venerdì 14 novembre 2014

UNIONI CIVILI





Intervista a Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, di Giacomo Galeazzi pubblicata su “La Stampa” del 14 ottobre 2014

«I gay non sono malati da curare. Il Sinodo supera i pregiudizi ecclesiastici che riducevano l’omosessualità a perversione e pericolo pubblico. Al centro deve esserci sempre la persona».
Secondo il vescovo canonista di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, ex sottosegretario Cei, ora commissario per le migrazioni, il legislatore civile non può far finta che non esistano le unioni gay e le coppie di fatto.
E «non hanno alcun fondamento» le proteste dell’episcopato per le proposte di riconoscimento delle coppie gay: «Uno Stato laico non può fare scelte di tipo confessionale e la Chiesa non può interferire nella sfera delle leggi civili».


I gay sono una risorsa per la Chiesa?

«E’ indispensabile promuovere la cultura dell’umanesimo integrale. Gli omosessuali non sono né pervertiti che vanno guariti né individui da confinare ai margini della società e della Chiesa. La sensibilità pastorale deve esprimersi con l’accoglienza e la valorizzazione di ogni contributo.
Le unioni civili riguardano i diritti di persone che nella relazione di coppia e sociale chiedono garanzie per il loro vivere quotidiano. Se ciò non comporta omologazione, non vedo ostacoli alle unioni civili. Ed è stato intendimento di Francesco rifletterci al Sinodo sulla famiglia. La gran parte dei padri sinodali si riconoscono nella sensibilità del Papa verso tutti».


Condivide il no del ministro Alfano alle coppie omosessuali?

«Gli attuali modelli giuridici non riescono a imbrigliare la realtà. C’è una distanza tra l’essere che è la vita e il dover essere rappresentato dalle norme. Le leggi sono cristallizzate, fotografano condizioni generali che negli ultimi anni sono profondamente mutate. La politica deve pensare e regolamentare il nuovo nei termini del rispetto dell’altro».


Serve una legge sulle unioni di fatto?

«Si può trovare un’intesa riconoscendo la centralità della persona. Lo Stato deve rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. E la Chiesa deve accoglierle e accompagnarle pastoralmente senza emarginarle con l’etichetta di persone che vivono nel peccato.
Non può esserci alcuna giustificazione per nessuno alla chiusura del cuore. Nel piano di Dio tutto è grazia e, di conseguenza, dobbiamo guardare avanti e in alto. Liberiamoci da forme di pigrizia spirituale che ci rendono inerti».


Paolo VI beato è un segno al Sinodo?

«La lezione di Montini è ancora utile. Aprendo la seconda sessione assegnò al Concilio l’obiettivo di una più meditata definizione di Chiesa per il suo rinnovamento, lanciando un ponte verso il mondo contemporaneo.
Le sue parole sono un mandato anche per i padri sinodali nella discussione sulla famiglia. La chiesa guarda al mondo di oggi con profonda comprensione e con lo schietto proposito non di conquistarlo ma di valorizzarlo, non di condannarlo ma di confortarlo e di salvarlo».


È il completamento del Concilio?

«Sì. Le porte non sono chiuse per nessuno. Domenica Francesco ha ribadito che il Vangelo, respinto da qualcuno, trova un’accoglienza inaspettata in tanti altri cuori. Dio non discrimina nessuno e allarga il banchetto della salvezza oltre ogni limite. Nessuno può dire a un gay che è fuori dalle nostre comunità. O che la sua unione lo esclude dalla Chiesa».

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