L’uomo gli si materializzò improvvisamente davanti. Un attimo prima non c’era, il secondo dopo era lì, di fronte a lui.
La prima impressione fu la sua altezza, probabilmente sfiorava i due metri; la seconda il pallore della sua pelle, sembrava quasi trasparente. Infine fu catturato dai suoi occhi magnetici, scuri e profondi, mentre riusciva a scorgere un riflesso scarlatto nel fondo del cristallino, come un lento turbinio di lava incandescente.
“Che diamine..?” pensò Marco fugacemente. Il dono della parola però sembrava svanito, come ogni cosa attorno a lui. Si sentiva completamente assorbito nell’attrazione di quello sguardo che cercò di decifrare ma che era totalmente enigmatico; come una statua di cera, quelle di Madame Tussaud che aveva ammirato al suo museo di Londra qualche anno prima. Belle ma fredde, completamente aliene da un’anima che le potesse far vivere: come le bucce di un frutto completamente privo della propria polpa.
Un brivido gli percorse la schiena.
Un bagliore fu catturato dal lampione della strada ai gemelli che l’uomo portava ai polsini. Vestiva un abito elegante, stranamente fuori luogo in quella parte della città che era squallida e piena di capannoni industriali. Marco alzò nuovamente lo sguardo sul volto dello sconosciuto che gli stava davanti. I suoi occhi si posarono sulle sue labbra, virilmente cesellate e così stranamente - piacevolmente - sanguigne.
L’uomo sembrò comprendere le sue tacite considerazioni e sorrise: “Buona sera”.
La voce era come quella di un violoncello perfettamente accordato, così profonda e armonica che sembrava fosse uscita da una cassa di risonanza. Quelle due semplici parole gli entrarono nella mente e l’avvilupparono con sensualità. Come in una carezza invisibile si insinuarono sotto la corteccia cerebrale, sfiorando lussuriosa le meningi, inserendosi nelle pieghe dell’encefalo, facendolo pulsare e vibrare, risuonando in echi infiniti dentro la scatola cranica e mandando finalmente – inesorabilmente – scosse di piacere in tutto il suo corpo.
“Buona sera” balbettò in un sospiro.
Sospiro? Marco riconobbe solo in seguito, di aver sospirato. Doveva immediatamente riprendersi da quello strano torpore che lo avvolgeva come in un bozzolo invitante. Sbatté gli occhi un paio di volte cercando di mettere a fuoco la vista, obbligandosi a schiarire la mente che stava precipitando in una voragine senza tempo, come se fosse sul ciglio di un pozzo senza fine, in bilico su un abisso d’eternità. Si domandò cosa stesse succedendo e percepì un segnale d’allarme pervenire dal suo inconscio. Vacillò impercettibilmente come in preda alle vertigini e cercò la stabilità, divaricando lievemente le gambe in cerca di un baricentro più stabile. “Posso aiutarla?” domandò dopo aver ripreso il controllo di se stesso.
L’uomo distese leggermente le labbra, aprendo il sorriso e mostrando una chiosa di denti candidi e perfetti: “Le sarei grato se potesse indicarmi la strada per Viale delle Rimembranze. Devo essermi perduto”.
“Venga l’accompagno, sto andando anch’io da quella parte”, propose Marco “Sta forse andando al Ristorante dei quattro moli?” chiese cordialmente allo sconosciuto, dando per scontato che si stesse recando nell'unico locale della sua strada.
“Me ne hanno parlato bene” annuì evasivamente l’altro.
“Sì. La cucina è veramente buona e i costi sono contenuti per essere una cucina a base di pesce. Ci vado spesso anch’io, si trova di fronte a casa mia ed è comodo quando non ho tempo, o voglia di cucinare”. Troppo tardi si accorse di aver confessato dove abitasse ad una persona completamente sconosciuta.
“Sono già stato, ma non sono di queste parti e devo aver perso qualche incrocio. Potrò sembrarle un po’ ingenuo…”
Tutto sembrava, tranne che ingenuo, rifletté Marco registrando i muscoli che riempivano le maniche della giacca doppio petto e i pettorali che spingevano i baveri verso l’esterno. Un predatore, gli segnalò una vocina interiore. Notò che l’uomo gli lanciava occhiate da sotto la frangia scompigliata. “Io mi chiamo Marco, Marco Angiolini”. Nuovamente si sorprese della propria stupidità.
“Piacere, Marco. Sono Guillaume Maleherbes” la voce armonica fu accompagnata da una mano tesa per la presentazione.
Marco strinse la mano e gli parve che in quel contatto ci fosse stata una scossa elettrica di partecipazione. La stretta era forte ma gentile, la mano asciutta ma decisa. “Francese?” chiese timidamente.
“No, Canadese. Della parte francofona, ovviamente. Di Québec” precisò l’uomo con un errore d'italiano.
“Capisco dunque che si sia perso” sorrise lui un po’ confuso per la sensazione del contatto.
Guillaume allargò il sorriso. “Merci, mon copain. Non sono uno sprovveduto ma sono un po’ stordito. Forse per il fuso orario”.
Marco annuì, senza dire parola. Era un po’ in imbarazzo di fronte a quello sconosciuto che, in un incontro fugace, gli aveva fatto provare sensazioni così profonde. Quelle poche parole in francese erano state talmente sensuali che le gambe le sentì instabili. Che stupido che sono, si disse. Mon copain. Amico mio.
Doveva riprendersi.
Scese un imbarazzante silenzio tra loro. Qualche centinaio di metri più avanti lo sconosciuto ruppe il ghiaccio: “Vorresti cenare con me, se non ti spiace? Ti offrirei la cena.”
Marco non intendeva assolutamente. Insomma, era con uno sconosciuto. D’accordo aveva saputo il suo nome, Guillaume. Ma era pur sempre una persona che non conosceva. Non poteva fidarsi di una persona incontrata per strada. Assolutamente no.
“Mi farebbe molto piacere” rispose. Ma cosa cavolo gli stava succedendo? Probabilmente un corto circuito tra cervello e subconscio. Si stupì di se stesso ma decise di dare ragione alla parte positiva di sé.
“Non sai quanto sono contento di questo” sussurrò Guillaume.
Marco fu felice di sentirselo dire. Stava flirtando con lui? Decise che se fosse stato così, non avrebbe negato la possibilità. Quell’uomo era un magnete per lui. Il fisico alto e scolpito, il viso attraente con quel filo di barba che incorniciava il mento appuntito, i capelli folti, scuri e così lucenti. Le iridi scure con quel liquido rossore che riverberavano dentro di essi. Sembrava… sembrava… Era un vampiro! Marco comprese immediatamente i fini reconditi di Guillaume. Cazzo! Non era possibile, non esistevano creature così nella natura umana. Magnetismo, occhi ipnotizzatori, pallore cadaverico, denti perfetti! Guillaume era un vampiro! Una vocina dentro di sé si fece strada.
Che-cazzo-te-ne-frega? E’ bono, è interessato, sta flirtando con te. Dacci dentro. Dopo un anno di zittellaggine te lo meriti, cazzo!
Decise di darle conferma, al limite sarebbe morto al momento di donargli il suo sangue. Tutto purché potesse essere di quell’uomo affascinante.
Cenarono e poi Marco lo invitò a casa sua, proprio di fronte al ristorante. Fecero l’amore. Fu una notte indimenticabile. Lo fecero innumerevoli volte insieme, Marco perse il conto.
E si perse in quell’oblio misterioso. Forse era morto.
E si perse in quell’oblio misterioso. Forse era morto.
L’alba rischiarò le finestre e Marco aprì gli occhi. Era avvinghiato ancora a Guillaume, il sole riverberava sulla sua pelle bianca, incredibilmente pallida. I pettorali scolpiti e quella peluria fine a sottolinearne la candidezza. Si tastò il collo, niente! Toccò le spalle nessun dolore, nessun morso. Non ricordava nessun attacco da parte di Guillaume se non tanta gentilezza. Si avvicinò strusciandosi sensualmente per destarlo.
Guillaume sospirò e stirò i muscoli tonici, aprì gli occhi osservandolo. “Buongiorno cuore mio”.
“Buon giorno!” rispose, reso insicuro da quella vista di un corpo meraviglioso accanto al suo.
“Ti va di andare a prendere il sole, oggi?” chiese il canadese con voce suadente.
Marco pensò di aver visto troppi film dell'orrore. Non poteva essere un vampiro, dato che gli aveva proposto di andare a prendere il sole. I vampiri bruciano alla vistà del sole e guardando lo specchio che rifletteva l'immagine dei loro corpi avvinghiati nel letto, ne ebbe la conferma. Gli specchi non riflettono i non-morti. Scacciò l’idea ed annuì. “Ovviamente”. Si alzarono dal letto e Marco preparò la colazione.
Mentre Guillaume stava bevendo il suo caffè, tra un sorso e l’altro gli chiese: ”Come stai a RH?”
“Zero Positivo” rispose Marco comprendendo la domanda.
Buongiorno a tutti. Confermo con piacere quanto già detto da me su questo blog in occasione di un altro racconto. La vena fantasy Direttore caro è il tuo futuro. Sei magico nel creare atmosfera, descriverla ed accompagnare il lettore dentro il racconto. Bravo l'ho molto apprezzato, anche se il finale mi ha spiazzato: voluto immagino. Qui ci starebbe bene proprio una storia diviamo una settantina di pagine....bravo Eagle
RispondiEliminaBuongiorno a tutti voi...
RispondiEliminaSono pienamente d'accordo con quello che ha scritto Silva, parola per parola...
Mi sono sentita trasportata anch'io vicino a questo affascinante e pallido gigante...
Bellissima l'atmosfera che ha saputo creare il nostro Eagle, quindi ancora una volta ti dico...bravissimo...
Però il finale ...sono rimasta come in sospeso..avrei voluto leggere molto di più...
Ormai mi ero così incuriosita...voglio ancora il bel vampiro...!!!
Ossignor.... 0+ è il mio sangue! Quello del Ciccio è 0-... Siamo forse in pericolo?
RispondiEliminaMi sembra di capire che ti sei fatto influenzare dal libro che stavi leggendo, dove i vampiri sono anime buone.
Hai pure sovvertito una delle tue principali regole, MAI sesso al primo incontro!
Ma nel fantasy si possono sovvertire anche le leggi della fisica, quindi cosa vuoi che sia una regola morale?
Mi spieghi poi che fattore di protezione userà mai questo uomo, per mantenere il suo candore perlaceo, se gli fai prendere pure il sole?
Mi permetto di fare tante domande perché so benissimo che non risponderai mai, caro il mio scribacchino....