mercoledì 22 gennaio 2014

ÖTZI




Il pastore uscì dalla sua povera abitazione all’alba, avrebbe dovuto radunare il bestiame prima della sera. L’attendeva un lavoro pesante e per niente facile. Le capre sapevano essere testarde ed era difficile radunarle prima dell’arrivo della notte. Fortunatamente il sole era caldo e, abituato alla brezza alpina, decise di non mettere la giacchetta di pelle di camoscio, preferendo camminare a torso nudo esposto ai raggi caldi della giornata estiva. Malgrado la neve avesse già imbiancato la vetta del Scimilùn e il ghiacciaio avesse cominciato ad allungare i suoi tentacoli verso la valle, l’estate era ancora in pieno vigore e a valle il Gurgl, questo era il nome onomatopeico del fiume, scorreva gorgogliante tra la vegetazione rigogliosa.  
“Sauten” chiamò appena fu fuori dall’uscio “è ora di muoversi se vogliamo radunare le capre”. Si portò una mano alla fronte per coprirsi gli occhi dal riverbero del sole. Una rete di piccole rughe si allargò ai lati degli occhi che si strinsero per cercare la posizione delle bestie al pascolo.
“Ho preparato il pranzo Ötzi, dubito che riusciremo a tornare prima del pomeriggio” il compagno uscì dalla dimora reggendo una borsa di pelle nel quale aveva riunito qualche pezzo di carne essicata di camoscio e dei pezzi di pane secco.
“Hai fatto bene, amore mio” gli sorrise, poi gli si avvicinò cingendolo tra le forti braccia e depose un bacio sulle sue labbra. “Guardo il tuo volto e mi stupisco ogni volta, il cielo abita nei tuoi occhi, mio amato. L’azzurro del cielo è stato catturato dentro di te e si riflette nel tuo sguardo. Ti amo, piccolo mio” gli disse teneramente.
Sauten gli sorrise e strofinò la sua fronte sulla gota del’uomo più anziano. “Mi fai stare bene Ötzi, anche stanotte è stato bellissimo”.
“Sono io quello fortunato ad averti con me, anima mia” gli sussurrò l’altro “Vivere quassù senza la tua compagnia, impazzirei in pochi giorni. Ma ora muoviamoci altrimenti non riusciremo a raggiungere le bestie e perderemo tutta la giornata”.
Dopo aver riempito di acqua sorgiva gli otri fatti con il budello delle capre, s’incamminarono verso i pascoli alti, mano nella mano, aiutandosi con il bastone ricurvo che utilizzavano per pungolare e radunare le capre del branco. Portavano entrambi un arco e una faretra sulle spalle per difendersi dai lupi che infestavano i boschi e spesso uccidevano le capre. Perro, il loro cane, li seguiva docilmente, anticipando presto il loro passo nel prato disseminato di cuscinetti di fiori d’alta montagna: chiazze di rosa e di giallo che ravvivavano il verde del pascolo estivo. Sentirono le marmotte fischiare in avvertimento, mentre superavano il dosso che li separava dall’altopiano che dominava la loro capanna di sassi e legna. Ötzi raccolse qualche erba medicinale mentre saliva verso l’alto e la depositò nella sacca che portava a tracolla.
“Hai ancora dolori alla schiena?” chiese il giovane al suo compagno.
“Continuamente” ammise Ötzi “i tatuaggi magici dello stregone, non hanno avuto l’esito sperato".
“Redeboi è un cialtrone” grugnì Sauten arrabbiato “Non riesco a capire come ancora tu ti possa fidare di lui”.
“Ogni mezzo è buono pur di alleviare un poco i miei dolori” rispose Ötzi scoraggiato.
“Ti ha fatto più di una trentina di tatuaggi magici su tutto il corpo, eppure qual è stato il risultato? Ancora fai fatica ad addormentarti la notte e ti sento girarti e rigirarti sulla branda in preda ai crampi e agli spasmi, cuore mio. Dovremmo ammazzare ancora qualche marmotta e recuperare un po’ di grasso da utilizzare come olio di massaggio. E’ l’unico medicamento che ancora ti lenisce un po’ il dolore”.
“Hai ragione” ammise l’anziano respirando forte, la salita cominciava a fargli mancare il fiato. Si appoggiò al bastone fermandosi un attimo per riprendere il respiro.
“Sei stanco?” chiese ansioso il giovane accostandosi al suo compagno.
“No, mi manca un po’ il fiato. Vai avanti che ti raggiungo”.
Sauten gli allungò la mano “Vieni, andremo più piano”.
Ötzi gli sorrise e prese la mano del suo compagno.
“Sto diventando vecchio, luce dei miei occhi. Faresti bene a trovarti qualcuno più giovane di me”.
“Sei tu il mio uomo, Ötzi e non ti cambierei con nessun’altro”.
Ripresero la salita e dopo una mezz’oretta avvistarono il branco delle capre che pascolava tranqullamente nella conca dove si era formato un laghetto naturale. Sauten contò velocemente il bestiame: “Mancano otto capre. Dove saranno finite?”.
“Si saranno allontanate, mangiamo qualcosa e poi dividiamoci, tu vai verso la cengia e io salgo al prato più alto” propose Ötzi.
Mangiarono un po’ di carne di stambecco e i pochi pezzi di pane che avevano portato. Ötzi non si lamentava apertamente per i continui dolori alla schiena, ma Sauten vedeva le smorfie che faceva quando una particolare fitta lo colpiva. Quand’ebbero finito, Ötzi fece per alzarsi ma il suo compagno lo fermò: “Tu sdraiati qui nel prato” ribattè l’altro “sei stanco, cercherò io le capre e le radunerò al branco”.
“Non sono stanco, Sauten” tentò di ribattere, ma il suo compagno non volle sentire ragioni e Ötzi decise di obbedire.
“Non ti muovere” gli disse deponendogli un bacio sulla fronte “torno appena le avrò trovate”. Il giovane si allontanò e presto scomparve alla vista, scendendo verso la cengia che tagliava le rocce a strapiombo.
Ötzi si distese cercando di dominare le fitte che gli percorrevano la schiena. Il sole gli scaldava la pelle abbronzata e presto, sotto le carezze dei raggi caldi, si addormentò. Si svegliò che il sole era già calato sull’orizzonte, ma Sauten non era ancora ritornato. Preoccupato, si incamminò verso il sentiero che aveva preso il giovane e si allarmò quando vide due aquile volare in circolo nel cielo sopra lo strapiombo. Chiamò più volte Sauten a gran voce, ma non ricevette risposta. Raggiunse il punto estremo del sentiero, oltre il quale non poteva andare e purtroppo, affacciandosi sullo strapiombo, vide il corpo del suo compagno che era caduto sulle rocce. Le aquile stavano già strappando brandelli di carne dal corpo martoriato del suo giovane amore.
Un urlò lacerò la valle. Ötzi gridò tutto il suo dolore. L’eco riportò la sua voce per decine di volte. Ötzi pianse e si disperò ma purtroppo non c’era più nulla da fare, non poteva neanche raggiungere il corpo di Sauten e cacciare quelle bestiacce che lo stavano dilaniando con i loro rostri aguzzi. Lanciò loro delle pietre, tentando di mandarli via, ma ogni volta questi ritornavano, incuranti della sua rabbia e del suo dolore.
Piano piano fece ritorno verso la conca dove aveva lasciato il branco delle sue bestie, il cuore a pezzi, l’anima dilaniata per la morte di Sauten. Solo, senza la compagnia dell’uomo che amava, ormai avanti nell’età e in preda ai dolori della malattia, non poteva continuare a vivere. Sul bordo della diga naturale, trovò un ceppo di funghi velenosi e decise il suo destino. Prese dalla borsa la ciotola di legno e vi macinò gli ovuli con un pestello di fortuna, aggiunse un poco d’aqua fino a ridurli in una pomata densa, vi intinse la freccia fino a che la punta venne completamente coperta dalla miscela fatale. Alzò la freccia verso il cielo e poi, con un urlo di dolore e di rabbia, chiamando il nome del suo amato, s’infilò la punta della freccia nella spalla destra. Il veleno andò in circolo immediatamente, fece pochi passi barcollanti fino a raggiungere la riva del laghetto, poi perse i sensi e cadde con la testa nell’acqua. Le capre disinteressate continuarono a brucare.
Nell’altura del pascolo si era consumata la tragedia di due uomini che si amavano teneramente. Sauten, il giovane pastore dagli occhi del cielo e Ötzi, l’anziano uomo d’acciaio, minato dall’artrite e dagli acciacchi. La montagna ebbe compassione di lui e col suo ghiaccio e la sua neve coprì il corpo del vecchio pastore morto per amore. Tremila anni più tardi, il ghiaccio rese le sue spoglie mortali che ora riposano nel Museo Archeologico di Bolzano con il nome di Ötzi, la mummia del Simulaun. 

6 commenti:

  1. Molto molto triste..ma si sa che non sempre c'è un lieto fine..

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  2. Beh, avrai sentito parlare della mummia di Bolzano. Mi sono fatto ispirare dal fatto che, dalle analisi del corpo, sembra avesse avuto rapporti omoaffettivi e mi sono immaginato la sua storia. Non poteva che finire in questa maniera.

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  3. Domanda. Mio marito, che legge i racconti in prima stesura, il quale è autorizzato a fare critica (costruttiva) dei miei racconti, dice che due pastori non potevano parlare in questa maniera poetica. Ha ragione. Ma erano anche due primitivi, non potevo farli parlare con grugniti e versi animaleschi. Ho cercato di far capire (come se fosse una traduzione dal linguaggio primitivo) la tenerezza che poteva esserci tra questi due uomini. A te (voi) sembra eccessiva?

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  4. Onestamente?Ho trovato solo l'eccessiva poesia nelle parole dei due uomini..considerando che nell'era primitiva si usava la clava (ahimè )..ma ho ben capito cosa volessi intendere in questa storia ..ripeto..bella,ma triste

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  5. Appunto, si saranno detti anche loro "ti amo" o "che begli occhi che hai"! :-D

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