venerdì 22 febbraio 2013

LETTERA DI UN CATTOLICO GAY AL PAPA CHE VERRA'

Debbo confessarti che, quando mi hanno chiesto di scriverti questa lettera, sono andato un po’ in confusione. Io non ho mai scritto a un papa e non so nemmeno se posso dargli del tu, poi ho pensato che, quando prego, non ho problemi a dare del tu a Gesù stesso e che quindi, non debbo aver problemi a dare del tu anche al suo vicario.
Una volta risolti questi problemi formali è poi arrivato il momento di decidere cosa scriverti. E qui sono cominciati i guai! Io, infatti, non sono un esperto di teologia o un professionista della pastorale. Tanto meno sono uno di quei personaggi importanti che, in questo periodo, si interrogano sulle scelte che caratterizzeranno il tuo pontificato. 
A guardar bene io sono uno di quei tanti cattolici che, quando la sera fanno l’esame di coscienza, si accorgono di aver dimenticato troppo spesso che il sorriso di Dio li ha accompagnati per tutta la giornata,senza abbandonarli mai. 
So che mi hanno chiesto di scriverti questa lettera perché, oltre a essere uno dei tanti cattolici ‘normali’ che ci sono al mondo, sono anche un omosessuale che ha scelto di non nascondere la propria omosessualità e di cercare di viverla all’interno della chiesa, incurante degli sguardi di disapprovazione con cui molti cristiani ‘per bene’ e molto omosessuali impegnati seguono questo sforzo.
E così ho deciso di parlarti delle difficoltà che troppo spesso gli omosessuali credenti come me incontrano in quel cammino di avvicinamento alla perfezione cristiana che la Chiesa propone a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà.
Devi pensare che queste difficoltà sono davvero tante. Te lo posso dire con tranquillità anche perché le ho sperimentate sulla mia pelle: rinunciando alle mie aspirazioni di carriera universitaria per pagare chi mi proponeva allettanti terapie riparative dell’orientamento sessuale che ho scoperto poi non aver nessun fondamento scientifico; invocando improbabili guarigioni straordinarie che, molto probabilmente, non rientravano in alcun modo nel piano di Dio; nascondendo e rimuovendo la mia omosessualità nella convinzione sbagliata che, di certi problemi, è sempre meglio non parlare. 
Non posso nascondertelo: ho attraversato tempi davvero duri, in cui non capivo che la prima cosa che dobbiamo fare, per intraprendere un serio cammino di conversione, è quella di riconciliarci con la nostra biografia, ringraziando il Signore per quello che siamo, perché è nella concretezza della nostra esperienza che possiamo sperimentare la sua compagnia, la sua amicizia e il suo amore. 
Ecco perché mi piacerebbe, un giorno, poter raccontare anche a te tutto quello che, in questi anni, ho confidato a Lui nei tantissimi momenti di intimità che la sua presenza nell’Eucarestia mi ha dato la possibilità di vivere.
Per farti capire quello che molto raramente un eterosessuale coglie quando raccoglie le confidenze di una persona omosessuale, per raccontarti le storie dei tanti compagni di strada che ho incontrato in questi ultimi anni: persone che non ce l’hanno fatta a sopportare un clima in cui la chiesa viene vissuta come matrigna e che, alla fine, hanno deciso di lasciarla. Per confessarti le mie debolezze e le mie contraddizioni e per chiedere a te una parola di speranza.
Perché è proprio di una parola di speranza che noi omosessuali abbiamo bisogno, una parola che ci ricordi che Cristo è morto anche per noi, una parola che ci dica che la Chiesa non ci considera dei nemici o dei provocatori, ma dei figli a cui correre incontro nel momento in cui tornano a casa, degli amici da accogliere, da aiutare e da consigliare, nel delicato percorso di scoperta della loro vita affettiva.
È quello che Gesù ha fatto quando ha incontrato la samaritana: sapendo che la diffidenza della donna le avrebbe impedito di avvicinarlo non esita ad attaccare discorso e, pian piano, la aiuta a riconoscere e ad ammettere la verità («Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero»), quella stessa verità che molto spesso le persone omosessuali nascondono con terrore. E alla fine si rivela a lei, trasformandola in una vera e propria testimone della sua capacità di arrivare al cuore degli uomini. 
Ecco, caro papa, mi piacerebbe tanto che anche tu riuscissi, come ha fatto Gesù presso il pozzo di Giacobbe, ad aiutare i tanti omosessuali, che la paura ha bloccato nell’ipocrisia, a iniziare finalmente quel cammino che porta alla scoperta dell’amore grande con cui Gesù ci ama, un amore di cui ti auguro di cuore di essere un testimone fedele.
Sappi che pregherò tanto per te. 

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