venerdì 5 settembre 2014

GESU' MESSIA LGBT




Riflessioni di Carlos Osma tratte dal blog Homoprotestantes (Spagna), 22 maggio 2012, liberamente tradotto da un volontario di Progetto Gionata.

Gesù non era un Messia ordinario, non rientrò negli schemi che le principali correnti teologiche avevano elaborato per riconoscere l’inviato di Dio. Nemmeno i suoi seguaci riuscirono a comprenderlo in un primo momento, erano completamente accecati dai loro pregiudizi.
Gesù era diverso, strano, troppo queer per essere compreso, e per questo dovette subire le molestie dei religiosi del suo tempo e l’abbandono e il rifiuto di quelli che gli stavano più vicino. La croce è stato apparentemente il punto cruciale per coloro che confidavano che Gesù fosse il Messia.
Non si poteva affermare più chiaramente, che il maledetto da Dio, non poteva essere il suo messaggero. L’uomo che era stato crocifisso non poteva essere quello che avrebbe portato la libertà e la giustizia per il suo popolo, proprio per il fatto di essere stato semplicemente eliminato da una società e da una religione che si sentiva ora più sicura senza di lui.
Perché alla fine dei conti, quel nazareno, quel personaggio scomodo che era ora appeso alla croce, la sola cosa che aveva fatto in tutti quegli anni, era stata quella di rimuovere le sicurezze e di tergiversare sulle verità che sembravano essere statiche.
Certamente tutti sappiamo che ci fu qualcosa che cambiò il punto di vista dei suoi seguaci. La sensazione di inganno, la frustrazione e la paura, ad un certo punto lasciarono spazio al dubbio, che successivamente si convertì nella convinzione che Gesù era stato esaltato da Dio, e che realmente fosse stato il suo inviato.
Gesù era il Messia, ma un Messia queer, non potevano negarlo. Erano convinti di qualcosa che non potevano dimostrare contro i religiosi del loro tempo, ma l’esperienza fu sufficiente. Si convertirono dunque in seguaci di un Messia crocifisso, di un Messia impossibile, non per le loro capacità di ragionare da un punto di vista teologico, ma per il fatto che avevano sperimentato che colui che era stato crocifisso era ancora vivo. 
Ma la lotta tra la tradizione, che negava loro tutta la possibilità di riferirsi a Gesù come loro Messia, e l’esperienza vissuta, continuava ad essere viva. I testi classici messianici (1), sebbene non utilizzassero la parola Messia, erano sempre stati interpretati per creare l’attesa di un re salvatore che avrebbe difeso Israele dai suoi nemici e avrebbe portato la pace. 
Non si poteva più tornare indietro, non c’era altra possibilità, tutto il resto era escluso dall’interpretazione “corretta” da testi biblici così palesi: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all'impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre”. La prova era che Gesù non aveva compiuto questa aspettativa.
Ma fu talmente forte l’impatto que Gesù aveva prodotto sui suoi seguaci, fu tanto reale la sensazione che continuasse ad essere vivo, che i discepoli ebbero l’audacia di leggere i testi biblici, non partendo dall’ortodossia, ma partendo dalla loro esperienza, per trovare qualcosa che aveva a che fare con quello che stavano vivendo.
E’ sorprendente, quando leggiamo i Vangeli, la capacità con la quale riuscirono ad applicare a Gesù i testi dell’ Antico Testamento che a prima vista sembrano forzati; ma senza dubbio in primo luogo c’era la loro esperienza con Gesù e, a partire da questa, tutto il resto. 
Fu allora che un testo scritto centinaia di anni prima, che mostrava la speranza degli ebrei esiliati in Babilonia e liberati da Ciro, venne interpretato dai discepoli come un testo messianico, un testo che parlava del loro Messia crocifisso.
Mai prima di allora la tradizione ufficiale aveva interpretato questo testo in questa forma, ma per i discepoli era talmente evidente da non doversi giustificare: “Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa,egli non aprì la bocca.Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo? Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c'era stato inganno nella sua bocca. (2)”.
Ciò che è interessante è che il fatto imbarazzante che impediva a Gesù di essere il Messia, la sua crocifissione, a poco a poco diventa il punto più importante nel cristianesimo. Senza la crocifissione non c’è salvezza, arriverà ad affermare Paolo in seguito. Lo scandalo non viene eliminato, bensì interpretato teologicamente partendo dall’esperienza, e posto al centro stesso della filosofia cristiana. 
Il Messia appeso alla croce, che agli occhi della tradizione non poteva che essere un assurdo, si convertì nella più grande manifestazione d’amore che Dio ha fatto agli uomini. Lo strano, il raro, il differente, il queer, è stata la possibilità utilizzata da Dio per rivelarsi come non mai, e come mai avrebbe fatto in seguito. 
Gesù fu queer, come tanti di noi, ma solo attraverso il suo essere queer, attraverso il fatto di essere un Messia atipico pote ottenere la salvezza del mondo, e alle strutture rigide di una religiosità concentrata sul prevedibile.
Potremmo nascondere la nostra differenza, a quelli che si aspettano che noi agiamo in un certo modo, per poter vivere una fede prevedibile che ci riporti sempre a quello che hanno detto prima su come dovremmo essere. Oppure potremmo essere noi stessi, come il nostro Messia, mantenendo la differenza al centro della nostra riflessione teologica e della nostra vita per riconoscere che è questo che Dio ci ha voluto dire agendo in questo modo. 
Tradurre tutta la nostra fede, le speranze, la maniera di stare nel mondo o di avvicinarci al testo biblico, partendo dalla nostra esperienza di donne e uomini omosessuali. E’ la possibilità che Dio ci ha dato, il compito che ci ha affidato: essere cristiani queer che seguono un Messia queer, non partendo dall'ortodossia, bensì dalla vita, tale e quale come ci è stata data. 
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(1) Is 8, 23- 9,6; 11,1ss; Miq 5,1ss; Zac 9,9s.
(2) Is 53, 6-9


Testo originale: Jesús, un Mesías queer 

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