mercoledì 4 dicembre 2013

LO SCOUT SUL MURO



Era impossibile entrare nella base del reparto scout del mio paese senza fermarsi, almeno un attimo, ad ammirare il magnifico disegno che raffigurava un esploratore intento a costruire un ponte di corde. Posto in bella vista nell’ingresso della sede, contornato da elementi araldici scout, era uno dei meglio riusciti e l’artista l’aveva dipinto su richiesta di don Nunzio, in ricordo di tante avventure vissute insieme. Nel dipinto, lo scout era raffigurato in equilibrio, su un ponte di corda in costruzione. Egli alzava lo sguardo verso l’osservatore e, con un largo sorriso, sembrava volesse dire: “Vieni anche tu ad aiutarci!”. Sul fondo, le cime tormentate di alcune montagne e un cielo quasi infuocato contribuivano a creare un’atmosfera carica d’avventura.

Tutte le volte che entravo in sede, affascinato e quasi ossessionato da quell’impresa pionieristica, mi soffermavo un attimo a pensare: dovevo insistere con i capi scout affinché mi concedessero i fondi per acquistare le corde grosse necessarie per realizzare una bella progettazione. Certo, occorreva prima fare il progetto, scegliere il posto adatto, distribuire i compiti, allenarsi nelle legature, ma era una bella impresa per il mio gruppo, e avremmo vinto il premio annuale, magari anche quello nazionale. Il desiderio diventava sempre più insistente, mentre il sorriso dello scout nel dipinto sembrava caricarsi ogni volta di maggiore provocazione. “Ti decidi o no ad aiutarmi? Vorrei finalmente completare questo ponte”.

“Verrò, verrò, Ardito!” rispondevo al mio amico immaginario. Ormai ero entrato talmente tanto in confidenza con lui, da chiamarlo per nome, come un amico di vecchia data. Avevo scelto il nome di Ardito, perché quello mi sembrava un progetto “ardito”. Ogni tanto mi soffermavo a guardarlo, stando attento di non farmi vedere dagli altri del gruppo. I suoi lineamenti erano dolci e allo stesso tempo accattivanti, mi sarebbe piaciuto avere un fidanzato come lui.

Nella mia squadriglia avevo una ventina di ragazzi, tutti molto in gamba. Una sera, prima della fine dell’anno sociale, rientrai a casa con lo stomaco un po’ pesante a causa di una ricca mangiata fatta insieme alla squadra. Per preparare e provare il menù del campo estivo, avevamo deciso di trovarci una volta al mese nella casa di uno di noi, secondo un turno preciso che teneva conto degli eventuali compleanni del periodo. I consigli delle madri ospitanti avrebbero assicurato il successo dell’esperimento culinario. Così la squadriglia si preparava ad affrontare con tranquillità le sfide di cucina, tanto importanti per la classifica finale. Queste cenette erano una tradizione ormai consolidata nel tempo; proprio per questo, in reparto si mormorava che gli aiutanti al campo estivo fossero disposti a fare le carte false, pur di essere ospitati a pranzo. Purtroppo le esercitazioni casalinghe, con l’aggiunta di qualche rinforzo offerto dai genitori ospitanti, si rivelavano spesso un po’ pesanti per lo stomaco, ma è anche vero che a quell’età si digerirebbero pure i chiodi. Proprio quella sera avevamo festeggiato i compleanni del mese di maggio, io ero fra questi. Festeggiavo i miei ventiquattro anni.

Prima di rientrare a casa, ero passato in sede per riportare il diario della squadriglia, sul quale era stato segnato il menù di quella memorabile mangiata e firmato da tutti i presenti. La storia è fatta anche di questi episodi, importanti per consolidare lo spirito di squadra. Come al solito, entrando, avevo salutato il mio amico Ardito, che sembrava sorridere con un certo sarcasmo: “Invece di mangiare come maiali, fareste meglio a venire a lavorare con me, sul ponte!”.

“Se non la smetti di provocarmi, te la do io una bella scossa al ponte, per farti cadere” ribattei scherzoso uscendo per andarmene a casa. In quel momento mi squillò il cellulare. Il display mi annunciava che era il capo-scout della provincia. Accettai la chiamata.

“Ciao Lorenzo, sono Carlo” mi annunciò con la sua profonda voce baritonale.

“Ciao Carlo, dimmi”

“Disturbo?” erano le dieci di sera, il giorno dopo era domenica e ci sarebbe stato l’incontro di gruppo sulla progettazione. Probabilmente mi avrebbe suggerito un posto, dove avremmo potuto costruire il ponte sospeso.

“Assolutamente no, sono appena uscito dalla sede e sto andando a casa”.

“Ottimo. So che domani avrete l’incontro ed ho pensato di mandarti un nuovo ragazzo, che ha più o meno la tua età. Era capo-squadriglia nella provincia di Pavia ma si è trasferito per lavoro e si è rivolto al regionale per il trasferimento. Si chiama Andrea”.

Due mani in più nella squadra facevano sempre comodo e, soprattutto, avendo il mio stesso grado, avrei potuto condividere con lui il pesante compito organizzativo. Gli chiesi di mandarmi un messaggino con il numero di cellulare di Andrea e di chiedergli di mettersi in contatto con me. Quando arrivai a casa, mi misi subito a letto addormentandomi immediatamente. Nel mio sogno mi ritrovai nel paesaggio dello scout affrescato al muro: “Ehi, tu, non dormire, passami quella corda!” brontolò scherzando il mio amico Ardito.

“Che nodo devo fare qui?”.

“Quella legatura e troppo distante, e poi stringi forte quel nodo, se vuoi che tenga”.

“Ma tu, Ardito, di che squadriglia sei?”.

“Dei Giaguari!”.

“Bel totem; ma i tuoi squadriglieri dove sono?”.

“Quelli? Dormono!”.

Il dialogo proseguì, ricco e cordiale durante tutto il lavoro, poiché erano numerosissimi gli interessi che ci accomunavano. Pareva che ci conoscessimo da moltissimo tempo e fossimo in grande confidenza tra di noi. Grazie all’affiatamento subito raggiunto e alla tecnica che anch’io avevo acquisito, il ponte fu completato al tramonto.

“Ora” disse Ardito, “prima di mostrarlo ai capi, dovremo collaudarlo: forza, sali su e tieniti ben saldo”.

Salii sul ponte traballante nel vuoto e Ardito cominciò a scuotere violentemente le funi. Dimenticai per un istante che, in casi del genere, occorre allargare il più possibile tra loro le due funi corrimano: un ultimo scossone mi fece perdere l’equilibrio e, poiché non avevo messo il moschettone dell’imbracatura di sicurezza, precipitai nel vuoto. Lanciando un urlo e mi svegliai. Il cuore mi batteva fortemente, Sentivo ancora un po’ di nausea accompagnata da un po’ di capogiro, ma mi ritrovai sano e salvo sul morbido materasso, invece che ammaccato sul duro terreno, e mi tranquillizzai immediatamente. Probabilmente l’incubo era dovuto alla pesantezza di stomaco.

L’indomani, nel pomeriggio, mi recai in sede per primo, per sistemare la sala riunioni. Passando sotto l’affresco all’ingresso, salutai il mio amico del ritratto. Aprii gli armadi dove tenevamo il materiale e presi i progetti, li fissai alla lavagna di metallo con le calamite e, mentre stavo spostando le sedie a circolo, sentii bussare alla porta d’entrata che si aprì subito dopo. Un ragazzo fece capolino alla porta, salutandomi: “Ciao, è questa la sede del gruppo scout?”.

Non vedevo i lineamenti del volto perché era controluce sulla porta d’ingrasso con il sole alle spalle. Intuii che fosse il nuovo arrivo: “Ciao, sei Andrea? Sono Lorenzo”, mi avvicinai e allungai la mano per un gesto di saluto.

“Si sono io, piacere di conoscerti” entrò chiudendo la porta e solo allora fui in grado di vedere il suo volto.

Con stupore, mi trovai davanti al mio amico Ardito. Andrea aveva gli stessi occhi, gli stessi lineamenti, lo stesso ciuffo del ragazzo del ritratto. Istintivamente alzai lo sguardo sulla parete. Andrea alzò gli occhi, guardandosi come in uno specchio e semplicemente disse: “Wow! Mi somiglia”.

“Direi che sei tu” esclamai ancora stupefatto dalla somiglianza.

Parlammo un poco aspettando che il resto della squadra arrivasse in sede. Non mi sembrava vero che il ragazzo che avevo idealizzato nella mia mente, tramite il dipinto, fosse ora davanti ai miei occhi, in carne e ossa. Mi fu immediatamente simpatico e mi trovai subito bene con lui, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Il dibattito coinvolgente e di grande complicità che avevo avuto in sogno con Ardito era, in pratica, la copia in carta carbone di quel nostro primo colloquio. Eravamo coetanei e nati nello stesso segno zodiacale. Se qualcosa di vero c’è negli influssi astrali, cosa di cui ero e sono scettico, per noi invece valeva al cento per cento. Diventammo subito amici per la pelle e presto scoprii di essermi innamorato di lui. Durante il campo estivo che tenemmo ad agosto il nostro rapporto di amicizia, s’intensificò ulteriormente. Condividemmo la stessa tenda e la notte, sentendo il suo respiro al mio fianco, fantasticavo su di noi. Passarono i mesi, arrivò l’autunno e, con la ripresa delle attività di gruppo, i nostri incontri si moltiplicarono, spesso in compagnia degli altri della pattuglia, ma anche tra noi due da soli, a casa mia o da lui. Mi trovavo in una situazione molto imbarazzante perché volevo togliermelo dalla mente, ma ero costretto a frequentarlo.

Un pomeriggio di un fine settimana, ci trovammo a casa sua per organizzare una festa con gruppo dei piccoli, i lupetti e le coccinelle, come vengono definiti in gergo scout. L’occasione era quella di Halloween, per la notte di Ognissanti. Con noi c’erano anche le due caposquadra femminili, Tiziana e Fabiola, due sorelle che avevano qualche anno meno di noi. La riunione andò per le lunghe perché Tiziana aveva da qualche tempo una cotta per me ed era decisamente fra le nuvole. Quando finimmo, era già mezzanotte. Le ragazze, che abitavano nello stesso palazzo di Andrea, andarono finalmente a casa. Io abitavo nel paese vicino e lui si era offerto di ospitarmi per la notte. Dormiva in un divano a letto di una piazza e mezza, situato nella sala dove ci trovavamo e dove scoppiettava il fuoco di un caminetto. Mi recai in bagno per prepararmi per la notte e, quando ritornai, la branda occupava già l’ampia stanza. Andrea andò in bagno ed io aggiunsi un altro ciocco di legna al fuoco che crepitava diffondendo il suo calore. Ci infilammo finalmente sotto le lenzuola. Avevamo preso un’abitudine dormendo insieme. Prima di addormentarci, scambiavamo qualche osservazione sulla giornata o ci raccontavamo qualche aneddoto della nostra vita.

“Allora quando ti decidi a provarci con Tiziana?” mi chiese allegramente Andrea nella penombra della stanza illuminata dalle sole fiamme del camino.

Devo averlo fulminato con lo sguardo, perché si mise a ridere di gusto. “Non ho nessuna intenzione di frequentarla, né ora né mai” risposi lapidario.

“Non è una brutta ragazza” aggiunse lui.

Valutai la sua osservazione e quindi ammisi controvoglia: “Non ho detto questo. Anzi la trovo molto carina”.

“La stai conducendo in una strada senza sbocco” la risata gli si spense in gola, la sua affermazione era severa, senza mezzi termini.

“Non ho mai fatto niente per indurla a continuare o per incoraggiarla”.

“Ma non fai niente per frenarla”.

Chissà perché mi sentivo sotto accusa, come se un giudice severo mi stesse valutando per i miei comportamenti. “Non ho voglia di discuterne” conclusi, e per me sarebbe finita lì.

Lui si appoggiò sul gomito e si alzò voltandosi verso di me. Mi guardava fisso nel volto, le fiamme del camino si riflettevano nei suoi occhi scuri. “E invece ne dobbiamo parlare, Lorenzo. Così non può continuare”.

Lo guardai confuso. Forse aveva preso una cotta per Tiziana e avrebbe voluto che chiarissi la cosa per avere la strada spianata. Certo! Doveva essere così, non poteva che essere così. “Oh!” esclamai folgorato da questa spiegazione “non avevo capito che fossi interessato a lei. Se è così, la chiamo e le parlo domani. Scusami”.

Sorrise, però con una piega triste sulle belle labbra, poi si stese nuovamente sul cuscino. Il silenzio era piombato su di noi. Stavo per scusarmi ancora, quando lo sentii sbuffare sonoramente. “Non hai capito niente, Lorenzo. Non sono interessato a Tiziana”.

Voltai il capo verso di lui. Ero sempre più confuso. Si girò verso di me e vidi nuovamente le fiamme del camino riflesse nelle sue pupille. “E di te che sono interessato”.

BUM! Non poteva essere, stavo sognando? Mi sentivo nuovamente sospeso sul ponte di corda con Ardito. Presto sarei precipitato un’altra volta. Si alzò sul gomito e si avvicinò pericolosamente al mio volto. Pochi centimetri ci separavano. Non volevo precipitare nel vuoto, il solo pensiero mi faceva paura. Allungai la mano e catturai il suo braccio. Non so se fui io a tirarlo verso di me o se fu lui a fraintendere il mio gesto, ma mi ritrovai le sue labbra sulle mie e quando la sua lingua s’insinuò alla ricerca della mia, spalancai le labbra e ci baciammo con passione. Fu la nostra prima notte insieme. Dopo molte altre notti trascorse l’uno a fianco dell’altro, quella fu la prima in cui giacemmo l’uno con l’altro. Il mio amico Ardito è scomparso dai miei sogni. Non è più tornato a farmi compagnia. Forse perché la sua immagine incorporea si è finalmente incarnata nella figura del mio compagno che da cinque anni cammina al mio fianco nella vita e sui sentieri di montagna, accordando il passo con il mio, al ritmo degli inni degli scouts.

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