L’uomo era disteso nel letto dell’ospedale con la flebo attaccata al braccio, un polso rotto e diverse costole incrinate. Avrebbe preferito trovarsi altrove, ma qualcun altro aveva deciso di fargli passare una settimana di ‘vacanza’ al Fatebenefratelli.
L’avevano avvicinato in tre all’uscita del locale gay e avevano cominciato a sfotterlo, prendendolo in giro con le solite frasi omofobe: “Frocio di merda”, “Lurido Succhiacazzi” eccetera, eccetera. Federico però aveva un carattere battagliero, non si era lasciato intimorire ed aveva cominciato a rispondere per le rime, dicendo che il loro paparino gli aveva appena fatto un lavoretto di bocca nella dark room del locale e di andare a raccontare alla loro mammina di quanto era bello ficcarlo in gola al maritino. I tre bulli avevano cominciato a menare le mani ed ovviamente le aveva prese di santa ragione: il tre contro uno, difficilmente poteva chiudersi in situazione di parità, anche se era riuscito a tirare un paio di cazzotti ben centrati. Così l’avevano lasciato pesto e dolorante sul marciapiede, scappando appena si erano fatte sentire le sirene delle volanti della polizia. Dopo il viaggetto obbligato in ambulanza, lo avevano sistemato in un lettino del pronto soccorso, con il polso ingessato aspettando che lo assegnassero alla sezione di traumatologia, dove gli avrebbero fatto degli esami più approfonditi. Aveva passato la notte praticamente sveglio, era riuscito a dormire un poco durante la mattina e aveva sonnecchiato per il resto della giornata. D’altronde era l’unica cosa che poteva fare mentre era legato alla flebo. Finalmente verso le quattro del pomeriggio era arrivato un infermiere che lo aveva portato nel reparto dove era destinato, trascinando la barella per i corridoi della clinica e posizionandolo poi, senza tanti complimenti, in una camera da due persone. Fortunatamente l’altro posto non era occupato.
Verso le sei di sera, sentì un bussare leggero sullo stipite: “Posso entrare?” chiese una voce maschile.
Federico voltò lo sguardo verso la porta, domandandosi chi fosse l’uomo sorridente che aveva fatto capolino nella stanza. Moro, con una folta barba curata, pelle olivastra, fisico perfetto. Non era un suo conoscente e non era nemmeno qualcuno del locale, questo era poco ma sicuro, si sarebbe ricordato di lui. Non gli sembrava proprio di averlo mai visto e istintivamente aggrottò le sopracciglia per capire chi fosse.
“Signor Ferrari, mi scuso se la disturbo. Sono Augusto Calabrese, Ispettore della Polizia dell’ospedale” continuò l’uomo.
“Un poliziotto” costatò Federico laconico.
“Sì, sono l’ufficiale preposto alle indagini per la sua aggressione”.
“Si accomodi”.
L’uomo entrò e richiuse la porta alle sue spalle, si tolse l’impermeabile mostrando la divisa impeccabile e poi si voltò verso di lui: “Come sta?” chiese comprensivo.
“Non bene” ammise “Ho un polso rotto, tre costole incrinate e qualche contusione”.
“Ha anche il viso pieno di lividi. Si è visto allo specchio?”
“Immagino le sfumature tra il nero e il violaceo, grazie.” tagliò corto lui sfiorandosi la fronte con cautela.
“Il dottore mi ha dato la cartella medica legale, gli aggressori hanno fatto un lavoro pesante ma, fortunatamente, siamo arrivati prima che la massacrassero di botte”.
“Che fortunato che sono” ribatté sarcastico l’uomo nel letto.
“Sì… be’… non direi fortunato, ma poteva andare peggio. Fortunatamente era da quelle parti una nostra volante. Comunque abbiamo gli identikit degli assalitori”, l’ispettore sospirò allo sguardo accigliato dell’uomo che aveva di fronte. “Sono venuto per la denuncia, Sig. Ferrari. Avrei bisogno di alcuni chiarimenti per il rapporto sull’aggressione. Possiamo procedere?”
Federico sentì montare la rabbia dentro di lui, l’avrebbe fatta pagare a quei maledetti: “Chiaro che sì, Ispettore Calabrese. Sarò anche frocio ma non mi mancano i coglioni!” ribatté acido Federico.
Il poliziotto sorrise enigmatico.
“Vedo che anche lei è omofobo!” gli urlò l’altro “Bene. Allora se ha paura di respirare la mia stessa aria per non contrarre la frociaggine o, peggio ancora, il virus dell’AIDS, che peraltro non ho, può andare per la sua strada e mandarmi un suo collega meno intollerante verso la comunità omosessuale!”
Augusto non si mosse mentre reggeva uno sguardo impassibile verso il degente. Passò qualche manciata di secondi, la mano stringeva una penna che tamburellava sopra una cartellina di plastica rigida.
Federico si sentì avvampare dalla vergogna. Quel poliziotto era lì per svolgere il suo compito d’altronde e stava cercando di aiutarlo come poteva. Sospirò fortemente e si schiarì la gola: ”Mi scusi, Ispettore. Sono un po’ arrabbiato in questo momento. Gli anti-dolorifici hanno finito il loro effetto e cominciano a farmi male le botte”.
Calabrese premette il pulsante di chiamata della caposala. La stanza piombò nel silenzio per un buon minuto intero poi finalmente bussarono alla porta ed entrò l’infermiera.
“Avete chiamato?” chiese cortesemente.
“Adele, vorrebbe gentilmente portare qualche pastiglia di analgesico al Sig. Ferrari? Comincia ad accusare dei dolori alle contusioni”. La donna fece un cenno affermativo col capo e se ne andò. Evidentemente l’ispettore era abituato a quel tipo di lavoro in ospedale, pensò Federico, dato che conosceva l’infermiera per nome. L’ufficiale continuò a scrivere sulla cartella e dopo pochi minuti la caposala entrò con delle pillole in un piccolo contenitore di plastica. Le passò a Federico con un bicchiere d'acqua. Lui ringraziò e le ingurgitò immediatamente. La donna se ne andò nuovamente.
“Può raccontarmi brevemente i fatti che si sono svolti ieri sera?”
“Erano le due di notte credo” cominciò Federico “Ero andato a passare una serata al locale, ci vado spesso, anche se non sono un frequentatore abituale. Avevo adocchiato un tipo carino al bar, ma sono piuttosto riservato e lui non sembrava interessato. Così ho deciso che me ne sarei tornato a casa”.
Il poliziotto era impassibile e scriveva sulla cartella.
“La imbarazza sentire queste cose?” chiese improvvisamente Federico.
“Assolutamente no, Sig. Ferrari. Le assicuro che succede di peggio nella vita. Continui.”, rispose l’uomo con sincerità.
“Sì… be’… Immagino. Comunque, il tipo era uscito dal locale con il suo compagno e quindi mi sono incamminato anche io verso l’uscita. I due sono andati immediatamente via e quando sono uscito, mi sono trovato davanti quei tre imbecilli che hanno cominciato ad insultare”.
“Può descrivermeli?” chiese Augusto.
Federico diede una sommaria descrizione dei tre bulli che lo avevano aggredito. Raccontò più o meno lo scambio di battute che si erano rivolti e dell’aggressione da parte dei tre. Mentre parlava, osservava l’ispettore che sollevò l’angolo della bocca in un mezzo sorriso, quando gli raccontò della battuta del pompino da parte del paparino dei tre.
“Certo che non si può dire che non abbia fegato” osservò il poliziotto.
“Le ho detto che i coglioni ce li ho ancora!” ribatté l’uomo guardandolo di sottecchi, questa volta però senza rabbia nella voce.
“Si, credo che gli attributi non le manchino, Federico” confermò questi con un cenno di ammirazione.
L’altro rispose con un sorriso sentendosi chiamato con il proprio nome: “Purtroppo non ho un buon carattere,” ammise “se ne è accorto anche lei appena è entrato qui dentro”.
Continuarono ancora un po’ con il rapporto della denuncia. L’ufficiale era molto disponibile e Federico lo trovava molto affascinante. Valutò che potesse avere qualche anno più di lui. I capelli alle tempie erano appena un poco brizzolati.
“Bene, penso che per ora sia tutto” disse Augusto chiudendo la cartelletta.
A Federico dispiaceva che avessero finito: “Quindi devo venire a deporre anche in tribunale?” chiese speranzoso.
“Non è così che funziona” rispose l’ispettore “Anzitutto bisogna vedere se li prendiamo e poi, certo, dovrà venire comunque in Tribunale per il riconoscimento. E comunque avrà bisogno di un avvocato, potrebbe guadagnarci anche un gruzzoletto, se sa fare il suo lavoro”.
“Non m’interessano i soldi, mi piacerebbe solamente farla pagare a quei tre teppisti. In modo che si spaventino un poco e non se ne vadano in giro a picchiare la gente”.
“Sì, effettivamente questo è anche lo scopo del mio dipartimento. E per me è anche una piccola missione”.
Federico lo osservò con sincera curiosità: “Come mai?” chiese.
Il poliziotto si avvicinò alla branda e appoggiò la grossa mano sulla spalla di Federico: “Diciamo che mi interessa la causa. E a proposito…” aggiunse con voce roca “Appena starai meglio, vorrei venire con te al locale dell’altra sera: io non ci sono mai stato e tu… be‘… tu hai bisogno di una guardia del corpo!”