mercoledì 2 ottobre 2013

EDELWEISS



Io non perdono, generalmente. Riesco a essere un bastardo egoista, se voglio. Perciò la mattina che ricevetti la e-mail dal mio ex-fidanzato, dopo averla letta, la cestinai nella posta indesiderata. Il contenuto? Presto detto: avevamo rotto qualche settimana prima, per via di un fatto che era accaduto e che mi aveva fatto ricredere sulla sua moralità.

L’architetto presso il quale lavoro, aveva organizzato una serata per festeggiare la vittoria di una gara d’appalto, che avevamo ottenuto per una grossa e famosa catena di alberghi. Non la catena della bionda e svampita ereditiera americana, ma quasi. Il contratto ottenuto era notevole: avevano alberghi in tutto il mondo che avremmo dovuto restaurare e rimodernare. Alla festa del galà eravamo invitati tutti. I capo-progetto potevano anche portare i propri relativi consorti. Siccome la mia qualifica me lo permetteva, avevo deciso di confermare anche la presenza del mio compagno, Rodrigo. Sono omosessuale dichiarato, nel mio ambiente non è una cosa discriminante, grazie a Dio. Va da sé che quella sera, elegantemente vestiti con degli smoking noleggiati, facemmo la nostra entrata scenica nella sala di ricevimento in uno degli alberghi della catena, che lo studio aveva noleggiato per l’avvenimento. Erano solo quattro o cinque mesi che Rodrigo ed io stavamo insieme, ancora dovevamo imparare a conoscerci. E’ nativo dell’Argentina, anche se ha sangue austriaco nelle vene. Grazie alla sua estrema bellezza, lavora nell’ambiente della moda. Avevo visto il suo portfolio di fotografie che utilizzava come presentazione per le agenzie dei modelli e mi aveva mostrato anche delle riviste che avevano pubblicato le sue fotografie: Men Health, Vanity Fair, Max, GQ e altre. Ero orgoglioso di avere un fidanzato così bello, ma provavo anche una punta di gelosia nei suoi confronti, spesso si doveva far ritrarre con i soli indumenti intimi e pensavo con rabbia agli sguardi lascivi dei lettori di quelle riviste. Soprattutto agli uomini, dato che Rodrigo era, ed è, assolutamente gay. I miei colleghi non lo avevano mai visto in mia compagnia ed io non avevo certo fatto pubblicità sul mio aitante fidanzato, così quella sera, quando entrò nel salone, fu come se la calamita più grande del mondo avesse attirato l’attenzione di tutti gli sguardi su di noi.

Scusate: su di lui.

Nel momento in cui mi accorsi dell’attenzione suscitata, un brivido di piacere s’insinuò nella mia colonna vertebrale che presto fu sostituito dalla gelosia più cupa. Le donne, e anche qualche uomo, facevano di tutto per attirare la sua attenzione: uno sguardo profondo qui, un’occhiata sostenuta di là… insomma, sembrava di essere al mercato del pesce quando le casalinghe della Vucciria valutano la qualità dei filetti di ventresca esposti per la vendita.

Presentai Rodrigo ai miei capi e ai colleghi più intimi e tutto andò per il meglio. Almeno in un primo momento. La mia segretaria e le mie collaboratrici erano sinceramente felici per me e mi confessarono di invidiarmi parecchio. Niente di volgare, solo commenti molto carini e qualche battuta simpatica. Anche gli uomini del mio gruppo furono molto gentili e accolsero il mio uomo con piacevole cameratismo. La sala era gremita di persone, tutto l’organico dello studio e qualche cliente importante. Eravamo disposti a tavoli con posti preventivamente assegnati: ogni capo progetto ne aveva uno intestato a suo nome, dove sedevano anche i rispettivi collaboratori e, naturalmente i propri consorti. Il mio gruppo conta un organico piuttosto ampio per cui la nostra tavolata aveva disponibilità per quindici persone. Ci accomodammo e cominciammo piacevolmente a conversare. Quando tutti gli invitati furono presenti, l’amministratore delegato salì sul piccolo palco allestito in fondo alla grande sala e chiese il silenzio. Dopo un breve discorso di rallegramenti e di ringraziamenti per l’ottimo contratto acquisito, volle chiamare sul palco anche i responsabili dei vari settori dello studio, chiamandoli uno a uno. Quando fui nominato, mi alzai e attraversai la sala salendo poi sul podio con i colleghi. Alla fine della presentazione, uno scroscio di applausi terminò la breve introduzione. Ed ecco che successe l’inatteso. Stuani, il capo settore del reparto tessuto d’interno, mi si avvicinò e mi sorrise con quella sua aria da gatto sornione.

“Franchini! Ho visto che sei in splendida compagnia del tuo fidanzato. Bell’uomo. Congratulazioni”.

Tra di noi non correva buon sangue, i nostri settori erano sempre un po’ in rivalità, noi ci occupiamo dei mobili d’interno e da giardino e spesso i due organici fanno fatica a collaborare. Ero a conoscenza del fatto che Stuani, più anziano di me in azienda, aveva sottoposto il progetto dell’unificazione dei due gruppi, che naturalmente sarebbe dovuto passare sotto la sua supervisione.

“Ti ringrazio” risposi con fatica.

“Ma sei sicuro di voler condividere la tua vita con un modello così appariscente?” mi chiese mellifluo.

“Sono un convinto sostenitore, che la vita privata e il lavoro debbano rimanere separati, Stuani. Quindi mi perdonerai se non ti risponderò” ribattei sempre sorridendo.

”Giorgio, perdonami…” disse facendo una pausa molto teatrale, “sei al corrente che il tuo nuovo compagno è un escort maschile?”. Sorriso diabolico e occhi indagatori.

“Dimmi un po’ Luigi… e tu, come saresti informato di questa faccenda? Forse frequenti anche tu gli ambienti della prostituzione maschile o ti vendi solamente all’amministratore delegato, in cambio di promozioni professionali?” ribattei sarcastico, ma non ero rimasto indenne alla sua domanda.

Non batté ciglio e proseguì: “Diciamo soltanto che siamo in tanti a conoscere il tatuaggio che ha sul suo gluteo sinistro. Strano per un argentino avere una stella alpina incisa su quel suo bel culetto!”.

“Sempre meglio un edelweiss sulla chiappa, che un culo sulla faccia. E ora perdonami, i miei colleghi mi attendono al tavolo”, conclusi allontanandomi.

Siiiiiii! Ottima battuta, Giorgio, mi complimentai di me stesso.

A parte lo scambio di battute che dava tutto a mio favore, e del quale gongolavo interiormente, quella serpe mi aveva messo una pulce nell’orecchio. Pochi mesi di frequentazione non sono sufficienti a comprovare la fedeltà di un fidanzato bellissimo che, per giunta, vive nell’ambiente della moda. La gelosia mi s’infilò nella pelle e nell’animo e compresi immediatamente che la serata sarebbe andata a puttane. Cercai di non far trapelare nulla ma non ero dell’umore giusto, scambiai poche battute al tavolo e sono convinto che qualcuno se ne accorse.

Il fine settimana andò sempre peggio e la domenica sera, dopo continui litigi e battibecchi, cacciai Rodrigo da casa mia. Non avrei mai più avuto un uomo così bello ed affascinante, era una triste constatazione ma anche una promessa che feci a me stesso.

Passarono dunque alcuni giorni; quando squillava il telefono e vedevo che era lui a chiamare rifiutavo la comunicazione. Mi chiamò anche in ufficio ma Rossella, su mia istruzione gli diceva che ero in riunione o che ero in laboratorio, tutte scuse per non parlar con lui. Lei era dispiaciuta per me e me lo faceva comprendere con tatto e cortesia, ma non mi chiese mai il motivo della separazione ed io me ne guardai bene dallo sbottonarmi con lei. Passarono due, poi tre settimane e quella mattina ricevetti la e-mail che prontamente cestinai.

Nel messaggio diceva che era profondamente innamorato di me e che non comprendeva quello che era accaduto. Aveva bisogno di parlarmene a voce perché stava male per la nostra separazione. Mi voleva veramente bene e avrebbe voluto che le cose si chiarissero tra di noi. Mi amava tanto e, per questo motivo, pretendeva una spiegazione perché non si dava pace. Bla-bla-bla.

Verso mezzogiorno Rossella entrò nel mio ufficio e mi prese di petto: “Giorgio non puoi continuare così” esordì guardandomi negli occhi. “So che non sono affari miei ma dobbiamo parlare di Rodrigo, non passa giorno che chiami per parlarti e io sono stufa di mentire e coprirti”. Aveva ragione. La guardai sconcertato e sbuffai nervosamente.

“Siediti” le concessi gentilmente.

Prese posto sulla poltroncina di cortesia e le raccontai di quello che era successo con Stuani la sera del galà. Mentre proseguivo nel racconto, potevo quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello che, abbinati al suo finissimo intuito femminile, stavano tirando le somme della questione. Ma sbagliavo, non solo le somme. La sua analisi matematica completa di divisioni, moltiplicazioni, sottrazioni e anche radici quadrate, arrivò alla conclusione, perfettamente bilanciata, di quella particolare “partita doppia” che aveva sconvolto la mia storia d’amore perfetta.

“Sei un coglione, Giorgio” mi disse senza mezzi termini.

Sgranai gli occhi sbalordito. Non per l’offesa, quello no, per il fatto di non averle mai sentito dire una parolaccia, in tredici anni di lavoro assieme.

“Hai un uomo bellissimo che ti ama. Sì, ti ama Giorgio!” quasi mi urlò contro quando vide la mia faccia insofferente. ”Se non ti amasse, non continuerebbe a chiamare in ufficio! E’ un figo pazzesco che vorrebbero portarsi a letto tutte le donne, e uomini gay, della terra e te lo lasci scappare per quella testa di cazzo di Stuani, che vorrebbe vederti appeso a testa in giù all’antenna telefonica che abbiamo sul tetto aziendale?”.

Stavo per controbattere ma non me ne diede la possibilità, sembrava fosse veramente arrabbiata: “Sai cosa ti dico? Se lo merita lui di perderti. Ora lo chiamo e gli dico quanto sei stato insensibile ed egoista. Sì, Giorgio, egoista perché non gli hai dato la possibilità di spiegare questo pettegolezzo, questa bugia, questa immonda menzogna da parte di un rettile che vuole solamente distruggere la tua professionalità e anche la tua vita personale”, era stata una tirata lunghissima e quasi aveva il fiatone. Io non osai profferire parola. Mi sentivo come un bambino davanti alla sgridata della maestra perché non aveva fatto i compiti. “Sei una persona intelligente, Giorgio, ma solo sul lavoro. A livello affettivo fai proprio schifo!”.

Mi scrutava in cerca di una reazione, ma ero veramente esausto in quel momento e non sapevo cosa dire: “Cosa dovrei fare?” chiesi con più trepidazione di quanta ne volessi effettivamente dimostrare.

Mi aspettavo un’altra esplosione di urla invece mi rispose con un sospiro esasperato come se fossi un ritardato mentale: “Chiarirti con lui, questo è quello che devi fare”.

Le feci un sorriso di disappunto.

“E mandare Stuani a fanculo” aggiunse poi alzandosi dalla poltroncina e riaprendo la porta dell’ufficio, “Ora chiamo Rodrigo e te lo passo, mi ha lasciato il suo numero di cellulare alla prima chiamata di due settimane fa e voleva lasciarlo ogni volta che mi richiamava” esclamò poi roteando gli occhi al soffitto e uscendo. “Come se i numeri di telefono cambiassero magicamente ogni notte!” la sentii brontolare dal corridoio.

Sorrisi tristemente della battuta e cercai di pensare a quello che potevo dire a Rodrigo, oltre al fatto di essere un emerito coglione.

Mi squillò il telefono e seppi che era lui. Sospirai e alzai la cornetta: “Pronto” mormorai.

“Giorgio? Sono Rodrigo” la sua voce era titubante.

“Lo so, tesoro” mi pentii immediatamente.

“Tesoro? Ti sei negato per quattro settimane e ora mi chiami così, come se non fosse successo nulla?” non era in tono arrabbiato ma fu come uno schiaffo in faccia.

“Sì, Rodrigo, mi è scappato e ancora sì, ho sbagliato” ammisi.

“Mi sei mancato” il suo tono era triste.

“Anche tu” ed era dannatamente vero.

“Dobbiamo chiarire”

“Per pranzo?” proposi.

“Sì, al bar sotto il tuo ufficio”

“Tra mezz’ora?”
“Claro, coñazo!” (1)

Riattaccai. Per lo meno non aveva perso la voglia di scherzare.
Presi la giacca e mi diressi all’uscita. Passai davanti a Rossella e lei mi guardò con aria cattiva, ma alzò i pollici verso l’alto.

“Grazie” le mormorai.
Mi fece un gesto come per scacciare un’invisibile zanzara.
Dieci minuti dopo ero seduto al tavolino del bar e lo vidi arrivare: anche con il cappello di lana per nascondere i capelli biondi, e gli occhiali da sole per non farsi riconoscere, era bello da togliere il fiato.

Aveva un’aria triste ma salutandomi sorrise. Si tolse gli occhiali da sole e mi guardò negli occhi.

“Come stai?” mi chiese in un sussurro.

“Male, sono quattro settimane che sto male.” ammisi controvoglia.

Dopo un attimo d’imbarazzo, presi coraggio e gli raccontai di quanto era accaduto alla sera della festa. Armeggiò con il cellulare e sentii squillare il mio. Mi aveva mandato il link di un sito fotografico dove era pubblicata una sua fotografia che lo ritraeva nudo, di spalle, disteso su quello che sembrava un letto o un divano. Il tatuaggio spiccava in evidenza. La data del copyright riportava a quella di cinque anni prima.

“Non sono mai stato un escort. Questa fotografia l’ho fatta, come vedi, parecchio tempo fa. Purtroppo è una delle più famose. Non ne sono orgoglioso, ma non posso farla togliere da Internet perché è di proprietà del fotografo, il quale si è fatto parecchi soldi con questo scatto e se ne fa ancora”.

“Sono un imbecille” gli confessai tristemente.

“Un poco, ma capisco la tua gelosia”.

“Sono un imbecille geloso”.

Mi sorrise e annuì.

“E stavo per perderti. Riuscirai a perdonarmi?”.

“Ti ho già perdonato perché ti amo. Sono qua Giorgio. E come vedi, non mi hai perso”.

“E’ che…“ balbettai alla ricerca delle parole per spiegarmi “Mi sento talmente inadeguato. Tu sei bellissimo ed io non sono granché. Ho paura che un giorno ti stancherai di me e mi lascerai”.

“Non posso dire ora cosa ci riserverà il futuro, Giorgio, ma io ti amo al di là del tuo aspetto esteriore. Per quello che sei, per come sei”.

“Anche se sono un imbecille geloso?”

“Anche per quello. La gelosia è una prova del tuo amore per me. Ma possiamo lavorarci sopra”.

Allungai le mani sul tavolino e presi le sue tra le mie.
Mi sentivo veramente un imbecille e avrei voluto strozzare Stuani con le mie mani. Pensai a mille modi per vendicarmi con quel viscido rettile. Rodrigo sembrò leggermi nella mente e mi sorrise nuovamente.

Alzai lo sguardo verso i suoi occhi e sospirai: “Stavo pensando a come farla pagare a Stuani… e sai una cosa? Farò finta di nulla. La vendetta migliore è fargli capire quanto non conti nulla per me”.
Mi guardò compiaciuto.

Poi aggiunsi: “E quanto invece conti tu per me”.


(1) “Chiaro, cazzone!”

2 commenti:

  1. Sono arrivata a leggere fino a quì ieri..l'ho trovato molto realistico,mi è piaciuto molto e nonostante dici il contrario riesci benissimo ad esprimerti con ironia.
    Il romanticismo è presente..e detto fra me e te(bada bene non sono un esperta,ma esprimo il mio modesto parere di lettrice,ricordalo sempre)riesci a dare il meglio di te stesso..Non so se riesco a esprimermi come dovrei.

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  2. Un racconto semplice. Niente di particolare, ma il fiore alpino è sempre stato un mio MUST. Se un giorno mi farò un tatuaggio sarà questo.

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