mercoledì 25 dicembre 2013

IL SOLDATINO DI NATALE




Le luci dell’albero di Natale si rispecchiavano nel vetro della finestra contro il blu della notte. La grande vetrata era la superficie ideale per riflettere le lucine intermittenti, il cielo sembrava pieno di stelle colorate che riverberavano nel buio. La casa era silenziosa, tutti gli ospiti erano stati messi a dormire già da molte ore e i corridoi dell’ospizio erano deserti. L’unica presenza era quella della caposala del turno di notte che sedeva alla portineria, leggendo una rivista di moda. Sentiva le palpebre pesanti e a un certo punto sussultò sulla poltroncina per non assopirsi completamente.

“Vai a buttarti su una branda, Attilio”, gli suggerì lei “Tanto stanno dormendo tutti, se c’è bisogno, ti sveglio”.

“Grazie Doris, apprezzerei un riposino.” accettò sorridendole con gratitudine: “Ma svegliami tra un’oretta, per favore, voglio solo schiacciare un pisolino. Questo riscaldamento è troppo alto. Mi rimbambisce”.

“Il riscaldamento è alto è vero, ma le lamentele sono peggiori” aggiunse lei di rimando, “Questo è uno dei difetti di lavorare in una clinica geriatrica; si lamentano per tutto”.

L’infermiere si alzò dalla poltroncina e si avviò verso una sala adibita alle visite specialistiche, dove avrebbe trovato una brandina sulla quale potersi stendere per il suo agognato pisolino. Girando l’angolo del corridoio vide il signor Pizzini ancora sveglio, seduto sulla sua sedia a rotelle, con un plaid sulle ginocchia. Lo sguardo perso nel vuoto.

“Signor Ugo, cosa fa ancora sveglio?” gli chiese gentilmente “E’ tardissimo, venga che la porto nella sua stanza”.

L’uomo trasalì, come se fosse addormentato o come se il suono della sua voce, lo avesse strappato dai suoi profondi pensieri. Lo stupore si trasformò in un sorriso. La mano tremante si alzò dal suo grembo allungandosi verso di lui. “Pietro” mormorò l’anziano.

“Non mi chiamo Pietro, Sig. Pizzini, sono Attilio, l’infermiere” gli rispose in modo paterno.

“Ti ho aspettato tanto, Pietro! Ero stanco di spettarti” lo sgridò l’uomo “Se non fossi arrivato oggi, probabilmente me ne sarei andato”.

L’infermiere era abituato a questi vaneggiamenti da parte dei suoi anziani pazienti. “Venga che la porto a letto, Ugo”.

“Non voglio andare a letto, Pietro. Ora che finalmente sei tornato voglio andare al mare, Mi avevi promesso che mi avresti portato al mare. Te lo ricordi?”, protestò caparbio l’anziano.

Attilio voleva andare al più presto a stendersi sulla branda: “Ugo, per favore, faccia il bravo, la porto a letto”.

“Ho detto che non voglio, Pietro.”, strillò il vecchio “Voglio andare al mare. Era una promessa e la devi mantenere!”

“Va bene, va bene!” cercò di calmarlo Attilio, “La porto a vedere l’albero di Natale. Ma non strilli così che mi sveglia gli altri ospiti!”. Impugnò le maniglie della carrozzina e lo guidò verso la sala d’attesa. Passando davanti alla caposala, si strinse nelle spalle per rispondere al suo tacito sguardo d’interrogazione. La donna scosse la testa sospirando rassegnata. Entrò nella saletta e collocò la carrozzella vicino al termosifone, raddrizzò la coperta di Ugo sulle sue gambe e si sedette sulla poltroncina a fianco allungando le gambe cercando di rilassarsi.

“Che bel calduccio!” esclamò il vecchio. “Vedi che hai fatto bene a portarmi al mare, Pietro”.

L’infermiere lo guardò turbato, il signor Ugo soffriva di Alzheimer, e il processo degenerativo della sua memoria cominciava a essere preoccupante. Il viso dell’anziano era sereno e i suoi occhi erano sorridenti. Probabilmente si sarebbe addormentato a breve.

“Ti ricordi, Pietro, quando siamo stati a Ravenna con la cinquecento?” gli domandò Ugo. “Eri così orgoglioso di quella macchina. L’avevamo presa con i nostri risparmi”.

Chi era Pietro? Si domandò Attilio. Il signor Ugo non aveva figli, forse era il fratello.

“Faceva caldo come adesso, ti ricordi? Ci stendemmo con gli asciugamani sulla sabbia della spiaggia del Lido e prendemmo il sole tutto il giorno. La sera eri rosso come un peperone. Non riuscivi a stare a letto. Non potevo neanche toccarti. Ti passai la crema sulle spalle e sul viso e continuavi a lamentarti. Che gran brontolone! E pensare che eravamo partiti per stare un po’ insieme. Avevamo pianificato a lungo quella vacanza, e quando finalmente era arrivato il giorno tanto atteso, abbiamo rovinato tutto”.

Attilio sollevò lo sguardo sul vecchio, l’uomo sorrideva ai suoi ricordi nostalgici e fissava la parete di fronte a lui. L’infermiere notò che il suo sguardo era perso sulla stampa incorniciata e appesa alla parete. La fotografia era l’immagine di uno scorcio di Portofino con le barche ancorate ai moli. Le case colorate rallegravano lo scorcio del porto assolato.

“Il giorno dopo abbiamo mangiato alla trattoria sulla spiaggia” riprese Ugo, “Che buoni quei tagliolini con i frutti di mare! Ti ricordi Pietro? Ne mangiammo due piatti. E poi la piadina con l’affettato. Non ne avevamo mai abbastanza di mangiare. E il vino? Ti ricordi il Sangiovese? Alla fine eravamo brilli, e continuavamo a ridere come matti! La gente ci guardava male. Anche quelle ragazze che erano sedute vicino a noi. Ma a noi non importava niente, ci stavamo divertendo ed io ero con te, e tu con me. Il resto non contava niente. Solo noi due e il nostro amore, vero Pietro?”

Attilio alzò nuovamente lo sguardo sul Signor Ugo ma non disse nulla.

“Per non prendere il sole, tornammo in albergo e siamo stati a letto tutto il giorno. La pelle era ancora bruciante ma siamo riusciti lo stesso a fare l’amore. Che bello che era stare tra le tue braccia forti, Pietro! E tu mi proteggevi con tanto affetto. Ero il tuo giocattolino, mi dicevi. Il mio piccolo soldatino di stagno”. Il vecchio si voltò verso l’infermiere sorridendo, gli occhi annacquati lo fissavano, mentre una lacrima gli scendeva sulla gota solcata dalle rughe. “E ora guardami, come sono vecchio, amore mio. Tu invece, sei ancora bello”.

“Venga Ugo, la porto a letto” gli sussurrò Attilio.

“Sì, Pietro, andiamo a letto. Sono stanco. Fa troppo caldo qui sulla spiaggia. Non c’è nessuno, vedi? Siamo solo noi. Sono tutti chiusi a casa per il troppo caldo”.

Attilio si alzò dalla poltroncina ma fu fermato dal gesto dell’anziano ospite che, osservando l’albero di Natale, allungava la mano verso di esso. Con le lunghe dita nodose tentava di raggiungere un ornamento che pendeva da un ramo. Era troppo lontano e non riusciva a raggiungerlo. L’infermiere lo spiccò dal ramo e lo porse al suo paziente. Era un piccolo soldatino di legno sull’attenti.

“Il mio piccolo soldatino” sospirò il signor Ugo.

Attilio impugnò le maniglie della sedia a rotelle e uscì dalla stanza, lungo il corridoio. Aveva la vista offuscata dalle lacrime che gli sgorgavano copiose.

3 commenti:

  1. Questo mi ha fatto venire la pelle d'oca..un amore perso,ma mai dimenticato..la lacrimuccia c'è scappata =(

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  2. Un altro racconto che fa piangere anche me ogni volta :'-(

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  3. Bellissimo, intenso, commovente, i ricordi di un amore ancora presente e vivo nella memoria. Anche a me e' scappata la lacrimuccia...

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