mercoledì 9 luglio 2014

TERRE SELVAGGE (RACCONTO NON MIO)




Lo spettacolo che si ritrovava dinanzi per Antonio era indescrivibile. Uno scorcio di natura selvaggia, alberi frondosi su pendii scoscesi, dove regnavano cespugli di lentischio e oleandro tra le rocce che costeggiavano i sentieri come guardie del corpo silenziose. Ma lui, sorridente, da bravo scout quale era, di protezione non ne aveva bisogno. La montagna lo sovrastava coi suoi colori grigi, e, dopo aver contemplato per un po’ il paesaggio alla ricerca di qualche parola da appuntare nel suo diario di bordo, riprese il cammino con la sola compagnia del suo zaino e della cartina topografica nella quale i suoi capi quella mattina gli avevano appuntato il percorso da fare per l’ hyke notturno. Antonio indossava il suo fazzolettone dai colori sgargianti, segno, come per tutti gli altri esploratori, dell'orgogliosa appartenenza alla grande famiglia mondiale degli scout. Il pomeriggio era già inoltrato, ma il sole ancora occupava una porzione di cielo illuminando intorno a lui ogni anfratto. Durante la pausa per il pranzo aveva dato una scorsa agli spunti di riflessione che gli avevano dato, frasi del Vangelo sulle quali avrebbe dovuto produrre un suo testo parlando dell’esperienza che avrebbe vissuto sino all’indomani. Ma Antonio era troppo teso per farsi venire in mente qualche buona idea sul “come è bello essere scout a contatto con la natura sotto la luce del Signore e bla bla bla”, aveva lasciato il campo per avventurarsi da solo in quella natura selvaggia, così come prevedeva il suo percorso all’interno dell’Associazione, ed era emozionato per questo. Non temeva di perdersi, avevano fatto tutti insieme quella stessa strada due giorni prima, come non temeva di dormire da solo in mezzo al nulla, perché essere uno scout con la S maiuscola significava anche questo.

Antonio era teso solo per la probabilità dell’incontro che di lì a poco sarebbe potuto avvenire.

Quell’uomo, taciturno, che forse a parte il sardo non conosceva altro idioma, lo aveva incuriosito parecchio. Era una curiosità strana la sua, di quelle che non si potevano dire, che lo aveva preso formicolandogli nel basso ventre e alla bocca dello stomaco. Non sapeva nemmeno il nome di quel pastore, che aveva conosciuto col resto del gruppo due giorni prima. Pensava non avesse più di quarant’anni. Di lui aveva ben chiaro il nero degli occhi, la pelle abbronzata e lo sguardo che, mentre parlava fitto con i capi, aveva indugiato parecchio su di lui. Mosse la mano senza sapere se, con quel gesto, stesse scacciando una mosca immaginaria o qualsiasi pensiero che potesse cucire intorno a quel particolare ricordo. Lui era lì per uno scopo ben preciso, “stare a contatto con la natura sotto la luce del Signore e bla bla bla”.

“Non pensare. Non pensarci!” si disse, ma l’idea di ritrovarsi lì con lui, magari nello stesso punto, e da solo, lo metteva a disagio. Lo affascinava, ma dall’alto dei suoi diciotto anni non avrebbe mai avuto il coraggio di ammetterlo. Pertanto continuava a fare l’unica cosa che poteva fare.

Camminare.
I suoi occhi scrutarono il percorso che gli si apriva davanti. La pendenza era a malapena accennata, affiancata da cespugli e qualche sporadico eucalipto che si ergeva in armonia con tutto quel luogo bucolico e inafferrabile. Antonio si ricordava che, una volta valicata quella salita, sarebbe dovuto giungere in una radura dove c’erano delle pozze d’acqua scavate nella roccia nuda, che lo avevano colpito particolarmente. Aveva deciso che si  sarebbe sistemato lì  per  la notte, era a un buon punto del  suo cammino, e dall’arrivo lo separava a malapena qualche chilometro che avrebbe percorso l’indomani.

“Non sono qui per lui” cercava di dirsi, ricordando di averlo visto proprio lì per la prima volta.

Superata l’ultima roccia, Antonio era oramai giunto a destinazione. Non era in grado di descrivere l’emozione. Era arrivato nel posto che aveva scelto per passare la notte, ma subito comprese di essere, sì, nel luogo giusto, ma anche di essere solo.

“Cosa ti  aspettavi?” pensò, eppure una vocina dentro di  lui  sbuffava, perché voleva andare fino in fondo a quello sguardo scuro da cui era rimasto impressionato.

Non riusciva a dargli una collocazione ben precisa, ma anche se era riuscito a sciogliere l’ansia che gli attanagliava lo stomaco, l’assenza di quell’uomo, il non sentire nemmeno una pecora nel circondario, lo aveva intristito. In compenso il suo stomaco aveva iniziato a gorgogliare, anche se non era ancora l’ora di cena. Dato che in quel momento Antonio non aveva testa per buttare giù le riflessioni richieste, pensò bene di darsi una rinfrescata in una delle pozze d’acqua, sperando che oltre il sudore e la polvere, questo gesto avesse il potere di lavare il senso di delusione. Poggiando con cura lo zaino si inginocchiò sul bordo della pozza più vicina per darsi una sciacquata al viso.

Proprio nel momento in cui si stava togliendo la camicia con appuntati tutti i distintivi delle sue doti da scout, trasalì nel sentire qualcuno dirgli: “Guarda che se ti sposti più in là, nell’altra radura troverai un laghetto più grande e più pulito di questo”.
Sorpreso, Antonio vide che l’uomo era dietro di lui e lo scrutava in maniera indecifrabile. Pur sentendosi imbarazzato per milioni di motivi, dal farsi trovare mezzo nudo da lui alla posizione equivoca in cui era stato beccato, Antonio prese la cartina, bagnandola un poco con le  mani  umide  e  la  mostrò all’uomo chiedendogli  dove  esattamente  si  trovasse  il laghetto. Il pastore ruotò la cartina più volte tra le mani, forse per la poca dimestichezza con la topografia, dopo di che indicò un punto a circa un chilometro di distanza a Est.

“Ti ci accompagno, prendi la tua roba”.

Nonostante quella proposta comportasse una deviazione dal percorso, lo scout imbracciò lo zaino e decise di seguirlo. Durante la camminata ebbe modo di scoprire che il suo accompagnatore si chiamava
Efisio e che viveva nel paese vicino al loro campo. Parlava un buon italiano e Antonio si vergognò un poco di aver pensato che fosse uno zotico, come insegnavano nella sua scuola milanese, sin dalle elementari, al capitolo Sardegna dei vari libri di geografia. Efisio gli parve molto interessato al suo fazzolettone e al suo significato, e Antonio, borioso, poté dare libero sfogo alla sua conoscenza dell’argomento, indugiando a spiegare il senso di ogni nodo o spilla che ostentava.

Dopo mezzora i due arrivarono all’altra radura, dove si trovava il lago di cui Efisio aveva parlato. Ad Antonio uscì uno stentato “Grazie” , era ancora imbarazzato dall’aiuto ricevuto, che Efisio contraccambiò con un sorriso.

“Ora possiamo lavarci” disse il pastore, avvicinandosi all’acqua.

“Possiamo?” pensò lo scout, bloccandosi mentre appoggiava i suoi averi su una roccia vicino alla riva.

Efisio prese a spogliarsi dinanzi a lui in modo del tutto naturale. Il viso di Antonio divenne di ogni colore, ammirando quello spettacolo: un petto villoso, spalle larghe, il sedere tornito e le gambe irsute. Il cuore batteva a mille, ma non riuscì a staccare il suo sguardo nemmeno quando vide ballonzolare l’uccello del pastore, che meritava tutto il rispetto del mondo. L’altro parve non farci caso, si immerse con noncuranza.

“Che fai? Non vieni? Guarda che poi col buio farà troppo freddo per riuscire ad asciugarsi”.

Sempre con la tachicardia Antonio si avvicinò, depositando ogni indumento sulla roccia che aveva occupato coi suoi effetti personali.

“Hai bisogno di aiuto per entrare?” Efisio si era alzato, avvicinandosi alla riva, nudo.

Antonio cercò in ogni modo di non guardare lì sotto, con fare stentato disse “No, mi arrangio da solo”, ma anche fissando lo sguardo sui suoi pettorali o sul suo viso abbronzato si trovava in difficoltà a reprimere un noto movimento tra le gambe.Si affrettò ad entrare nell’acqua, fresca. Rischiò di scivolare tra i sassi, ma Efisio lo afferrò.

“Questo no!” urlò tra sé, arrossendo fino alle orecchie. Gli venne duro al solo contatto, “impossibile non notarlo” si mortificava.

Efisio, che aveva notato tutto, si limitò a sorridergli, indugiando nella presa. “Ti aiuto” disse infine, afferrandogli la mano e invitandolo ad addentrarsi nell’acqua. Antonio continuava a desiderare, con avidità, di stringerlo a sé.

Nella sua mente confusa cominciarono a scomparire ogni ricordo sul perché fosse lì, il suo  gruppo  scout o  la  sua  riflessione  che  non era  stata  scritta.  C'erano  solo  pensieri fantasiosi di loro due che si toccavano, che si baciavano, di lui che esplorava ogni pelo di quell’uomo, tanto da mandare a monte con un bel vaffanculo quello “stare a contatto con la natura sotto la luce del Signore e bla bla bla” che era alla base del suo hyke. L’unica cosa che contava era stare a contatto sì, ma con la sua natura. Si sedettero in mezzo alla laguna, ma nessuno dei due osava più parlare.Antonio evitava di guardarlo, per paura che il contatto visivo lo eccitasse, mentre l’altro invece lo osservava in silenzio.

“Sei imbarazzato per caso?”

“Io … no, non credo”

Efisio si avvicinò a lui “Tanto qua nessuno può vederci, stai tranquillo”. L’ansia attanagliò lo stomaco di Antonio.

“Sei mai stato con i maschi prima d’ora?”

“Cioè?” Antonio rimase interdetto dalla sfrontatezza di quella domanda.

“Mi piaci. Tutto qui, pensavo che l’avessi notato” disse l’altro.
Non poteva, proprio non poteva l’occhio non cadere sull’inguine di Efisio da tanto era evidente la sua erezione, che subito provocò ad Antonio la medesima reazione. Il pastore prese ad accarezzare la gamba del giovane, mentre il cuore di quest’ultimo sussultava  sperando che  lui  non smettesse  di  farlo e  desiderando che  non si  fermasse soltanto a quelle carezze. Efisio continuò a lungo, il desiderio che cresceva in entrambi, e fu Antonio che, senza dire nulla, baciò Efisio con irruenza mentre l’altro abbracciava il suo corpo glabro.

Antonio si ritrovò preda di una miriade di pensieri veloci ed eccitanti, le sue mani frugavano i peli del suo petto del pastore, giocavano poi con quelli sulla schiena, mentre i loro due uccelli si sfregavano, cercandosi. Efisio gli accarezzò le natiche, provocandogli grugniti e respiri profondi. Partendo dal collo, Antonio fece indugiare la lingua sui capezzoli dell’altro desiderando rimanere  immerso per  sempre  in quella  folta  peluria, nel  contempo la  sua  mano andò incontro al membro gonfio del suo compagno, giocandoci con velocità e bramosia.

“Vai piano, sennò finisce subito” lo interruppe Efisio.

Antonio si sentì morire di vergogna, pensando nella sua inesperienza di aver perso l’interesse del pastore. Non comprese perché l’altro con delicatezza lo spingeva in ginocchio sulla riva, distogliendolo dai quei peli fantastici e che già gli mancavano. Poi avvertì una dolce sensazione nelle natiche, un leggero morso, e poi la lingua di Efisio che gli inumidiva l’ano.Antonio non riuscì a frenare i gemiti nemmeno quando la bocca fu sostituita dalle dita.

“Stai tranquillo, non fa male” diceva l’uomo, e lui, tra un sospiro e un gemito, voleva credergli.

Quando lo abbracciò delicatamente, Antonio cercò di ampliare la ricettività del tatto della sua  schiena,  avvertendo  i  peli  dell’altro  aderirvi  e  strusciarsi,  mentre  il  membro  gli schiudeva le cosce per poi entrare dentro di lui. La sua rigidità iniziale si sciolse non appena Efisio cominciò a muoversi ritmicamente, mentre con una mano afferrava il suo viso rificcandogli la lingua nella bocca, e con l’altra ritmava con lo stesso vigore l’andirivieni nel suo attrezzo, pulsante come un pistone. Entrambi, baciandosi, ansimavano per quello che si regalavano in quella radura, lontani da tutto il resto, con le rocce e gli alberi come unici testimoni. Un lieve vento animava le fronde accarezzando i loro corpi. Baci, gemiti, baci e ancora baci. I loro corpi, uniti, si scuotevano cercando la simbiosi. Ci furono poi gli ultimi tre colpi, sia dentro Antonio che fuori, e i due all’unisono schizzarono il loro piacere, Antonio tra le pietre ed Efisio nelle sue viscere. Una volta finito, i due, sfiancati, si trascinarono sulla terraferma. Il pastore si distese e lo scout, abbracciandolo, gli fu sopra. Nessuno dei due aveva voglia di parlare o commentare, desideravano soltanto rimanere così, nudi, ebbri, e attendere l’avvicendarsi del crepuscolo e delle stelle. Quella notte Antonio non scrisse nemmeno una riga sul contatto con la natura o sulla luce del Signore, rimase con Efisio, semplicemente a parlare, tra lunghi baci e carezze.

La mattina dopo non si dissero nulla. Efisio si era rivestito e lo guardava prepararsi, sapendo per entrambi che il loro incontro non avrebbe potuto avere strascichi o seconde occasioni. Ma andava bene così.

Antonio rifece il suo zaino e riprese il suo cammino. “Sono uno scout” pensava. “Passerà”.
Nonostante le sue recenti avventure, Antonio sorrideva. Avrebbe  sicuramente  inventato  qualcosa  da  condividere  con i  capi  e  col  resto  del Reparto. Il suo hyke non era stato sicuramente come gli era stato prospettato, magari non era stato abbastanza “in contatto con la natura sotto la luce del Signore e bla bla bla” ma aveva scoperto e vissuto qualcosa di sé, il cui ricordo avrebbe custodito a vita nel suo cuore. Era uscito allo scoperto.

Si era fatto uomo.

Guardò un'ultima volta la radura prima che sparisse dietro una curva del sentiero. Efisio, sorridente, era lì, seduto sulla roccia vicino al laghetto. Entrambi, alzarono la mano per salutarsi un’ultima volta. Poi Antonio si voltò e continuò il suo viaggio.

Sorrideva.

Il suo fazzolettone, anche se forse nessuno lo avrebbe mai notato, aveva un nuovo nodo ottenuto dalla corteccia cava di un ramo. Una E e una A erano state incise durante la notte insonne da un pastore e da uno scout. Alla  fine  Antonio  era  stato  davvero  a  contatto  con la  natura  tra  le  terre  selvagge, scoprendo la sua essenza e quella del suo amato sardo.

4 commenti:

  1. Buongiorno a tutti, qui il tempo è ancora instabile, almeno per il momento non piove anche se le previsioni non sono rassicuranti.
    Il racconto di oggi non l'avrai scritto tu Eagle ma potresti averlo fatto. Il modo di scrivere ti somiglia. L'ho letto recentemente e mi era piaciuto come mi è piaciuto rileggerlo. Una prima esperienza tinta non d'amore ma dal bisogno dettato dalla giovinezza intrisa di attenzione e tenerezza da parte dell'amante più esperto. Un augurio affinchè tutte le prime volte possano essere così.

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  2. Silva non posso che concordare con te...un racconto bellissimo, che avrebbe potuto essere scritto dal nostro Eagle..
    Emozionante, dolce, struggente, e con una bellissima scena d'amore...
    D'amore si, più che di sesso, perché nonostante non possa esserci un futuro per questi due protagonisti ho avuto la sensazione che in quei momenti si siano davvero amati...e che nessuno dei due potrà mai dimenticare quell'incontro speciale....

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  3. Direttore oggi ti fai desiderare. Impegnatissimo oppure sei a risolvere il problema luce?

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  4. Sono in ufficio ma piuttosto impegnato. Venerdì andrò all'Enel per risolvere (finalmente?) la questione.

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