venerdì 12 luglio 2013

BIBBIA E OMOFOBIA


Testo di Pierre-Israël Trigano* pubblicato sul sito temoignagechretien (Francia) del 20 giugno 2013, traduzione di finesettimana.org

Lungi dal condannare l'omosessualità, il Levitico invita ad umanizzare la relazione del maschile al femminile nella coppia.
La multisecolare persecuzione degli omosessuali in nome della Bibbia, fino al rifiuto violento della legge che oggi li autorizza al matrimonio, si è essenzialmente costruita attorno alla lettura di un comandamento del Levitico (Lv 18,22): “Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole”.
Letta così, la proibizione è senza appello. Ed è in questo senso che l'ebraismo e il cristianesimo scomunicano gli omosessuali, in tutta coscienza. Ma il testo ebraico di questo versetto è, così come è costituito, uno dei più oscuri della Bibbia. È il segno indubitabile che è carico di un inconscio portatore di un senso inedito.
Considerato nella sua letteralità, possiamo infatti tradurlo così: “Con un maschio [zékher o zakàr], tu non coabiterai [verbo al maschile] gli stati di essere coricato [le “coabitazioni”, i “letti”] di donna [isshah].”
Tanto vale dire che questo versetto è in gran parte incomprensibile, e che il modo in cui le Chiese lo traducono è un'estrapolazione della versione greca dei Settanta, non tradotta dall'originale ebraico. Se la Torah avesse voluto avere come bersaglio direttamente l'omosessualità, lo avrebbe fatto in maniera più chiara, in termini più diretti. Del resto non si vede perché essa avrebbe ignorato l'omosessualità femminile.
Constatiamo in primo luogo che da nessuna parte nel testo si trova la parola “come” che stabilirebbe un paragone tra un rapporto con un uomo e uno con una donna.


Tornare alla letteralità del testo

Letteralmente, in questo versetto si tratta per l'uomo di “coabitare” i “letti” di donna. Come vedervi un qualsiasi riferimento all'omosessualità? Al contrario, questa strana formula potrebbe evocare delle relazioni sessuali dell'uomo con le donne.
In secondo luogo, la parola tradotta con “donna”, isshah, appare per la prima volta nella Bibbia in Genesi 2, nel racconto della Creazione della donna. Il suo contrario, designante “l'uomo”, è ish. Ci si aspetterebbe di trovare questa parola nel versetto per designare l'opposto della donna. Invece, è la parola zékher (o zakàr), il “maschio” che troviamo nel testo, che ha per polo opposto la parola neqebàh, la “femmina”.
Queste due parole fanno la loro apparizione in Genesi 1, nel racconto della Creazione dell'essere umano. Poiché il Levitico si riferisce a zékher (o zakàr), il “maschio”, avremmo dovuto logicamente trovare nel versetto neqebàh, “la femmina”, piuttosto che isshah, “la donna”. Come comprendere questa differenza?
“Maschio” e “femmina” sono delle categorie per le quali la Bibbia (Gn 1,27) definisce l'essere umano che è appena stato creato da Dio: “Maschio e femmina li creò”. La Chiesa si serve del resto anche di questo versetto per affermare senza appello che solo il matrimonio “di un papà e di una mamma” è la norma divina per fondare la famiglia umana.
Ora, bisogna rendersi conto che “maschio” e “femmina” sono delle categorie animali, e non umane. Esse caratterizzano una umanità primitiva che esce ancora con difficoltà dall'animalità.
È precisamente l'emergere di tale umanità, arcaica, originale, non ancora totalmente realizzata, che Genesi 1 descrive. Certamente vi è scritto che è creata “ad immagine e somiglianza di Dio”, ma si tratta di un potenziale divino di umanizzazione che non è ancora attivato all'origine e che è in gioco in tutta l'evoluzione umana.


Maschile e femminile arcaici

Le categorie animali zékher e neqebàh esprimono lo stato di violenza che caratterizza l'umanità arcaica da cui sarà difficile per gli esseri umani, uomini e donne, uscire.
La sorprendente potenza significante dell'ebraico biblico ci aiuta a comprenderlo, in particolare per le possibilità di rilettura che offre. Infatti, questa lingua è puramente consonantica e le vocali non sono fissate nei manoscritti originali.
La stessa parola, associata a vocali diverse, assume significati insospettati ad una prima lettura, e manifesta così sottilmente un “inconscio” dell'esperienza umana che simbolizza.
È, ad esempio, il caso, molto sorprendente, per la parola neqebàh, “femmina”, che noi possiamo rileggere néqoubah, che ha in sé un significato terribile per la condizione femminile, la “forata”, la “maledetta”!
Questa parola ci rivela così senza alcun dubbio che, nell'umanità più arcaica, ancora animale e “primate”, la donna è ridotta alla condizione di “femmina”, dominata, schiacciata dai “maschi”, come oggi ancora nei clan degli scimpanzé, i nostri cugini animali più prossimi.
Anche se nelle tribù primitive dette “matriarcali”, le madri hanno avuto un certo potere, non era certamente così per le figlie, ridotte ad essere oggetti di scambio tra clan, a beneficio dei “maschi”.


La psicologia dello zékher

Ed ecco precisamente ciò che ci suggerisce la parola zékher, che designa questi ultimi: pronunciato zakhor, esprime l'azione di ricordare. Così facendo, lo spirito della lingua ebraica sembra insegnarci che è la potenza dei “maschi” che organizza il “ricordo” dell'origine, la fedeltà alle stirpi arcaiche dell'umanità, e quindi la ripetizione del maltrattamento fatto alle donne di generazione in generazione.
È la psicologia dello zékher, il maschile arcaico e violento, che desidera mantenere e perpetuare nella cultura umana le donne e la femminilità nella condizione maledetta di “femmina” inferiorizzata, violentata e umiliata.
Un'altra caratterizzazione dei generi emerge in Genesi 2 con le parole ish e isshah, “uomo” e “donna”. Sarebbe necessario dissipare molti controsensi che la tradizione (investita, occupata dallo zékher) ha accumulato riguardo a queste parole. Cosa impossibile da studiare nei limiti di questo articolo.
Constatiamo semplicemente che significano “sposo” e “sposa”, e sono quindi delle categorie eminentemente relazionali. Esse designano una umanità finalmente umanizzata, uscita dal suo arcaismo “animale”, nella quale, quindi, può sbocciare la relazione d'amore. Rivelatore è il fatto che la parola isshah, “donna”, pronunciato éshéh, significa: “Dimenticherò...”.


Maltrattamento fatto alle donne
Il “maschio” nell'essere umano vuole organizzare il ricordo dell'arcaismo violento e inumano dell'origine animale, mentre la “donna” nell'essere umano “dimenticherà”! È una promessa profetica portata da isshah.
Verrà un tempo di compimento in cui il maltrattamento fatto alle donne e alla femminilità sarà dimenticato. A questo punto, il senso del versetto si chiarisce. Ingiunge all'uomo soprattutto di non entrare nella coabitazione (sessuale, ma anche in tutti gli ambii della vita di coppia) con isshah, la donna, con (sulla base di) lo spirito dello zékher, il maschio arcaico senza amore e violento.
Isshah è la donna, ma è anche, sul piano archetipico, la femminilità, la capacità di apertura all'altro e di amore, presente nell'uomo quanto nella donna.

Così, questo versetto, lungi dal proibire formalmente l'omosessualità, è piuttosto un'ingiunzione divina a prendersi cura di ogni relazione di coabitazione e di coppia, qualunque sia il (o la) partner che si ha, di fondarla sull'amore, sulla tenerezza, e quindi di coltivare lo sbocciare della femminilità in sé e nell'altro, invece di ferirla sotto i colpi dell'egocentrismo maschile arcaico di onnipotenza.
Come si vede, questa ingiunzione può interpellare sia le coppie omosessuali che eterosessuali, senza gettare l'anatema su una qualsiasi categoria di esseri umani.


Interrogativo etico

Il suo interrogativo non è legalistico, ma etico. Non si accontenta di una applicazione “tecnica” che sarebbe qui il rifiuto o la repressione dell'omosessualità, come lascerebbe pensare la traduzione abituale. Ma apre una ricerca etica sulla fondatezza della relazione che ciascuno, chiunque sia, allaccia con un altro, chiunque sia, in quanto essere umano. E questa ricerca è, in se stessa, un cammino di vita che mira a favorire sempre più l'amore, a dare


* Pierre-Israël Trigano è filosofo e psicanalista. È l'autore di L'inconscient de la Bible (Edizioni Réel, 7 tomi).



Testo originale: La Bible hébraïque n’est pas homophobe

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