venerdì 24 aprile 2015

SVENTOLA L'AQUILONE








Riflessioni di Donata Testa*, autrice di Sventola l’aquilone (Edizioni SUI, 2013)

Abbiamo occhi, orecchie ma li usiamo solo a metà, e poi abbiamo voce e parole in grande quantità. E’ necessario tra gli esseri umani, esattamente come nel regno animale, invertire l’ordine, dare la precedenza alla vista, all’udito. E’ indispensabile che ci guardiamo di più, e per farlo dobbiamo tacere poiché solo stando zitti potremo ascoltare il rumore nascosto degli altri. C’è sofferenza in un ragazzo gay, in una ragazza lesbica che si cerca, c’è molta fatica, come una ripida scalinata che non finisce mai e che è dura, molto più dura se salendo non si trova nessuno a offrire un bicchier d’acqua, un morso rapido di panino.

Girando le città per le presentazioni del piccolo libro “Sventola l’aquilone”, che racconta il coming out di mio figlio e le mie inaspettate difficoltà nell’accettarlo, ho avuto la fortuna terribile di vedere e abbracciare il dolore di uomini e donne di ogni età, di chi si è dichiarato, di chi non lo fa, di chi non è accettato perché si sta trasformando. Ho conosciuto tante persone con la sofferenza messa sul palmo della mano, pronta per essere consegnata, prendila, ascoltami, sembrava mi dicessero. “Ai miei non lo posso dire, non voglio dar loro questo dolore.”; “Regalerò il libro a mia madre ma mio padre non capirà, non vuole capire, e allora basta, me ne vado, non posso amare chi non mi vuole, cambio città, cambio nazione, taglio, taglio, taglio”; o al contrario “chi se ne frega della famiglia, abito lontano e mi faccio i fatti miei, e mi diverto” detto e buttato lì, con una certa spavalderia ma dentro la voce, mi ricordo bene, vibrava un suono metallico e duro, un muro d’acciaio tirato su per necessità; uomini sposati e poi separati mi hanno abbracciata forte “compro il libro per mia moglie che mi voleva far curare, dedicaglielo per favore.”. E poi madri che nella notte mi hanno scritto di fretta, d’urgenza “ho letto d’un fiato e sono lì, ero lì con te, abbiamo attraversato lo stesso mare.”

E ho visto scivolare lacrime, essere lì, affacciate sul bordo delle ciglia, tante e da molti. Tutte quelle persone con le loro lacerazioni le ho percorse e mi hanno attraversata come una lunga cicatrice. Certe volte penso a quanto sarebbe più facile capirsi se fossero visibili le ferite interne di ciascuno, proveremmo pena, sono sicura, guardando lo spessore di tutte quegli innumerevoli segni, e forse si fermerebbe l’agire cieco, le male parole gettate a vanvera. Invece, nessuno intuisce, nessuno vuol davvero vedere ed essere ciechi ci assolve, ci rende indifferenti. Il dolore che l’altro ha attraversato non si vede, non c’è, inesistente, nullo; vanificato dall’assenza di traccia.

Invece no, e posso dirlo ad alta voce, urlarlo se necessario che c’è fatica e dolore, c’è malanno grave nel rifiuto familiare e sociale al riconoscimento delle differenti identità sessuali. C’è male profondo e profondamente ingiusto, ed è nostro compito, di noi persone tra le persone, riconoscere che è imprescindibile, improrogabile accogliere la preziosa diversità di ognuno e grazie a quella crescere tutti, tutti migliorare un po’.

Ma dobbiamo farlo in fretta, è necessario alla sopravvivenza del genere umano, dunque di ciascuno di noi. E’ indispensabile comprendersi che vuol anche dire misurarsi con le reciproche incapacità e ammorbidirsi, “rendersi molli” grazie alle proprie fragilità. Ammettere di sbagliare, di non essere capaci, di non sapere, di non conoscere e tacere sono passi importanti. Prediligere la vista e l’udito del cuore, fondamentale.

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* Donata Testa è nata e vive a Torino. Laureata in Storia del Cinema, insegna Materie Letterarie in un Istituto Superiore. Ha lavorato per anni in progetti di scambio e cooperazione con il Senegal e il Burkina Faso. Ha esordito in narrativa con la raccolta di racconti “Bagagli a mano”. Suoi racconti sono presenti in diverse antologie. Nel suo ultimo libro “Sventola l’aquilone” (Editrice Sui, 2013) , racconta la sua storia di madre ed il percorso di scoperta dell’omosessualità del figlio.

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