mercoledì 17 aprile 2013

IL LABORATORIO DEL MAESTRO

"Fermo, Alessandro" disse Felice, guardando oltre la tela, al ragazzo disteso sul canapè nel suo studio di pittura.

"Mi perdoni, signore, ma ha una visita" ribatté il giovane indicando la porta dello studio.

Il pittore non si voltò neppure, tanto era preso nello schizzare il ritratto: "Faccio in un attimo" rispose cercando di catturare sul blocco le forme del modello, che da un primo bozzetto ora stavano finalmente prendendo le fattezze di un giovane San Giovanni Battista.

“Signore" disse Alessandro, sedendosi dritto e guardando oltre la spalla di Felice.
Felice fece una smorfia: "Ah, no, non devi muoverti! Voglio catturare i dettagli, sto modificando la luce sul tuo viso".
Da dietro le sue spalle arrivò una risata familiare, calda, baritonale che avrebbe riconosciuto ovunque: “Mi chiedevo quanto tempo sarebbe occorso prima di finirlo, Felice, e adesso non lo saprò mai".
"Lucio" disse Felice volgendosi a salutarlo "Cosa ti porta da me questa sera, mio Signore? Non mi aspettavo l'onore della tua visita".
"Ho bisogno di qualche motivo oltre al piacere di vederti?"

Lucio lo abbracciò e si baciarono su entrambe le guance. "Forse dirò che volevo vedere come proseguiva il tuo ultimo ritratto".
"Il mio padrone è sempre il benvenuto ad esaminare il mio lavoro".
Lucio fece due passi in avanti per avere una visione chiara della tela: "Oh, Felice, il cardinale sarà furioso".
Il cardinale era il cugino di Lucio e non c'era affetto tra di loro, Felice sapeva che si stava prendendo gioco di lui. Sorrise: "Mi sforzo di piacere al mio mecenate in tutte le cose".

Ovviamente il nobile signore aveva la precedenza sul suo lavoro e il pittore si rivolse al modello: "Alessandro, continueremo domani."
"Cosa? No." protestò Lucio "Non fermarti a causa mia. Non stavi lamentandoti di perdere la luce? Non mi potrei mai perdonare di aver interferito con il tuo capolavoro".
Felice si sentì avvampare. Gli piaceva pensare di avere talento, sì, e di non riuscire ad abbandonare il suo lavoro, i giochi di luce e di ombre, l'alchimia di colori in armonia tra di loro, ma la creazione di un vero e proprio capolavoro era sempre appena fuori portata. Una tela oltre, un altro anno di lavoro in più, una ricerca ulteriore per l'ispirazione perfetta. Solo un po' di più e allora sarebbe stato in grado di fare qualcosa di veramente duraturo.
Si schiarì la gola, nascondendo la frustrazione: "Come vuoi, mio signore. Alessandro, se non ti dispiace? E questa volta, mantieni la posizione in modo da poter catturare le ombre correttamente".
"Certo, signore". Alessandro si sdraiò nuovamente in posizione, riprendendo la posa del bel santo malinconico. La sua camicia scoprì la spalla, esponendo l'ombra squisita della clavicola, i suoi occhi avevano una scintilla nella loro profondità che faceva battere il cuore di Felice, il quale poteva solo pregare di catturare l'immagine sulla tela.
In un primo momento, il pittore si sentì intimidito di lavorare mentre il suo mecenate lo osservava, ma pian piano la sensazione svanì. Felice affondò nel suo lavoro, impegnando tutti i suoi sforzi per il ritratto, tentando di far emergere il gioco della luce attraverso uno zigomo alto, nel mostrare la morbidezza di un labbro paffuto, di cogliere le sottili variazioni di nero nei riccioli ribelli del suo soggetto. Egli cessò di vedere tutta la scena, catturando e studiando invece ogni dettaglio, così come lo dipingeva. Una macchia di sporco su una guancia, appena sotto la lucentezza dello zigomo, una piccola cicatrice che guastava l'arco perfetto di un sopracciglio.
Abbassò lo sguardo per cercare il suo pennello per raschiare la vernice sulla tavolozza grezza. Diede nuovamente un'occhiata alla tela. Lo sguardo del suo giovane santo era su di lui, consapevole della presenza dello spettatore, consapevole della strada difficile da percorrere. Gli abiti e gli alberi nodosi sullo sfondo erano appena impostati e ancora grezzi, ma la faccia era vivace e completa.
"Grazie, Alessandro," disse Felice, facendo un passo indietro.
Il ragazzo si rilassò, ruotando le spalle e sospirando come se muoversi fosse un grande sollievo. Cominciò ad abbottonare la camicia, poi si fermò, guardando Felice e Lucio e sorridendo chiese con impertinenza: "C'è qualcos'altro che posso fare per voi, signore?"
Felice arrossì per la sfacciataggine della richiesta. Non doveva sorprendersi, ricordò a se stesso. Sapeva dove Alessandro si guadagnava la maggior parte degli introiti, e non era negli studi di pittori. "No, grazie. Spero che tu possa venire a posare di nuovo per me al più presto".
Alessandro si strinse nelle spalle "Sa dove trovarmi".

Tese una mano sporca per il suo pagamento e Felice contò ad alta voce qualche moneta. Era probabilmente meno di quanto il ragazzo si sarebbe aspettato, ma Felice riteneva di avergli chiesto poco sacrificio.
Lucio attese che il ragazzo lasciasse la stanza prima di alzarsi dal divano dove stava osservando. "Sfacciato", disse studiando il dipinto. "Si può quasi percepire la conoscenza del mondo di questo modello, la sfrontataggine esce dal quadro".
"E' troppo?" chiese Felice "So quello che piace vedere a tuo cugino, ma non voglio causare un incidente diplomatico".
"Ci penso io alla politica. Tu devi solo continuare a dipingere questi modelli belli e dannati".

C'era qualcosa di strano nel modo in cui lo disse, con un accenno di dolore nella voce. Felice aggrottò la fronte, finendo con i suoi pennelli più in fretta che poteva.
Si asciugò le mani e prese dalla piccola dispensa una bottiglia di vino: "Perdonami, Lucio. Sono stato un ospite terribile. Posso offrirti da bere?"
Lucio alzò lo sguardo dal dipinto e sorrise, evidenziando le linee intorno alla sua bocca carnosa: "Perdonami tu, Felice, perdonami tu. Mi sono perso nei miei pensieri. Sì, mi piacerebbe un bicchiere".
Felice versò per tutti e due, il vino era un rosso toscano, scuro, con note di rubino che si esaltavano alla luce della lampada ad olio nello studio di Felice. Porse un bicchiere a Lucio sfiorando le sue dita: "Mi sento come se non ci fossimo mai allontanati l’uno dall’altro, dopo la tua ultima visita. Raccontami un po’ come te la passi".
"Non ho alcun motivo di lamentarmi" rispose Lucio alzando il bicchiere per un brindisi. "Per la prosperità e tutta la noia che reca con sé".
"Per la prosperità" Felice era d'accordo, si poteva brindare a quello che non si era mai conosciuto abbastanza. Il vino gli scaldò la voce e gli rilassò la mente, facendogli finalmente percepire la fine della sua giornata di lavoro: "Mi dispiace di sentire che ti manca l'eccitazione, naturalmente".
Lucio si strinse nelle spalle: "Forse quando presenteremo il tuo ultimo lavoro, lo scandalo mi verrà risparmiato".
Felice alzò le sopracciglia, guardò nuovamente il suo lavoro incompiuto: "In verità, pensi che sia così vergognoso?"
"Ah, no, colpa mia. Sono troppo abituato a parlare con gli uomini politici, non ricordo più la sensibilità di temperamento" Lucio allungò la mano e prese la mano di Felice "Il tuo cuore crea la pittura. Confido che farai un lavoro di grande bellezza e conoscenza, anche se le sue origini non sono così esaltanti".
Le loro dita si attorcigliarono insieme. Lucio aveva le mani morbide e pulite, senza macchie d'inchiostro, aveva impiegati che facevano il lavoro d’ufficio per lui. "Continuo a pensare che dev’essere difficile, essere un santo. Una perpetua lotta interiore".

Felice si morse il labbro, cercando le parole. Spiegare il suo lavoro era molto più difficile che farlo.

"Guardo i quadri di questi grandi uomini che vanno con calma al martirio e penso che non può essere vero. Il soffrire, il sacrificarsi, non è cosa facile. E’ che... io credo che è questo che li rende preziosi. Far fronte al prezzo del sacrificio e sopportarlo".
Lucio gli sorrise con affetto. Alzò la mano di Felice e gli baciò le nocche. "Forse dovrei lasciar parlare il tuo lavoro, dopo tutto. La tua passione per l’arte è avvincente".
Un ombra passò nei suoi occhi mentre parlò.

"Che hai?" chiese Felice.
"Non è niente" rispose Lucio.
"Stai mentendo con tale scarsità che perfino io riesco a vederlo" sottolineò Felice.
Lucio si passò una mano tra i capelli e sospirò. Guardò la tela: "Il giovane modello è molto bello".
Felice aprì la bocca per dirgli di non cercare di cambiare argomento, poi si rese conto che Lucio non lo aveva fatto.

Lo fissò "Tu sei geloso? Hai terre e un titolo nobiliare, la ricchezza e la famiglia e sei geloso di qualche efebo mezzo morto di fame che posa per me?"
Lucio alzò un sopracciglio: "Ha una bocca invitante e tutto quello che gli chiedi è di posare per te?"
Felice ribatté immediatamente “Sì, è vero che Alessandro è bello, bisognerebbe essere ciechi per non vederlo. Ma io non vado a letto con lui, Lucio. Non l’ho fatto e non intendo farlo mai".
"Perché no?" chiese Lucio ridendo "Potresti indurlo facilmente. Sarebbe felice di avere il tuo patrocinio. Ed è bello".
"Bello in modo incompiuto" rispose Felice "E' questo che intendi? Pensi che dovrei prendermi un amante più giovane?"
"Non è che dovresti, ma non dovresti dire mai". Lucio si allontanò, guardando il suo bicchiere di vino. "Ma io non sono un pazzo, Felice. Io so quanto tempo è passato da quando ero così giovane. Mio figlio più grande, è più vecchio di quel ragazzo".
Subito Felice mise a fuoco la sostanza di quel dibattito, strizzò gli occhi in lontananza per trovare le parole meno offensive: "Oh, Lucio. Pensi che invecchiare stia rovinando il tuo aspetto? Davvero?"
"Lo dici come se non ne fossi già sicuro. Come se non avessi visto da me stesso le prove nello specchio".
Felice svuotò il bicchiere di vino e lo mise da parte "Il tuo specchio non vede come ti vedo io".

Lucio continuò a non guardarlo, ma Felice lo osservava imperterrito. Riusciva a vedere il modo in cui gli anni avevano modellato il suo volto, le rughe di espressione agli angoli degli occhi e della bocca, il modo in cui il nero dei capelli di Lucio era stato contrassegnato da ciuffi eleganti di capelli bianco avorio, il peso solido intorno alla vita. Tali osservazioni si combinavano con le piccole percezioni, sviluppando un ritratto complessivo con un numero infinito di dettagli. Osservò tutta la figura dell’altro uomo. Le vesti ricche e vermiglie e i preziosi gioielli dell’abbigliamento di Lucio.
"No, il tuo specchio non ha l'occhio di un artista".

Si alzò e si avvicinò al suo nobile amico prendendo il viso di Lucio nelle sue mani a coppa, con i pollici sfiorò le linee agli angoli degli occhi. "Ti guardo e vedo una ricchezza di dettagli affascinanti. Vedo una storia su come un uomo è entrato nel potere e quanta parte del mondo lo ha toccato. Quello che vedo è bello".
Lucio gli sorrise "Dovresti essere un poeta e un pittore, amico mio."

La dolcezza nei suoi occhi era un benvenuto, un invito, quindi Felice chiuse la distanza tra loro e lo baciò.
Il bacio fu caldo e familiare, leggermente dolce con un sapore persistente di vino, Lucio accarezzò la lingua di Felice con la propria, con una languida, sensuale intensità.

Felice aveva baciato altri uomini di tanto in tanto nel corso degli anni. Lucio non aveva mai mostrato alcun segno di gelosia, dopo tutto, gli era stato richiesto di sposarsi e di avere dei figli. Ma nonostante tutti gli intrecci che entrambi avevano avuto, questa cosa tra di loro durava da parecchio tempo. Lucio affondò le dita tra i capelli di Felice, baciandolo più profondamente e Felice mormorò nella sua bocca. Il desiderio, forse si svegliava più lentamente ora, di quando accadeva quando erano giovani, impazienti, travolti dagli ormoni della gioventù. Quel lento covare sotto la cenere però, li faceva accendere ancora di passione, non appena si trovavano da soli. Entrambi agognavano alla possibilità di assaporare il loro tempo l’uno con l'altro, senza l'impazienza che li precipitò venti anni prima nel turbinio della loro relazione. Ogni volta che le loro bocche si toccano entrambi sentivano sfarfallare piccole sensazioni di danza e di calore nelle loro vene.
Quando Felice interruppe il bacio, poté notare il rossore sulle guance di Lucio, la passione crescente sulle sue labbra. Il cuore di Felice accelerò il suo battito: "Puoi restare un po' ?"
Lucio annuì: "Ho il resto della serata, se vuoi".
Felice sorrise. "Ho terminato il mio lavoro per oggi. Vieni. Andiamo al piano di sopra".
La casa di Felice affittatagli dal suo protettore era piccola, non aveva bisogno di molto spazio. Al piano di sotto teneva il suo studio, i suoi materiali di consumo e le sue opere in corso, al piano superiore i suoi effetti personali, più o meno nello stesso stato di esuberanza ingombra: libri e opuscoli accatastati accanto al letto, camicie imbrattate di vernice appoggiate su una sedia che attendevano l'attenzione di una lavandaia. Una lampada era abbastanza per mantenere la stanza illuminata. Non si sentiva rinchiuso in un piccolo spazio quando era solo, ma quando Lucio lo andava a trovare la stanza diventava claustrofobica, la figura esuberante e nobile di Lucio aveva bisogno di più spazio.
"Lascia che ti guardi, dunque" disse Felice, raggiungendo i legacci di chiusura del farsetto di Lucio: "Mi piacciono i velluti ma non si possono certo paragonare all'uomo che è sotto di loro".
"Ti stai ascoltando?" Lucio prese la mano di Felice, la baciò, poi rivolse la sua attenzione agli abiti un po' più modesti di Felice "Sei ancora romantico come uno scolaro".
Felice premette un bacio al lato del collo di Lucio, ispirò l’odore di sudore, di pergamena e di legno di sandalo "Gli scolari non hanno tempo per il romanticismo".

Si scambiarono un bacio dopo l'altro mentre le loro mani si davano da fare con gli strati di vestiti. Gli abiti di Felice formarono un mucchio aggrovigliato sul pavimento, quelli di Lucio furono ordinatamente posati sulla sedia. Felice trascinò Lucio nel letto con lui. I riccioli sul petto di Lucio erano grigi ma la sua erezione si ergeva fiera come sempre, e i glutei erano ancora sodi e lisci. Era ancora un uomo nel pieno della sua potenza, ancora vigoroso ma che iniziava il suo cammino nell’età della saggezza.
"Baciami ancora" disse il pittore "o temo che sarò costretto a lusingarti per ottenere altri baci".
Lucio rise: "Dio non voglia" e chiuse la bocca di Felice con un bacio. Il suo corpo era solido e caldo, le braccia spesse e forti mentre stringeva Felice a sé. Felice sentiva il calore del suo corpo filtrato attraverso le ossa, scaldandogli il sangue ad ogni tocco. I loro corpi si sfiorarono sempre più febbrili in una danza lenta e sensuale.
Trovarono il ritmo, i loro sessi si massaggiavano l’un l’altro tra di loro, Felice distese le mani sulla schiena di Lucio e l’altro affondò le sue mani nei folti capelli del pittore. Lucio passò la lingua lungo la colonna vertebrale di Felice lanciandogli raffiche di calore. Le sue dita affondarono nelle coperte sotto di lui fece leva e rotolò sulla schiena trascinando Lucio e inchiodandolo al materasso.
Lucio gemette, le sue cosce muscolose erano prigioniere delle gambe pesanti di Felice, la pressione del membro eretto di Felice minacciava piacevolmente i suoi testicoli. Felice inarcò la schiena godendo la sensazione di possesso del corpo del suo amante, di sentire il corpo di Lucio sotto di lui. Nonostante tutti gli anni passati, nonostante tutte le domande che si erano posti su questo loro rapporto, avevano ancora questa passione tra di loro.
Felice abbassò la testa e coprì di baci la gola di Lucio. Strofinò il suo fondoschiena contro il ciuffo di riccioli rigidi dell'inguine di Lucio, il formicolio fu esasperante. "Per favore" riuscì finalmente a dire "per favore, Lucio, di più".
"Sì, Dio" ringhiò Lucio "Voglio sentire che ti piace come sempre".
"Per favore" ripeté Felice. Nella sua voce non c’era vergogna: "Ti voglio, Lucio".
Gli morse la gola, quasi selvaggiamente, poi Lucio rotolò liberandosi e raggiunse il comodino. Sapeva che Felice teneva lì una piccola bottiglia di olio di semi di lino, lo stesso olio che usava per miscelare i pigmenti. Nella sua forma pura è liscio, fluido e si riscalda rapidamente al tatto. Quando Lucio lo versò sulla mano, alla luce della candela l'olio è leggermente dorato.
Felice allargò le gambe contro il materasso e Lucio gli sorrise: "Sei così ansioso. Hai gli appetiti di un uomo ancora giovane".
"Non farmi aspettare per questo, vecchietto" lo prese in giro Felice, cinque anni tra di loro non significavano nulla.

Il pittore fece scatti profondi di gemito mentre Lucio gli accarezzava l'olio contro la fessura della sua apertura, le dita esasperatamente delicate. Non avrebbe dovuto farne una sfida. Cercò di scuotere i suoi fianchi verso il basso, convincendo Lucio ad infilare le dita dentro di lui, ma Lucio continuava a ridere, accarezzando il buco e rifiutandosi di spingere.
"Di ancora 'per favore’”, disse Lucio "Mi piace il modo in cui suona".

Il viso di Felice divenne rosso e la sua asta pulsò dolorosamente. "Per favore, Lucio. Per favore, riempimi. Non posso fare a meno di te".
Negli occhi di Lucio passò una luce di trionfo. Premette due dita nell’apertura di Felice con un lento e liscio movimento, facendo contorcere Felice vogliosamente.
"Dio, come fai ad essere così stretto?" chiese Lucio, sporgendovi verso il basso e leccando la turgida asta di Felice dal basso verso l’alto, fermandosi a gustare la goccia sul glande. "Ti voglio, Felice."
Felice lanciò dei gemiti: "Quindi prendi quello che vuoi, Lucio. Fallo."

Era quello che voleva anche lui, voleva sentirsi posseduto, voleva sentire il potere di Lucio su di lui.
L'espressione sul volto di Lucio in quel momento era perfetta, l'ammirazione verso le fini opere di Felice, mescolato ad una fame che solamente lui poteva saziare. "Sei così insaziabile”, disse Lucio. "Comincio a chiedermi se il giovane modello con un po' di fame potrebbe essere in grado di tenere il tuo passo".
"Ho avuto il tempo di imparare quello che… ah!" Felice gemette, perdendo il filo del discorso, poiché Lucio finalmente lo riempì di se stesso, pulsante, duro e caldo. Al suo successivo respiro riuscì a dire: "Sì, così" mentre Lucio lo possedeva profondamente.
"Felice" sussurrò Lucio, facendo del suo nome una preghiera "Dio, Felice."
Felice si perse nelle sensazioni, il calore della carne di Lucio che lo riempiva mentre scorreva dentro di lui. Le sue dita attanagliarono le coperte, la tensione si raccolse alla base della sua virilità per poi percorrere una salita lenta ma inesorabile verso la vetta.
Lucio armeggiò con l’erezione di Felice che singhiozzò di piacere mentre combinavano i loro ritmi. Improvvisamente il pittore cessò di pensare, riuscì solo a gemere, gridando il suo piacere mentre raggiunse il suo culmine e, rabbrividendo, versò il caldo seme sul suo ventre.

Vedendo l’estasi del suo amante anche Lucio si lasciò andare in lui, riempiendolo, cedendo all’estasi dell’orgasmo.
Lucio scivolò libero e crollò accanto all’altro uomo. I due giacquero distesi nel materasso, la loro pelle calda li faceva aderire l'uno all'altro. Ci volle un lungo attimo prima che Felice si riprendesse, col cuore che gli martellava nel petto. Felice uscì dal letto per andare a prendere uno straccio e bagnarlo nel lavandino in modo da potersi pulire. Lucio lo guardò disteso languidamente sul letto.
"Dovresti lasciare che ti dipinga" disse il pittore, guardando il modo in cui Lucio si stendeva sul suo letto, come un leone a riposo.
"Ti piace?" chiese Lucio, che comprendeva la sua posa e la dissolutezza dell’attimo. Poi scosse la testa "Sarebbe veramente uno scandalo".

"Non così, allora. Un ritratto. Il mio ritratto di te. Sarà il mio capolavoro".
"Adulatore", rispose Lucio, combattendo con un sorriso. "Non è ancora troppo tardi per trascinarti in politica, se ci tieni".
Felice sorrise, lanciando il suo straccio da una parte. "Sicuramente esistono modi migliori di utilizzare la mia bocca per il mio protettore. Lascia che te li mostri, nel caso in cui te ne fossi già dimenticato".
Lucio allargò le braccia “Sono tuo" disse "Fammi vedere i tuoi lavori migliori".

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