. (1Sam 20, 30-34)
Il Re Saul era proprio furente, in una versione dell’antico testamento, nel versetto 30, se la prende anche con la madre di Gionata:
“O figliuolo di madre perversa e ribelle, non so bene io che tu tieni la parte del figliuol d'Isai, a tua vergogna, ed a vergogna della tua vituperosa madre?”.
Sta di fatto che Gionata corre ad avvisare Davide del pericolo e quando finalmente si incontrano, i due potenti guerrieri cominciano a piangere a dirotto e a baciarsi tra di loro, ma Davide piangeva di più. Dopo di che rinnovano il loro patto di amicizia.
Purtroppo nella battaglia contri i filistei, i nemici di Dio, Gionata soccombe alle armi nemiche, con lui muoiono anche il padre e due fratelli. I loro corpi vengono appesi alle mura di Bet-san e successivamente recuperati dagli Ebrei per la degna sepoltura.
Ecco che arrivano le lamentazioni di Davide che tanto amava l’amico. Questi lamenti sono abbastanza equivoci e potrebbero far pensare ad un legame che tra di loro esisteva, e che superava di gran lunga il rapporto amicale.
In più punti viene sottolineata la disperazione di Davide per l’amico Gionata ed in particolare nel secondo Libro di Samuele:
Io sono in angoscia a motivo di te, Gionata, fratello mio; tu mi eri molto caro, e l'amore tuo per me era più meraviglioso dell'amore delle donne. (2Sam 1, 26)
Ora mi chiedo: per quale motivo la Bibbia riporta queste parole di Davide? L’amore dei due era più caro dell’amore alle donne. Evidentemente perchè l’affetto che esisteva fra i due era qualcosa che trascendeva il rapporto che legava Davide alle mogli, quello cioè della procreazione. Era un affetto profondo e di completa donazione l’uno all’altro. Le povere donne ebree erano considerate poco più che animali a quel tempo. Due uomini, per di più di discendenza regale, erano talmente legati l’uno all’altro da questo rapporto di reciproco amore, che venivano sublimati ad una condizione di vera parità intellettiva ed affettiva. Un rapporto coniugale dove non esisteva un superiore ed un inferiore ma un’anima sola.
Appena Davide ebbe finito di parlare con Saul, Gionatan si sentì nell'animo legato a Davide, e Gionatan l'amò come l'anima sua. Da quel giorno Saul lo tenne presso di sé e non permise più che egli ritornasse a casa di suo padre. Gionatan fece alleanza con Davide, perché lo amava come l'anima propria. (1Sam 18:1-4).

giovedì 30 agosto 2012

NOEMI E RUTH

La storia di Noemi e Ruth non ha nessun richiamo all’amore omosessuale, ma è una storia di amore materno/filiale tra la suocera e la nuora. La storia viene narrata nella Bibbia, nel “Libro di Ruth”, un breve racconto diviso in quattro capitoli che potete leggere in pochissimo tempo. Per coloro che non hanno voglia di addentrarsi nelle pagine del Sacro testo, racconto brevemente e senza addentrarmi troppo le vicende legate a queste due donne.
Il racconto ci narra la vita di una famiglia della Galilea che per la fame si spinge in terra Moabita, composta dai genitori, Emimelech e Noemi e dai figli Maclon e Chilion. Giunti nella nuova residenza i figli sposano due ragazze del posto, Ruth e Orpa. Purtroppo tutti gli uomini della famiglia muoiono e le donne rimangono sole e derelitte in questa terra inospitale. Dopo dieci anni di stenti e di privazioni, la matriarca decide di fare ritorno a Betlemme e congeda pertanto le due nuore lasciandole libere di tornare alle proprie famiglie. Ruth si rifiuta di abbandonare la suocera e fa ritorno con lei in Galilea. Mentre la ragazza presta servizio come spigolatrice di grano, viene notata da Booz, un parente di Noemi. Quest’ultima consiglia Rut perché induca Booz a prenderla in moglie “Noemi, sua suocera, le disse: Figlia mia, non devo io cercarti una sistemazione, così che tu sia felice?.. ” (Rt 3,1), cosa che avviene dopo che un parente più prossimo ha rinunciato ad averla in sposa. Rut genera quindi con Booz un figlio, Obed, che sarà padre di Iesse che a sua volta sarà padre di Davide.
Il libro è dunque importante perchè è in relazione alla discendenza davidica e quindi alla discendenza di Gesù.
Come dicevo in apertura, l’affetto che lega le due donne è molto tenero e casto, ma le parole utilizzate nel testo sono talmente ricche di sentimento da essere divenute un canto di profondo amore tra due donne.
«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch'io, e là sarò sepolta. Il SIGNORE mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!»
Questo amore che Noemi e Ruth si dichiararono, come mille donne prima e dopo di loro, non avevano molto a che fare con parole proibite, ma con l’atteggiamento. Solamente un amore profondo sa riconoscere la libertà dell’altra. Per questo Noemi liberò sua nuora da seguirla nel suo difficile cammino, per questo la invitò a rinunciare a lei e a tornare a casa dai suoi genitori dove poteva sentirsi più sicura. Non voleva trattenerla, farla sua, non aveva nulla da offrirle se non il suo amore senza nome. Per questo motivo le chiese che se ne andasse dandole un bacio. Noemi sapeva bene che il suo destino le chiedeva di abbandonare le sue speranze, e lasciar libera la donna che aveva tanto condiviso con lei.
A questo amore che non possiede, che non trasforma in oggetto l’essere amato, Ruth rispose senza pensarci sopra, pur comprendendo molto bene però quello che avrebbero affrontato insieme. Lasciare la sua casa, il suo popolo, farsi unico corpo con essa, fino a che la morte non le avesse separate, rinunciare a quello che era più sacro, incluso il dio che aveva precedentemente conosciuto, questa fu la sua decisione.
Perchè sapeva bene che Noemi era la sua casa, il suo popolo, la sua carne, e che sono grazie a lei avrebbe potuto incontrare un nuovo Dio. In quel momento unico, Noemi giustificava la sua esistenza: se non avesse saputo, se non avesse vissuto; se non si fosse avventurata con lei, non sarebbe morta, perchè non avrebbe vissuto. Un amore senza nome in quel tempo, come il Dio che le era accanto, mentre camminavano unite in un luogo dove nasceva la speranza.


“Ti amo come mia simile
mia uguale mia somigliante,
da schiava a schiava
compagna di sovversione
all’ordine domestico.
Ti amo questa ed altre notti
con i dati d’identità
scambiati,
così come allegramente scambiamo le nostre vesti,
e il tuo abito è il mio
e i miei sandali sono i tuoi.
Come il mio seno
è il tuo seno
e le tue antenate sono le mie…”

mercoledì 29 agosto 2012

SANTI SERGIO E BACCO

Chi sono i patroni degli omosessuali? E delle lesbiche?
Pare sia ormai un fattore conclamato che i santi gay per gli uomini siano Sergio e Bacco, mentre per le donne siano Ruth e Noemi.
Come mai? Vediamo un po' di fare luce sulle figure dei due maschietti.
I santi Sergio e Bacco erano due soldati romani di religione cristiana che avevano come stanziamento la corte di Massimino Daia, tetrarca d’Oriente. Siamo in quella che è l’attuale Resafa, in Siria, intorno all’anno 300 e pare fossero di alto grado militare.
L’agiografia racconta che furono denunciati da nemici invidiosi della loro posizione presso il tetrarca d’Oriente, e vennero barbaramente martirizzati a causa del loro rifiuto nel sacrificare a Giove Capitolino. Nonostante la loro lealtà e capacità, dimostrate come soldati, persone invidiose del loro prestigio e della loro posizione, non si lasciarono sfuggire l’occasione per denunciarli all’Autorità al fine di prenderne il posto e ci riuscirono. Bacco e Sergio furono destituiti da tutti gli incarichi, radiati dall’esercito, imprigionati come cospiratori e traditori. Furono umiliati come soldati e offesi nel loro amore; pare che siano stati fatti sfilare per dileggio per le vie della città, vestiti da donna, come a sminuirli nella loro fama di soldati prodi e nel loro amore virile. Nonostante l’umiliazione non rinnegarono comunque nulla, né del loro amore reciproco, né della loro fede. Bacco e Sergio si dimostrarono fedeli e leali fino alla morte, così come lo furono in vita.
Erano gli anni della terribile persecuzione cristiana voluta da Diocleziano e imposta a tutti i tetrarchi dell’impero. Bacco sarebbe stato flagellato a morte mentre Sergio venne costretto a camminare per tutti gli accampamenti con i piedi trafitti dai chiodi ed infine decapitato. Negli antichi documenti viene riportato che il primo a morire fu Bacco per i maltrattamenti subiti. A quel punto la fede di Sergio comincia a vacillare e si lamenta dicendo:
-          Oh mia metà, non canteremo mai più gli inni e le canzoni che cantavamo insieme. Te ne sei andato da me e mi hai lasciato sulla terra da solo e sconsolato.
A quel punto gli apparve la visione dell’amato Bacco che radioso e bello lo consola:
-          Perchè ti lamenti e duoli, mio amato. Io ti sono stato portato via nel corpo, ma nel legame del nostro amore sono ancora con te.
Non ci è dato di sapere se queste parole amorose fossero frutto del delirio dovuto al martirio o meno, sta di fatto che i due colleghi centurioni pare avessero un legame molto più profondo che li univa. Come dicevo prima, stranamente l’agiografia ci sottolinea che prima di venire martirizzati, vennero fatti sfilare davanti alla popolazione e ai soldati in abiti femminili, il che farebbe pensare che i due avessero un rapporto omosessuale. Inoltre l’iconografia di questi due santi ci è stata tramandata con due aureole unite tra di loro tanto da sottolineare l’unione dei due nel martirio e anche nella vita. Il loro orientamento e relazione affettiva è stato apertamente accettato dai primi scrittori cristiani. Inoltre, in un’immagine che per alcuni occhi cristiani moderni potrebbe sconfinare nella blasfemia, l’icona ha Cristo stesso come testimone del loro pronubus, che vigila quindi sul loro matrimonio omosessuale. Ad avvalorare questa tesi, un antico manoscritto greco, la "Passio antiquor Ss. Sergii et Bacchi" descrive Sergio come "dolce compagno e amante" di Bacco. Severo di Antiochia, nel sesto secolo, ha inoltre spiegato che “nelle orazioni non dobbiamo separare Sergio e Bacco che erano uniti nella vita”. Qui potete leggere un interessante articolo.
La loro commovente memoria si diffuse dal luogo della loro morte, sia in Oriente che in Occidente.La venerazione per i due martiri in Oriente è sempre stata molto diffusa, tanto che l’antica Rusafa si chiamava Sergiopoli.
Qui in Italia questi due santi sono praticamente sconosciuti. Indovinate come mai...


PREGHIERA AI SANTI SERGIO E BACCO
Signore nostro Dio,
nella vita di Sergio e Bacco, noi possiamo ammirare le mirabili virtù  della lealtà e della fedeltà, unite al loro amore reciproco e alla loro fede. Bacco e Sergio, non furono uomini ipocriti e bugiardi, ne tanto meno codardi e traditori. Dona anche a noi sincerità e fedeltà, lealtà nella nostra vita, nei nostri amori, nella nostra fede.
Per Cristo, nostro Signore.
Amen.


martedì 28 agosto 2012

GLI AMORI MASCHILI DI APOLLO

Il dio Apollo, figlio di Zeus e di Latona e fratello gemello di Artemide, non disdegnava di certo le tentazioni piacevoli del sesso. Tra le centinaia di donne che ebbero una relazione con il dio del sole, delle arti, della medicina, della musica e della profezia, compaiono anche dei giovani maschietti. I più famosi di tutti sono Ciparisso e Giacinto.

Ciparisso era un giovane cacciatore dell’isola di Ceo (isola delle Cicladi, nell’Egeo), amato da Apollo per la sua grazia e la sua eccezionale bellezza. Il dio del sole gli aveva insegnato a maneggiare l’arco, la musica e gli aveva dato in custodia un magnifico animale sacro. Si trattava di un cervo dalle corna di oro massiccio. Ciparisso era felice di questo incarico e stava sempre in compagnia del bellissimo animale in giro per i boschi. Per renderlo più bello il giovane gli aveva messo al collo una collana di rubini. Il cervo girava tranquillamente  per le case come un animale domestico, tutti lo conoscevano e le fanciulle lo nutrivano con ciuffi di erbe. Nessuno  pensava di fare del male al meraviglioso animale, non solo perché era sacro alle Ninfe ma perché era carissimo a Ciparisso. Il giovinetto gli montava in groppa, si attaccava con le mani alle corna d’oro e ogni giorno andavano attraverso il bosco.
Un giorno, dopo una di quelle scorazzate, la bella bestia stanca si fermò, Ciparisso invece aveva una gran voglia di cacciare, aveva visto volare miriadi di tortore, ne voleva prendere qualcuna.
Trovandosi solo  il principe entrò nel bosco e si mise a saettare a ogni fruscio, puntava l’arco pronto a scoccare la freccia. Ad un tratto risuonò un bramito e contemporaneamente balzò fuori il cervo da dietro una siepe con la freccia infissa nel fianco, lasciando dietro di sè un rivolo di sangue. Il giovane si sentì morire, corse ansimando dietro la bestia e finalmente vicino a un corso d’acqua lo raggiunse, ma non vi era più nulla da fare. Ciparisso chiuso in un muto dolore sedette sulla sponda del torrente e cominciò a piangere. Apollo vide tutto dall’alto e scese per apprendere come era avvenuta quella disgrazia. Ciparisso senza chiedere alcun conforto singhiozzando gli raccontò l’accaduto. Apollo gli chiese: ”dimmi che cosa vuoi per mitigare il tuo dolore”. Ciparisso gli rispose : “se tu mi ami veramente, fammi una grazia rendimi immortale per poter piangere sempre”.
Apollo ebbe pietà e lo toccò sulla fronte, immediatamente Ciparisso si levò in piedi, si avvolse nel suo mantello verde e con un brivido di freddo si mise a guardare il cielo. Le lacrime che scorrevano dai suoi occhi si trasformarono in piccole foglie, e in breve coprirono il viso, i piedi si indurirono e s’affossarono nel terreno, e nel luogo dove Ciparisso piangeva spuntò un elegante Cipresso.
Apollo decretò che quella pianta, fosse da allora in poi di conforto ai defunti.
Il dio del sole s’innamorò anche di un giovane della Laconia, Giacinto, figlio di Amicla e di Diomedia era un ragazzo bellissimo; Apollo ammirando tanta armonia di forme, volle instaurare con lui una fervida amicizia e per stare assieme a lui tralasciò tutte le sue principali attività, trasportando invece le reti e tenendo i cani al guinzaglio quando quest’ultimo andava a caccia. Apollo era gelosissimo di lui, un giorno venne a sapere che Tamiri, un compaesano di Giacinto si era innamorato di lui e decise di farlo fuori. Tamiri reputava di superare le muse nelle loro arti, il dio, con estremo piacere andò dalle sue allieve per riferire tali parole. Le muse allora, privarono il povero Tamiri, reo di presunzione, della vista, della voce e della memoria. Apollo e Giacinto si trovavano spesso sulle rive del fiume Eurota e si esercitavano al lancio del disco. Un giorno i due si spogliarono, si unsero d’olio d’oliva, ed iniziarono una gara di lancio col disco: Apollo lo faceva volare in aria e Giacinto correva a riprenderlo. Anche Zefiro, il dio del vento di primavera, era amico di Apollo e indignato della preferenza del dio per Giacinto, quando Apollo lanciò il disco, con suo soffio ne deviò il lancio e lo spinse contro la testa di Giacinto: il colpo fu talmente forte che il giovane cadde a terra morto. Dal sangue della ferita, Apollo fece nascere il fiore che porta tuttora il suo nome: il giacinto, affinché del giovane e del profondo dolore del dio per la sua morte si conservasse memoria in eterno.    
Apollo fu certamente una divinità fortemente correlata con l’omosessualità. In questo senso, fondamentale fu la scoperta di una serie di iscrizioni presso il tempio di Apollo Karneios a Santorini, isola dell’Egeo colonizzata da popolazioni doriche originarie di Sparta. Si tratta di alcune tra le primissime iscrizioni nell’alfabeto sviluppatosi in Grecia nell’VIII-VII secolo a.C., in quanto queste iscrizioni sono databili al 700-650 a.C. Il culto di Apollo che aveva luogo presso questo tempio comprendeva certamente competizione ginniche e canore da parte di efebi tra i 14 e i 18 anni circa, cui seguivano sicuramente anche sfrenati rapporti sessuali tra gli stessi adolescenti, espressione di una sessualità libera e gioiosa, forse sotto lo sguardo compiaciuto di adulti che assistevano, probabilmente solo da spettatori, a queste attività. Dalle iscrizioni apprendiamo infatti che il culmine del culto di Apollo, in periodo di luna piena, era la Gymnopaedia, un rituale che includeva anche pratiche omosessuali tra i giovani partecipanti. Le iscrizioni che si sono conservate sono infatti decisamente eloquenti.
Troviamo una serie di iscrizioni che dicono “Tharumakas è bello” (Tharumakas agathos) e possono essere state scritte ovviamente solo da altri ragazzi, poiché le donne erano escluse dalle attività pubbliche. Ne troviamo molte altre: “Anche Lukudidas è bello” e vicino a questa una terza iscrizione “Ma Eumelos è il più bravo nella danza!”. In un’altra serie di iscrizioni troviamo un certo Krimon, che doveva godere di ottima fama: “Krimon, il più bravo nel danzare in maniera lasciva, ha battuto Simias”. Qui troviamo il verbo qonialoi che indica il lascivo danzare dei satiri che mostrano le loro erezioni! Krimon lo troviamo anche in molte altre iscrizioni molto più esplicite, in cui compare il verbo oiphe, che indica un vero rapporto omosessuale: “Per Apollo! Proprio qui Krimon ha fatto sesso con Bathukles” e ancora “Qui Krimon ha fatto sesso con Amotion” e apprendiamo una lista di altri ragazzi con cui Krimon fece sesso in occasione di quella gymnopaedia: Isokarthus, Pasiovos, Euaisuros, Kresilas. Insomma sembra che si sia dato da fare parecchio, e alternando ruolo attivo e ruolo passivo, poiché oiphe indica precisamente l’atto della penetrazione anale, per cui, ad essere precisi, dovremmo dire che Krimon fu passivo con Bathukles, ma a sua volta fu attivo con Amotion. In un’ennesima serie di iscrizioni, troviamo: “Pheidipidas ha fatto sesso con Timagoras. Anche Empheres e io l’abbiamo fatto.” E sappiamo che questo “io” è un certo Enpulos. Poco sotto queste iscrizioni, qualcuno, forse invidioso, ha inciso “Pornos!”, in pratica “puttane!” poiché pornos significa “prostituto”. Un’altra iscrizione ci racconta: “Enpedokles eneqopteto tade. Qorketo ma ton Apolo” (“Empedocle ha fatto questo. E ha danzato per Apollo”).

lunedì 27 agosto 2012

KHNUMHOTEP E NIANKHKHNUM

Saqqara è una vasta necropoli situata a 30 chilometri dal Cairo. Il monumento di maggior rilievo è la piramide di Djoser, una delle poche costruite a gradoni, che viene considerata la più antica delle Piramidi.
In questa necropoli che copre un area di quasi undici chilometri quadrati, è situata una tomba che ha suscitato particolare interesse tra gli archeologi. Si tratta di un importante ritrovamento, perchè vi è documentata la vita di quella che viene considerata come la prima coppia omosessuale documentata nella storia.
Nel 1964, l’archeologo egiziano Ahmed Moussa, scoprì una serie di tombe con passaggi aperti nella scarpata di roccia che conduce alla piramide di Unas. Visitando una di queste aperture, l’archeologo rimase impressionato dalle scene di due uomini raffigurati in un intimo abbraccio, una cosa mai vista prima di allora. Ricostruendo la mastaba, la pietra che fungeva da porta di accesso, venne scoperto che questa tomba singolare era stata costruita per due uomini che avevano lo stesso titolo di “caposquadra di manicure del Re Niuserre” della quinta dinastia. I loro nomi erano Khnumhotep e Niankhkhnum. Stranamente i nomi presentano entrambi la radice Khnum, divinità egizia particolarmente venerata ad Assuan, considerato protettore delle sorgenti del Nilo e della potenza creatrice delle sue inondazioni.
Khnumhotep (Khnum è soddisfatto) e Niankhkhnum (Khnum ha vita) sono più volte raffigurati abbracciati e mano nella mano. Il nome Khnum oltre ad essere un riferimento al dio significa anche "uniti insieme" e "unito con" e soprattutto "soci, compagni, amici" e perfino "coabitanti". I loro nomi iscritti insieme, così come appaiono al di sopra dell'entrata della camera scavata nella roccia, possono rappresentare un gioco di parole, col significato di "uniti nella vita e uniti nella pace" e ovviamente fa riferimento alla unione dei due uomini e al loro desiderio di rimanere insieme in questa vita e in quella successiva. Non sappiamo a che punto della loro vita essi presero questi nomi.

All'estremità sud della camera c'è la scena del banchetto dove Niankhkhnum e Khnumhotep vengono mostrati nell'atto di festeggiare le offerte intrattenuti da danzatori, cantanti e musicisti. La scena è ricca di dettagli e indizi che ci aiutano a capire la vita di Niankhkhnum e Khnumhotep. Khnumhotep siede nell'angolo in alto a destra con in mano un fiore di loto rivolgendo il viso al suo compagno Niankhkhnum che siede sul lato sinistro. Ai tempi della quinta Dinastia pochissimi uomini venivano rappresentati con un fiore di loto in mano o nell'atto di odorarli. In questa tomba solo le donne (le mogli e le figlie dei due uomini) hanno in mano un fiore di loto, solo le donne e Khnumhotep.
Seduta accanto a Niankhkhnum ci sono tracce sbiadite di una donna, forse sua moglie, ma la sua immagine è stata rimossa in tempi antichi da coloro che progettarono la tomba. Non sappiamo il motivo per cui la sua figura fu rimossa, ma ciò lascia i due uomini come soli ospiti onorari alla loro festa del funerale. Nessuna stanza fu predisposta nel progetto originale per dare posto ad altre persone accanto a loro.
Al di sotto dei due uomini ci sono i musicisti, le ballerine e i cantanti. Un dettaglio mostra le ballerine, gli arpisti, i suonatori e i cantanti. L'uomo che sta in piedi è il direttore. Egli dice ai musicisti di "Suonare quella dei due fratelli divini", un probabile riferimento a Horus e Seth che erano conosciuti con quell'appellativo. Uno dei primi riferimenti scritti ad Horus e Seth dai Testi della Piramide trovati nella piramide di Re Pepi I afferma che Horus penetrò sessualmente Seth e che Seth penetrò Horus. Perciò questa canzone potrebbe essere una canzone volgare o un modo per collocare i due uomini nel regno dei cosmi divini associandoli a Horus e Seth.
E' nella cappella delle offerte che si ritrovano i ritratti più intimi. Nella scena all'entrata, tra due porte, i due manicure abbigliati in modo identico, sono mostrati in un abbraccio, naso a naso. I loro bambini li circondano, ma le mogli non sono rappresentate. La relazione tra i due uomini non è chiara. Gli egittologi la considerano problematica. Sono fratelli? Potrebbero essere gemelli? Sono amici intimi o amanti? Sono tutto questo?
Interpretare Khnumhotep e Niankhkhnum come fratelli implicherebbe anche rivedere le altre rappresentazioni come coppie di fratello e sorella piuttosto che come coppie sposate. Questa teoria sarebbe plausibile, ma nessun egittologo l'ha mai sostenuta.

Sulla parete ovest della camera delle offerte ci sono due false porte. Quella a destra per Khnumhotep, quella a sinistra per Niankhkhnum. Queste false porte sono separate dalla scena dei due uomini che si abbracciano anche se non così vicini come nella scena rappresentata all'entrata.
Sulla parte est, la coppia è rappresentata nell'abbraccio più intimo possibile rispetto ai canoni dell'arte egiziana antica. Niankhkhnum è sulla destra e tiene stretto l'avambraccio destro del compagno; Khnumhotep, sulla sinistra, ha il braccio sinistro intorno alla schiena dell'altro e stringe con la mano la sua spalla. Di nuovo le punte del naso dei due uomini si toccano e stavolta i loro busti sono molto ravvicinati, tanto che i nodi delle cinture sono in contatto tra di loro, se non addirittura legati. Qui, nella parte più intima e privata della loro tomba, i due uomini sono uniti in un abbraccio destinato a durare per l'eternità.

domenica 26 agosto 2012

UNITI PER SEMPRE


Lo spirito afflitto trova pace
solo in unione a uno spirito a lui simile.
I due convergono nell'affetto,
come uno straniero si rallegra
a vedere un altro straniero
in una terra lontana.
I cuori che si uniscono
per mezzo del dolore
non saranno separati
dalla gloria della gioia.
L'amore lavato dalle lacrime
rimane eternamente puro e bello.
(Gibran Kahlil Gibran)

sabato 25 agosto 2012

ADRIANO E ANTINOO

Scriveva Flaubert: «Cantami della sera odorosa in cui udisti / levarsi dalla barca dorata di Adriano / il riso di Antinoo e per placare la tua sete lambisti / le acque e con desiderio guardasti / il corpo perfetto del giovane dalle labbra di melograno».
Publio Elio Traiano Adriano, noto semplicemente come Adriano (latino: Publius Ælius Traianus Hadrianus; Italica 24/1/76 - Baia 10/7/138, come sapete tutti, è stato un imperatore romano che regnò dal 117 fino alla sua morte. Il suo impero fu caratterizzato da tolleranza, efficienza e splendore delle arti e della filosofia. Egli stesso studiò la cultura greca della quale era un grande appassionato.


Sulla nascita di Adriano le fonti non concordano: alcune sostengono che nacque a Roma dove il padre stava svolgendo importanti funzioni pubbliche, altre che Adriano nacque a Italica, a 7 km da Siviglia, nella Spagna Betica; la sua famiglia era originaria della città picena di Hadria, l'attuale Atri, ma si insediò ad Italica subito dopo la sua fondazione ad opera di Scipione l'Africano. Il padre, Publio Elio Adriano Afro, era imparentato con Traiano. La madre, Domizia Paolina, era originaria di Cadice. I suoi genitori morirono quando Adriano aveva solo nove anni.

Molto noto è il legame sentimentale con un giovane greco: Antinoo


Antinoo nacque in una famiglia greca abitante nella provincia romana della Bitinia, zona oggi situata nel nord-ovest della Turchia. Una versione riporta che Antinoo si unì al seguito dell'Imperatore quando Adriano passò attraverso la Bitinia, intorno all'anno 124 d.C., e divenne presto il suo giovane amante, accompagnandolo nella gran parte dei suoi viaggi all'interno dell'Impero. Un'altra versione dice che invece Adriano fece cercare per tutto l'Impero il giovane più bello che ci fosse, fu scelto Antinoo. Molti ritengono che la loro relazione abbia seguito il modello classico dell'amore omosessuale greco.


Nel 130, durante un viaggio in Egitto, Antinoo misteriosamente cadde nel Nilo e morì. Sulla sua morte furono sollevati molti dubbi ma la questione rimarrà per sempre oscura e non si può escludere che si sia trattato di suicidio o omicidio. Pare che Antinoo stesso e un sacerdote avessero messo in atto un suicidio rituale, una sorta di sacrificio agli dei per tutelare la vita di Adriano. Antinoo fu divinizzato dopo la morte dall'imperatore e venne eretta in Egitto una città intitolata al suo nome (Antinopoli) nello stesso luogo dove era annegato. La passione e la profondità dell'amore di Adriano furono mostrate in busti e statue rinvenuti ovunque in Europa, che rappresentano un ragazzo dal fascino malinconico, caratterizzato da un volto tondo con guance piene prive di qualsiasi peluria, labbra sensuali, e folta capigliatura a grosse ciocche mosse che ricoprono le orecchie.

Raffigurato in numerosissime sculture (nella veste di molte divinità, quali Dioniso ed Ermes) e su monete, è anche citato in fonti epigrafiche. Un obelisco con iscrizioni in caratteri geroglifici, a lui dedicato, fu ritrovato nel sedicesimo secolo e successivamente innalzato a Roma sul Pincio da Papa Pio VII.
Antinoo fu commemorato da Adriano anche con l'attribuzione delle stelle a sud della costellazione dell'Aquila che presero da allora il nome di Antinous.

ANIMULA VAGULA BLANDULA
(Adriano)
Piccola anima smarrita e soave
compagna e ospite del corpo
ora t’appresti a scendere in luoghi incolori,
ardui e spogli
ove non avrai più gli svaghi consueti.
Un istante ancora
guardiamo insieme le rive familiari
le cose che certamente non vedremo mai più.
Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti.

Adriano morì nella sua residenza di Baia di edema polmonare, a 62 anni come il predecessore Traiano.


Cassio Dione riporta in un brano della "Storia romana":
« Dopo la morte di Adriano gli fu eretto un enorme monumento equestre che lo rappresentava su di una quadriga. Era così grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell'altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l'impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli. »
In realtà non è certo che il monumento funebre sia stato iniziato dopo la morte dell'imperatore e molto probabilmente fu iniziato da Adriano nel 135 e, dopo la morte, terminato dal successore adottato ufficialmente prima di morire, Antonino Pio. La struttura fu, nei secoli, trasformata ripetutamente e oggi è uno dei monumenti più famosi della capitale: Castel Sant'Angelo, il quale è infatti anche denominato Mole Adriana. 


Sta di fatto che la morte del bellissimo amante dell'Imperatore, rimane uno dei misteri più impenetrabili della storia umana. Come dicevo, si sono fatte decine di ipotesi su questa morte e ho riportato più in alto quelle "ufficiali" narrate nelle cronache e negli scritti che sono giunti ai nostri giorni. Rimango alquanto scettico sull'effettiva valutazione dei nostri antichi cronisti. Sta di fatto che il legame fortissimo che univa i due personaggi, non era certo ben visto dalla corte e dai politici del tempo. Anzitutto bisogna anche ricordare un fatto molto importante: Adriano era regolarmente sposato anche se con un matrimonio di facciata.
Vibia Sabina, aveva appena dodici anni quando andò in sposa all'imperatore. Era figlia di Lucio Vibio Sabino e di Matidia e dunque nipote dell'imperatore Traiano che aveva adottato suo marito, facendolo diventare legittimo erede dell'Impero. La loro unione non diede frutti e fu "adombrata" dalla figura di Antinoo. Durante il viaggio nefasto in cui Antinoo perse la vita, la legittima consorte era al seguito della carovana imperiale, e quindi presente sulla scena del delitto. Difficilmente fu lei l'esecutrice dell'omicidio, un'imperatrice non si sarebbe sporcata le mani con un così terribile crimine. Però potrebbe essere stata la mandante della mano assassina. Ma in una corte imperiale le gelosie e i rancori si moltiplicano a dismisura. Potrebbe esserci stato qualcuno che temeva che Adriano riconoscesse l'amante come proprio successore al trono ed ha pensato bene di prendere le misure riparative prima che ciò accadesse. Insomma le ipotesi sono tante e tutte plausibili. Qui potete trovare un interessante indagine. 

Sta di fatto che questo omicida ottenne la glorificazione del giovane amante dell'Imperatore, che passò alla storia e al fasto dei più grandi musei del mondo, tanto da essere uno dei personaggi più raffigurati dell'umanità. Nella splendida villa imperiale alle porte di Tivoli, Villa Adriana appunto, possiamo visitare il tempio a lui dedicato dopo la morte. L'edificio, uno dei più recenti ad essere scoperti, era destinato alla perpetua memoria del giovane greco. L'imponenza della costruzione, secondo le ricostruzioni degli studiosi, ci mostrano il gusto eccellente di Adriano per l'arte e l'architettura, e ricordano eternamente il suo grande amore per questo amante perduto in giovanissima età.


venerdì 24 agosto 2012

NARCISO

La storia che andiamo a narrare è la più conosciuta della mitologia greca e sono tante le sue versioni. Noi prendiamo spunto da quanto ci narra Ovidio nelle Metamorfosi per narrare le vicende di questo giovane la cui bellezza, pari a quella di un dio, fu la causa della sua stessa rovina.
Il fanciullo di cui parliamo si chiamava Narciso ed era figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso che, innamorato della ninfa, la avvolse nelle sue onde e nelle sue correnti, possedendola. Da questa unione nacque un bambino di indescrivibile bellezza e grazia. La madre, poichè voleva conoscere il destino del proprio figlio, si recò dal vate Tiresia per conoscere il suo futuro.
Tiresia dopo aver ascoltato le richieste di Liriope le disse in tono greve che suo figlio avrebbe avuto una lunga vita se non avesse mai conosciuto se stesso. Liriope, che non comprese la profezia dell'indovino, andò via e con il passare degli anni dimenticò quanto gli era stato profetizzato.
Gli anni passarono veloci e Narciso cresceva forte e di una bellezza tanto dolce e raffinata che tutte le persone che lo rimiravano, fossero esse uomini o donne, si innamoravano di lui anche se Narciso rifuggiva ogni attenzione amorosa.
Si racconta della sua insensibilità e vanità tanto che un giorno regalò una spada ad Aminio, un suo acceso spasimante, perchè si suicidasse ed Aminio tanto era grande il suo amore per Narciso, si trafisse il cuore sulla soglia della sua casa.
La sorte volle che la storia di Narciso si incrociasse con quella della ninfa Eco, incontro nefasto che fu la rovina di entrambi i giovani.
Si narra che la sposa di Zeus, Era, la cui gelosia era nota a tutti gli dei e a tutti i mortali, era sempre alla ricerca dei tradimenti del marito e sfortuna volle che un giorno si rese conto che la compagnia e le continue chiacchiere della ninfa Eco, altro non erano che un modo per tenerla a bada e distrarla per favorire gli amori di Zeus dando il tempo alle sue concubine di mettersi in salvo. Grande fu la sua rabbia quando apprese la verità e la sua ira si manifestò in tutta la sua potenza: rese Eco destinata a ripetere per sempre solo le ultime parole dei discorsi che le si rivolgevano.
Racconta Luciano (Epigrammi "A una statua di Eco")
"Questa è l'Eco petrosa amica di Pane,
Che rimanda, ripete le parole,
E ti risponde in tutte le lingue umane;
E più scherzare coi pastori suole.
Dille qualunque cosa, odila e poi
Vanne pei fatti tuoi.
"
Un giorno mentre Narciso era intento a vagare nei boschi e a tendere reti tra gli alberi per catturare i cervi, lo vide la bella Eco che, non potendo rivolgergli la parola, si limitò a rimirare la sua bellezza, estasiata da tanta grazia. Per diverso tempo lo seguì da lontano senza farsi scorgere e Narciso, intento a rincorrere i cervi, nè si accorse di lei nè si accorse che si era allontanato dai compagni ed aveva smarrito il sentiero. Iniziò Narciso a chiamare a gran voce, chiedendo aiuto non sapendo dove andare. A quel punto Eco decise di mostrarsi a Narciso rispondendo al suo richiamo di aiuto e si presentò protendendo verso di lui le sue braccia offrendosi teneramente come un dono d'amore e con il cuore traboccante di teneri pensieri.
Ma ancora una volta la reazione di Narciso fu spietata: alla vista di questa ninfa che si offriva a lui, fuggi inorridito tanto che la povera Eco avvilita e vergognandosi, scappò via dolente. Si nascose nel folto del bosco e cominciò a vivere in solitudine con un solo pensiero nella mente: la sua passione per Narciso e questo pensiero era ogni giorno sempre più struggente che si dimenticò anche di vivere ed il suo corpo deperì rapidamente fino a scomparire e a lasciare di lei solo la voce.
Da allora la sua presenza si manifesta solo sotto forma di voce, la voce di Eco, che continua a ripetere le ultime parole che se sono state rivolte.
Gli dei vollero allora punire Narciso per la sua freddezza ed insensibilità e mandarono Nemesi, dea della vendetta, che fece si che mentre si trovava presso una fonte e si chinava per bere un sorso d'acqua, nel vedere la sua immagine riflessa immediatamente il suo cuore iniziò a palpitare e a struggersi d'amore per quel volto così bello, tenero e sorridente.
Racconta Ovidio (Metamorfosi III, 420 e segg.):
"Contempla gli occhi che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e di Apollo, e le guance levigate, le labbra scarlatte, il collo d'avorio, il candore del volto soffuso di rossore ... Oh quanti inutili baci diede alla fonte ingannatrice! ... Ignorava cosa fosse quel che vedeva, ma ardeva per quell'immagine ..."
Non consapevole che aveva di fronte se stesso, ammirava quell'immagine e mandava baci e tenere carezze ed immergeva le braccia nell'acqua per sfiorare quel soave volto ma l'immagine scompariva non appena la toccava.
Rimase a lungo Narciso presso la fonte cercando di afferrare quel riflesso senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili, dimenticandosi di mangiare e di bere sostenuto solo dal pensiero che quel malefico sortilegio che faceva si che quell'immagine gli sfuggisse, sparisse per sempre(4).
Narra Ovidio (Metamorfosi III 420 e segg.):
"Languì a lungo d'amore non toccando più cibo nè bevanda. A poco a poco la passione lo consumò, e un giorno vicino alla fonte ... reclinò sull'erba la testa sfinita, e la morte chiuse i suoi occhi che furono folli d'amore per sé. ... Piansero le Driadi, ed Eco rispose alle grida dolenti. Già avevano preparato il rogo, le fiaccole, la bara, ma il suo corpo non c'era più: trovarono dove prima giaceva, un fiore dal cuore di croco recinto di candide foglie".
Alla fine morì Narciso, presso la fonte che gli aveva regalato l'amore anelando un abbraccio dalla sua stessa immagine.
E gli antichi narrano ancora che a Narciso non fu di lezione passare ad un'altra vita in quanto, mentre attraversava lo Stige, il fiume dei morti per entrare nell'Oltretomba, continuava a cercare il suo amato, riflesso nelle acque del nero fiume.
Quando le Naiadi e le Driadi andarono a prendere il suo corpo per collocarlo sulla pira funebre si narra che al suo posto fu trovato uno splendido fiore bianco che da lui prese il nome di Narciso.
In qualunque modo sia morto Narciso è certo che questo mito è arrivato sino a giorni nostri. Pittori, musicisti, scrittori, psicologi, continuano a trarre ispirazione dalla storia di questo giovane. Era superbo? Era egocentrico? Era egoista? Era ingenuo? Ognuno ne dia l'interpretazione che ritiene più consona anche se è certo che in fondo il giovane Narciso cercava solo una cosa: l'amore, come ogni creatura che popola questa terra.