venerdì 5 giugno 2015

RITORNO A CASA DEL PADRE

 
 
Articolo di Carlos Osma pubblicato sul suo blog HOMOPROTESTANTES (Spagna) il 1 settembre 2014, liberamente tradotto da un volontario di Progetto Gionata
 
Come leggere la parabola del figliuol prodigo alla luce dell’esperienza delle persone omosessuali? Questa domanda qualche giorno fa era l’argomento di conversazione con un buon amico. La sua conclusione è stata piuttosto categorica: “Non rimuginarci sopra Carlos, molti omosessuali si sono allontanati da Dio e conducono una vita di eccessi sessuali e senza senso. La parabola è un invito a tornare a casa, a tornare a Dio”. In quel momento non riuscii a dargli una risposta più sensata, gli dissi solo che la sua non mi soddisfaceva e che c’era bisogno di rifletterci un po’ di più.
Giunto a casa, tornai a leggere la parabola e a concentrarmi sul personaggio del figlio piccolo, il figliuol prodigo. Ed ho voluto suddividere la sua esperienza in tre parti, per vedere se trovavo qualche connessione con l’esperienza delle persone omosessuali che ho conosciuto.
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Parte 1. “Un uomo aveva due figli, e il più giovane disse al padre: -Padre, dammi la parte di eredità che mi spetta- E il padre divise i beni tra i due figli. Qualche giorno dopo, raccolte tutte le sue cose, il figlio minore partì per una terra lontana… [1]
Se facciamo un parallelismo del padre che compare nella parabola con la famiglia o l’ambiente più prossimo alla persona lesbica o gay, oppure con Dio o con l’ambiente religioso a cui essa appartiene, credo che la parabola abbia poco a che vedere con la maggior parte delle esperienze lesbiche o gay. L’identità data dai concetti “gay” e “lesbica”, lo spazio che essi creano per la propria autocomprensione, e il mondo simbolico che essi generano per la vita di tantissime persone, non sono stati recepiti dall’ambiente familiare nè da quello religioso. Le eredità materne/paterne sono state diverse, e ogni lesbica o gay potrebbe spiegare ciò che ha ricevuto, ma non ho mai conosciuto nessuno a cui la famiglia o la sua esperienza religiosa abbia lasciato in eredità una soddisfacente autocomprensione del suo essere gay o lesbica. Questa identità si è invece costruita in opposizione a queste eredità, nel confronto con esse o addirittura in loro assenza.
D’altra parte, nella parabola si parla di un allontanamento volontario del figlio prodigo, di una fuga, un cammino in cerca di nuove esperienze. Il figlio prodigo si sente autosufficiente e pensa di non aver bisogno di suo padre ne di suo fratello. L’eredità ricevuta basta per affrontare la vita con completa libertà. Trovo nuovamente delle differenze importanti con l’esperienza della maggior parte dei gays e delle lesbiche. Le persone omosessuali che ho conosciuto vivono prevalentemente lontane dal loro ambiente familiare e religioso originario, ma non in modo volontario, bensì costretto. In una parabola con un figlio prodigo gay o una figlia prodiga lesbica, il padre o madre li caccerebbero di casa fin dal primo momento. Il modo in cui si trovano a vivere nel mondo le persone omosessuali è molto più simile al trasferimento forzato in un luogo non scelto volontariamente, che al cammino di un figlio incosciente verso un miraggio di felicità.
Riconoscere se stessi ed accettarsi come gay o lesbica, avere in mano l’eredità paterna, oggi non è la stessa cosa di qualche anno fa, mi riferisco all’ostracismo e alla discriminazione. Ma senza dubbio questa identificazione di sè continua ad allontanare la maggior parte degli omosessuali dalla casa paterna, dal luogo che la famiglia e la religione avevano pensato per loro. Un’esperienza che si allontana da quella che troviamo in questa parabola, ma che ha molto in comune con quella dei primi seguaci di Gesù, che lasciarono la casa paterna/materna in cerca di una vita più piena.
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Parte 2. “Il figlio minore se ne andò lontano in una terra remota, e lì consumò la sua eredità vivendo viziosamente. Quando ebbe sperperato tutto, arrivò una grande carestia in quella provincia ed iniziò a trovarsi nel bisogno. Allora si presentò da un abitante di quel paese, il quale lo mandò nel suo podere perché pascolasse i maiali. Il ragazzo desiderava riempirsi la pancia con le carrube che mangiavano i maiali, ma nessuno gliene dava. Tornando in sé disse: -Quanti salariati in casa di mio padre hanno abbondanza di pane, e io qui patisco la fame! Mi alzerò e andrò a cercare mio padre- [2]”.
Se pensiamo alle persone che vivono nell’armadio, il paese costruito per loro, per l’eteronormatività, è un luogo di inganno, di emarginazione, di colpevolizzazione, dove l’altro o l’altra sono ridotti al solo corporale, al sessuale, ad un oggetto di temporanea soddisfazione del desiderio represso. E’ possibile che il porcile di cui si occupava il figlio prodigo rifletta questa esperienza. Un luogo creato per colpevolizzare e opprimere chi se ne va dalla casa del padre, dalla eteronormatività obbligatoria, e semplicemente a volte gioca ad andare in una fattoria vicina. In questi allevamenti di maiali è facile avvertire che l’unica opzione possibile è quella di rassegnarsi e tornare alla casa del padre, pur sapendo che non sarà mai possibile far parte di essa e che ben presto si ripresenterà la necessità di tornare a fuggire. Ci sono molti salariati che nella casa paterna hanno pane in abbondanza, ma il pane che essi ricevono non potrà mai saziare noi (omosessuali non accettati). Possiamo leggere la parabola come un invito alla rassegnazione, ma a mio parere la parabola non parla di rassegnazione, ma di riscoperta dell’amore del Padre e del suo perdono illimitato.
Il figlio prodigo se ne andò via, lontano dalla casa del padre, cosa che credo abbia molto in comune con l’esperienza lesbico-gay della maggior parte delle persone che vivono la loro diversità senza nascondersi, persone per le quali l’orientamento sessuale completa la dimensione sessuale, ma anche molte altre, come quella affettiva, spirituale, familiare, lavorativa… Si allontanano dal mondo creato per loro, quello dell’eteronormatività o quello dell’omosessualità chiusa nell’armadio, per costruire un altro mondo lontano dal precedente. Di per se l’omosessualità non crea mondi perfetti, cosicchè è possibile che, come in qualsiasi altro mondo, le persone che lo costruiscono debbano scontrarsi con paure, incongruenze, errori, ecc. Ma credo che l’errore di identificare gli spazi di vita costruiti dalle persone omosessuali con un luogo di vita dissoluta, possa avvenire soltanto a causa dell’omofobia, sia essa eteronormativa oppure interiorizzata.
Il mondo creato dalle persone lesbiche e gay dopo l’allontanamento dalla casa del padre è piuttosto un luogo di ricerca di senso e di comprensione di ciò che ciascuno è di più ampio rispetto alla definizione che gli è stata attribuita nella casa paterna/materna. L’allontanamento è avvenuto forzatamente, ma alcuni ne hanno fatto un’opportunità per costruire una nuova casa paterna/materna dove poter vivere, con tutti i loro limiti, felici e in pace. Non sono case perfette, sono spazi di vita, e per questo sono soggetti a imperfezione, ma almeno sono in grado di offrire ciò di cui la casa paterna non è stata capace: un luogo dove sentire di essere vivi. Un luogo dove poter respirare, dove potersi perdonare, dove avere il coraggio di essere se stessi e se stesse.
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Parte 3. “Allora si alzò e andò a cercare suo padre… Il figlio gli disse: -Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, e non sono più degno di essere chiamato tuo figlio [3]”.
Certamente, come il figlio prodigo alcuni omosessuali desiderano tornare a casa del loro padre. Probabilmente dopo la loro lotta per il matrimonio ugualitario, per avere figli e figlie, o per costruire nuove comunità inclusive, in alcuni omosessuali rimane una inconsapevole richiesta di perdono all’eteronormatività. E’ possibile che in alcuni casi siano appropriate le critiche di chi pensa che lesbiche e gays si siano arresi al potere del patriarcato e che non offrano più una proposta alternativa credibile.
Forse è vero che talvolta si sente il bisogno di essere un gay o una lesbica esemplare nella famiglia, nel lavoro o nella Chiesa quasi per farsi perdonare di non essere all’altezza delle aspettative. A volte ci sono persone che esponendo ogni tanto bandiere arcobaleno nelle loro chiese, dicendo che Gesù ci ama tutti e tutte, o formando una famiglia rispettabile, credono di aver costruito una nuova casa paterna/materna, benché la realtà sia che non hanno avuto il coraggio di uscire da quella in cui vivono oppressi.
Pur ritenendo importante riflettere su tutto questo, sono convinto che la maggior parte degli omosessuali non sia caduta in questo errore e che non sia tornata, nè abbia intenzione di farlo, alla casa del padre, ma che piuttosto ne abbiano costruito una loro. Sicuramente anche molte coppie eterosessuali cercano di lasciare dietro di sè questo carico che è il patriarcato, ma senza dubbio sono in evidente svantaggio con le coppie formate da persone dello stesso sesso: i ruoli e le aspettative sono molto diversi. Una coppia di persone dello stesso sesso non ripete il modello patriarcale, è praticamente impossibile. Chi diceva che non potevano essere chiamati coniugi due persone dello stesso sesso, aveva ragione, poiché difendeva una visione del matrimonio basata su una suddivisione tradizionale dei ruoli e sulla diseguaglianza dei due elementi che formano la coppia. Ma dimenticava che allora si sarebbero dovute chiamare in un altro modo tutte quelle coppie eterosessuali che, con sforzo ancora maggiore, cercavano di sfuggire al modello patriarcale nel quale erano stati educati.
Le famiglie formate da lesbiche e gays, con o senza figli, non sono una richiesta di perdono al padre, ma piuttosto una nuova casa paterna/materna dove è cambiata l’essenza stessa che le dà senso. Dalla legge del sangue, che dava coesione alla famiglia patriarcale, si è passati alla legge dell’amore, che realizza e dà senso alle famiglie di lesbiche e gays. E dalla suddivisione tradizionale di quello che ogni membro della famiglia deve fare e che ci si aspetta da lui, si è passati al valore della diversità e al rispetto della differenza. Sono fortunati i bimbi e le bimbe che vengono educati in queste nuove case, dato che evidentemente saranni più liberi dal potere patriarcale. Sono fortunati di vivere lontani dagli ultimi rimodellamenti della casa patriarcale, perché questi rimodellamenti non cambiano la sostanza di ciò che in realtà è: un luogo di potere maschile eterosessuale.
Quanto alle nuove comunità inclusive che nascono dopo la fuga dalle comunità per eterosessuali, credo che sia ancora presto per sapere se sono soltanto un modo di chiedere perdono e tornare al potere del dio padre eterocentrico, o se al contrario sono spazi capaci di generare un nuovo luogo di libertà dove le persone omosessuali vivono la loro spiritualità in forma piena, partendo da ciò che essi sentono, vivono e sono. Credo sia difficile liberarsi di colpo del veleno ricevuto per tanto tempo, ma vedo chiari segnali che c’è il desiderio di costruire comunità realmente più evangeliche dove non solo si accettano persone lesbiche e gays, ma si comprende che i diversi modi di essere lesbica, gay, bisessuale o eterosessuale possono dare apporto alla comunità e possono aiutare a vedere il Vangelo sotto altre tonalità e accenti. Il Dio trasmesso da chi forma queste comunità deve ancora liberarsi dai tanti pregiudizi nei quali l’eteronormatività lo ha avviluppato; non è sufficiente annunciare che c’è un Dio che ci ama così come siamo. E’ necessario scoprire in che modo questo Dio si manifesta nel modo di amare, di essere e di sentire dei gays e delle lesbiche. Ed è importante anche aver il coraggio di guardare Dio direttamente da quello che siamo, e non attraverso quello che ci hanno detto che dovremmo essere. Solo così le nuove comunità inclusive potranno essere nuove case materne/paterne dove Dio si riveli in modo più completo.
Noi cristiani e cristiane omosessuali siamo chiamati a seguire il cammino di Gesù. Un cammino che lo portò dalla casa di Giuseppe, Maria, dei suoi fratelli e delle sue sorelle, a una nuova casa che costruì insieme ai suoi discepoli. Una nuova casa dove i valori patriarcali furono sostituiti dai valori del Regno e dove l’amore è la misura di tutte le cose.
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[1] Lc 15, 11-13
[2] Lc 15, 13-18.
[3] Lc 15, 20a-21
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