E’ il giorno della finale e, grazie all’allenatore, sono riuscito ad ottenere un posto in tribuna per potermi godere la gara di pattinaggio artistico individuale maschile. Sono nervosissimo. Continuo a tormentarmi le mani, che sono anche gelate, rischiando di rompermi la pelle, ma non posso farne a meno. In pista si presenta l’atleta austriaco che precede l’entrata in gara di Stefano. Gli Europei non sono certo come le Olimpiadi, ma se ottenesse una buona posizione, si garantirebbe il diritto d’accesso all’appuntamento mondiale più importante. Alle eliminatorie si era piazzato bene ed era stato ammesso alla finale per la seconda volta nella sua carriera agonistica europea. Attualmente, era un norvegese che conduceva la classifica parziale, seguito a ruota da uno svizzero e da un francese. L’anno scorso era arrivato settimo con un punteggio di 212 e 32. Quest’anno spera almeno di salire sul podio, un terzo posto sarebbe un ottimo risultato.
Ricordo la prima volta che l'ho visto, su una pista di ghiaccio naturalmente. Era una domenica pomeriggio e mia sorella mi aveva convinto ad andare a pattinare con lei, il suo ragazzo e alcuni amici. Io non avevo mai pattinato in vita mia, ma lei mi assicurò che era divertente. Arrivammo al palazzetto in anticipo e dopo esserci messi i pattini, aspettammo a bordo pista che finissero gli allenamenti.
“Quello laggiù è Stefano Palmarini, una promessa del pattinaggio artistico sul ghiaccio. Sarà uno dei candidati a rappresentare l’Italia ai prossimi europei” mi spiegò mia sorella Katia.
“Cavoli che bravo” esclamai osservandolo volteggiare leggero sul ghiaccio. Rimasi incantato dai suoi movimenti, era veramente molto bravo.
Aprirono l'acceso alla pista. Appena entrai, mi aggrappai alla balaustra per non cadere. Come faceva quel ragazzo a eseguire piroette e acrobazie del genere su quei cosi? Barcollai per un bel pezzo senza mai mollare la ringhiera e arrivai all'altezza della zona riservata agli atleti. Stefano stava parlando con il suo allenatore.
“Resterò qui un altro po', ho voglia di pattinare solo per me” disse e prima che l'altro potesse ribattere, entrò in pista.
Mia sorella mi spronò a lasciare la balaustra e ad avventurarmi verso il centro, non so bene come la raggiunsi e lì rimasi a guardare Stefano confondersi con le persone, schivandole abilmente. Passò accanto a un gruppetto di ragazze che sospirarono al suo passaggio. Lo osservai meglio, era davvero un bel ragazzo, mi passò vicino lentamente e mi sorrise. Cercai di muovermi da dove ero, ma persi l'equilibrio e caddi rovinosamente a terra. Bravo, Luca, bella figura di m…, pensai.
“Tutto bene?” sollevai lo sguardo e vidi Stefano che mi tendeva la mano.
“Sì… credo di sì” balbettai prendendo la sua mano.
“S’impara cadendo” cercò di rassicurarmi, mentre mi spazzolavo i calzoni imbiancati dal ghiaccio.
“Piega un po' di più le gambe e tieni il peso più avanti che indietro, ti sarà più facile stare in equilibrio” mi spiegò e, tenendomi per mano, mi ricondusse alla balaustra.
“Ti alleni sempre qui?” gli domandai dopo averlo ringraziato.
“Sì e a volte, come oggi, mi libero del mio allenatore russo e pattino per conto mio”. Ci presentammo e scambiammo qualche parola. Aveva un anno più di me e si era appena laureato all’Università dello Sport. Io ero all’ultimo anno di veterinaria. Rimasi colpito dai suoi profondi occhi blu.
La settimana seguente tornai al palazzetto del ghiaccio. Come speravo Stefano era presente. Con un fluido movimento mi raggiunse.
“Speravo venissi”, mi disse arrossendo leggermente.
“Senti, non è che potremmo mettere un terreno meno liscio sotto i piedi?” domandai mantenendo un equilibrio molto precario.
Rise divertito: “Certo, c'è un bar, ho voglia di bere qualcosa di caldo”.
“Ti sei allenato anche oggi?”
“No, mi sono allenato ieri, oggi sono venuto così…” rispose lasciando a mezzo la frase.
Sperai che lo avesse fatto per me, per potermi rivedere. Cacciai quel pensiero dalla mente; ovviamente non era possibile. Davanti a due tazze fumanti di cioccolata, parlammo a lungo. Mi ritornò il pensiero che fosse interessato a me, mi faceva sentire a mio agio, mi sorrideva e cercava sempre il contatto con i miei occhi. Sembrava che in quel momento esistessi solo io.
All'improvviso si fece triste: “Devo andare ora”, mormorò alzandosi “dammi il tuo numero di cellulare. Ti chiamo così registri il mio”.
Con il cuore in subbuglio balbettai il numero che squillò per la sua chiamata entrante.
“Ci sentiamo in settimana?” mi chiese.
“Volentieri” risposi fin troppo entusiasticamente.
Uscimmo una sera a mangiare la pizza, e un’altra per andare al cinema. Era sempre lui che chiamava e proponeva. Sembrava sinceramente interessato a me. La domenica dopo aveva gli allenamenti e lo raggiunsi al pala-ghiaccio. Rimase con me sulla pista e m’insegnò i rudimenti del pattinaggio. Quando fu annunciata la chiusura, mi disse di aspettare un momento. Andò a bordo pista e parlò con l'uomo che stava alla cassa.
“Possiamo restare ancora, ma dobbiamo uscire tra un quarto d'ora, devono passare con la macchina”.
La pista si svuotò, era strano essere lì da soli: lui ed io.
“Pattina per me” sussurrai.
Mi sorrise ed io rimasi al centro della pista a osservarlo scivolare sulle lame e compiere evoluzioni spettacolari. Frenò con eleganza ad un passo da me. Mi sbilanciai e gli finii addosso, lui riuscì a non cadere e a tenere in piedi anche me. Ci fissammo per un lungo momento, poi le nostre labbra si unirono.
Sorrido ripensando a quei giorni di sei anni fa.
L’austriaco ha finito la sua esibizione, si piazza al sesto posto. Stefano è pronto al cancelletto d’entrata con il suo completo azzurro che fa contrasto con i suoi folti capelli neri. Entra in pista con la sua consueta eleganza. Non mi stancherò mai di guardare il suo corpo atletico e muscoloso fasciato nel costume di gara. Sembra il fratello di Roberto Bolle. Si ferma in posa e parte la base musicale. Io mi perdo a osservarlo nelle sue acrobazie, vedendolo piroettare, volteggiare. Ad un tratto prende la rincorsa e si spinge al limite, si alza in volo ad un’altezza incredibile, si gira tre volte e atterra su un piede, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Lo stadio esplode. Questa volta è oro, lo sento nelle vene. Guardo Sergej qualche gradino sotto di me, sta praticamente ballando sulla panchina degli allenatori.
Sergej mi odia, questa non è una novità.
Quando Stefano si allena, non posso avvicinarmi alla pista, devo guardare dagli spalti, come un comune spettatore. Sergej mi accusa apertamente di distrarlo dal suo dovere di pattinatore. Secondo me, da quando stiamo insieme, Stefano è molto migliorato, è meno freddo di quando l'ho conosciuto ed è anche molto più espressivo in pista. L’allenatore non voleva nemmeno che lo accompagnassi, ma io ho fatto carte false per venire qua.
Ricordo quando ho conosciuto Sergej. Dal giorno del nostro primo bacio, Stefano divenne più rilassato e tranquillo, e ritrovò fiducia in se stesso. Mi raccontò del suo precedente ragazzo: “Ci siamo lasciati otto mesi fa. Mi ha detto: o il pattinaggio o me. Secondo te, cosa ho scelto?”
Sorrisi comprendendo quanta passione lo legava a quello sport. Mi presentò al suo allenatore e capii subito che non gli andavo a genio. Mi redarguì sul fatto che Stefano era un atleta, una stella nascente del pattinaggio e che non mi avrebbe permesso di distrarlo. Che la preparazione atletica veniva prima di tutto. Sembrava quasi impossibile, ma riuscivamo a vederci quasi meno di quando non stavamo insieme. Questo non mi scoraggiò. Ci sentivamo al telefono, per e-mail e non misi mai Stefano davanti al bivio che aveva rotto la sua precedente relazione. Lui amava me e il pattinaggio in egual misura, su questo ero più che sicuro. Eppure ho sempre rispettato gli ordini di Sergej.
Era più di un mese che stavamo insieme. Una sera d’inverno, qualche giorno prima di Natale, Stefano si presentò a casa mia con un vassoio di paste e una bottiglia: “La Vigilia e Natale li trascorrerò in Svizzera con i miei genitori ed anche l’ultimo dell’anno. Ho saltato gli allenamenti, non m’importa di cosa dirà Sergej, voglio dedicare questa serata solo a noi due”, disse entrando in casa.
Posò le paste sul tavolo del salotto e avvicinò il suo viso al mio.
“Sai quello che stai facendo?” mormorai accarezzando con il mio respiro le sue labbra.
“Certamente e tu?”
“Sì” bisbigliai colmando la distanza tra noi.
Avido di lui gli baciai le labbra e il collo, non mi sembrava vero, un momento tanto prezioso e tanto atteso era finalmente giunto. Ci spogliammo lentamente rabbrividendo un poco seminammo gli abiti lungo la via per la mia stanza, nudi ci distendemmo sul letto accarezzandoci, baciandoci, scoprendoci. Saremmo andati entrambi oltre, ma mi ricordai dei suoi allenamenti.
“A-Aspetta” gemetti.
Si sollevò sui gomiti e mi guardò negli occhi. “Ehi, cosa c’è?” domandò sollevandomi il mento con due dita.
“Ecco io… io… domani avrai gli allenamenti se… noi… tu…”
Mise fine alle mie futili spiegazioni con un bacio che mi tolse il respiro. Mi distesi al suo fianco e sorrisi.
“Non devi sentirti obbligato a…” Posai un dito sulle sue labbra rosse per i miei baci infuocati, guardandolo intensamente. Lui capì e sorridendo si chinò a baciarmi.
Stefano si addormentò sul mio petto, i suoi capelli neri mi solleticavano il collo. Il suo respiro mi accarezzava la pelle.
La musica della ‘Carmen’ di Bizet è travolgente e coinvolge tutti. Stefano è preciso, perfetto, compie figure e piroette in modo esemplare, ha un’unica lievissima esitazione nell’atterraggio di un axel. Conclude in maniera eccellente. Uno scroscio di applausi si scatena nel Palasport, mi volto verso la coppia al mio fianco “E’ il mio ragazzo” mormoro tra le lacrime.
Attendo con palpitazione i risultati. Il punteggio è altissimo: 246,27. Il norvegese mantiene la prima posizione a 261,23. Potrebbe essere un argento. Sono praticamente in preda al terrore durante l’esibizione degli ultimi tre atleti, che fortunatamente si posizionano tutti alle sue spalle. Stefano ha vinto la medaglia d’argento.
Corro lungo i corridoi, evitando abilmente la gente. Arrivo all'ingresso atleti e un uomo mi ferma: “Spiacente, non può passare, motivi di sicurezza”.
Impreco a denti stretti.
“Lascialo passare, Riccardo. E' uno del nostro staff. Ha dimenticato il pass”. Dice Sergej all’uomo della sicurezza e mi schiaccia l’occhiolino. E’ la prima volta che, sotto quella rude scorza sovietica, scorgo un barlume di umanità.Finalmente vedo Stefano che sta entrando, attorniato dal resto dello staff, felice e commosso. Mi avvicino, lo abbraccio e lo bacio con passione. I flash scattano e i mormorii intorno a noi diventano esclamazioni stupite e acclamazioni. Mi sollevo tenendogli il viso tra le mani. Gli ho fatto fare outing prima della premiazione.
“Congratulazioni” mormoro baciandolo ancora.
Questa scena andrà sicuramente in mondovisione, ma non m’importa. Tenendoci per mano entriamo negli spogliatoi attorniati da un sacco di gente. Tra breve ci sarà la premiazione, non suoneranno l’Inno d’Italia ma Stefano è al primo posto dentro il mio cuore.
Semplice...leggero ..l'ho letto con il sorriso sulle labbra..Bravo
RispondiEliminaGrazie. L'ho scritto durante le trasmissioni dei giochi invernali. Adoro vedere questi ballerini su lame d'acciaio. Hai presente una scena degli ultimi libri che abbiamo letto su DSP? Ecco. ;-)
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