mercoledì 19 marzo 2014

IL KIMONO DELL'IMPERATORE




Il sole stava scendendo dietro le colline della valle in cui era stato allestito l’accampamento. La grande muraglia cinese rifletteva la luce rosata del sole, accendendo le antiche pietre di un riverbero dorato, conferendo a quelle mura l’immagine di un dragone disteso, che si snodava sinuoso come se fosse addormentato. Fuori dalla sua tenda, l’imperatore Ai Han finì la sua cena posando il tovagliolo sulla tavola. Un servo si accostò e, dopo aver fatto l’inchino di rito, attese la conferma di poter raccogliere le stoviglie utilizzate dal suo padrone. Il grande condottiero accennò benevolmente col capo prima di alzarsi da mensa e il valletto raccolse i suppellettili e i resti della cena regale. Quando l’imperatore si alzò, immediatamente anche l’altra persona a tavola scattò in piedi: era il generale Dongxian che chinò il capo deferente verso il suo signore.

Il generale era un uomo imponente, molto più alto della media degli uomini cinesi. Il popolo era affascinato dalla sua figura marziale, tanto che i pettegolezzi raccontavano che fosse discendente di un grande condottiero tartaro, si diceva addirittura che fosse un figlio illegittimo del grande Gengis Khan. Dongxian non aveva mai confermato queste dicerie, ma si era anche assicurato che nessuno le potesse negare: gli uomini delle sue truppe lo avrebbero rispettato maggiormente sapendolo di stirpe regale. In verità il generale era figlio di contadini e la figura massiccia era dovuta alla sua infanzia e adolescenza trascorse lavorando nei campi fin da piccolo. Il duro mestiere di contadino aveva fortificato i suoi muscoli e rinforzato le sue membra. Le donne cadevano letteralmente ai suoi piedi, un famoso proverbio cinese diceva che “più un uomo è massiccio, più ha potere sul dragone che riposa nei suoi pantaloni”. Dongxian però era più fedele ad un altro detto che recitava: “La luna e la donna hanno molte facce da mostrare”. Conosceva talmente le donne da non accettarne nemmeno una. E comunque non era interessato a loro. Aveva sposato la sua patria e la difesa dell’Impero; aveva sposato il suo celeste imperatore.

Era un adolescente di sedici anni quando, lavorando nei campi con i genitori, sentì le urla sulla strada, della gente che annunciava l’arrivo del grande Ai Han nel loro villaggio. Il ragazzo abbandonò immediatamente la zappa e, come si conveniva, chiese il permesso al padre di andare a vedere le schiere imperiali. Il padre sorridendo glielo concesse, conosceva bene la passione di suo figlio per le armi e per la guerra. Correndo a perdifiato, il giovane raggiunse la strada dove già stavano sfilando le truppe militari. Un lunga fila di uomini fieri e armati di tutto punto: prima i soldati a piedi con le lance e gli archi, poi i cavalieri sui loro robusti cavalli da battaglia e finalmente la guardia imperiale coi vessilli reali. Al centro del drappello c’era il grande celeste imperatore con la sua armatura scintillante. Quando arrivarono nella piazza del paese l’araldo annunciò al popolo che ogni uomo del villaggio, che fosse sano e avesse un’età tra i quindici anni e i cinquanta anni,  era obbligato ad aggiungersi alle truppe per la difesa dei confini del grande Impero, che era minacciato dal nemico. Contro la volontà dei genitori Dongxian fu ben felice di arruolarsi e, se anche all’inizio fu difficile e veramente pesante, ben presto si fece notare dai suoi superiori, per l’agilità dei movimenti e per la sua prestanza fisica. Più di vent’anni erano passati da quel giorno dell’arruolamento forzato, grazie alla sua tenacia nell’apprendimento il ragazzo di campagna si era trasformato in un valente soldato e la sua caparbietà gli aveva garantito una brillante carriera militare, supportata anche dal rapporto che aveva legato il generale al suo amato imperatore.

Ai Han osservò il maestoso panorama della muraglia e attese che l’inserviente se ne andasse con le ultime cose raccolte dalla tavola, poi si voltò verso il suo generale e spalancò le braccia. Dongxian raccolse immediatamente l’invito e si tuffò letteralmente nell’abbraccio del suo imperatore, mentre le loro labbra si unirono in un bacio appassionato. Pur essendo un uomo robusto, la statura del generale soverchiava il monarca cinese di una buona spanna quindi, quando le loro labbra si staccarono, il sovrano appoggiò la testa sulla corazza di combattimento di Dongxian.

“Sono così stanco, Lúwěi-dà-de” gli mormorò chiamandolo con il vezzeggiativo con cui era solito chiamarlo e che significa ‘grande giunco’.

“Andiamo a dormire, Xiǎo-dà-de” gli rispose il generale con il soprannome di ‘piccolo giunco’.

I due uomini entrarono nella tenda e si svestirono delle uniformi, Dongxian si prese cura del suo sovrano con la solita gentilezza che lo contraddistingueva. Era incredibile come quelle grandi mani sapessero essere dolcissime quando toccavano il corpo del suo amato. Quando si furono spogliati, Donxian depose dei piccoli baci sulle spalle di Ai Han, il quale gemette sotto il sensuale assalto della bocca del suo uomo: “Mi accendi sempre di desiderio, Lúwěi-dà-de”.

Il generale gli sorrise di rimando, poi prese la bellissima vestaglia del monarca e gliela infilò sulle spalle: “E’ stata una giornata pesante Xiǎo-dà-de. Stenditi e riposa, io mi sdraierò al tuo fianco”.

Il bellissimo kimono dell’imperatore era molto ampio e di grande pregio: sul fondo di seta blu che cangiava al verde catturando la luce, erano ricamati disegni di pavoni dai riflessi dorati. Era stato intessuto appositamente per lui dai più grandi setaioli dell’impero cinese, i fili del ricamo erano d’oro puro. Grazie alla duttilità e malleabilità del prezioso metallo, i maestri cinesi avevano ridotto l’oro ad un unico lungo filo. Il sovrano si distese sul letto, il corpo languidamente scoperto sulla vestaglia aperta. L’ampio petto si sollevava al suo respiro. Dongxian, dopo aver accarezzato con gli occhi il corpo del suo sovrano, si distese accanto a lui e, dopo averlo nuovamente baciato dolcemente sulle labbra, gli augurò la buona notte. Ai Han sospirò e abbracciò il grande uomo al suo fianco, poi chiuse gli occhi. Poco dopo, Ai Han sentì il respiro del generale che si faceva via via sempre più regolare, segno che si era addormentato. Nell’accampamento c’erano ancora i rumori dei soldati che schiamazzavano in lontananza. Il riverbero dei fuochi da campo illuminava la notte e si rifletteva sulla tenda del celeste imperatore, formando intrichi di ombre con la vegetazione circostante. Ai Han osservava la danza delle ombre delle foglie all’esterno sul telo della tenda, mentre ripensava al giorno in cui aveva incontrato per la prima volta Dongxian.

Gli avevano parlato di questo giovane valente ufficiale che si era fatto benvolere dai propri commilitoni, e che sembrava essere una macchina da guerra, grazie alla robustezza dei suoi muscoli e l’agilità in battaglia. L’imperatore convocò Dongxian e rimase favorevolmente impressionato dal suo guerriero. Il buon carattere e la fine intelligenza da contadino avevano sempre più confermato il valore dell’uomo, così il sovrano cominciò a frequentarlo sempre di più, anche senza motivi particolarmente legati alle sue mansioni. La fiducia si era presto trasformata in amicizia e da qui all’affetto fraterno il passo era stato breve. Un giorno d’estate, l’esercito era fermo lungo un fiume particolarmente pittoresco ed il re era sceso alle sponde, dove il torrente si allargava in una pozza d’acqua, per farsi un bagno rinfrescante. Si era spogliato dell’armatura e degli indumenti e si era presto tuffato nelle acque cristalline. Dopo pochi minuti era stato raggiunto da Dongxian che senza battere ciglio si era tuffato a sua volta, dopo essersi denudato completamente ed aver esposto il suo corpo muscoloso senza pudore. Fin da piccolo, quando era un contadinello, l’unica maniera per pulirsi era quella di utilizzare i beni della natura che circondavano il villaggio. Era abituato a giocare con gli altri ragazzi nelle acque di un fiume, anche con uomini più grandi di lui. Non esisteva pudore tra la povera gente. Dongxian e Ai Han cominciarono a spruzzarsi l’acqua l’uno addosso all’altro, ridendo e scherzando come se appartenessero allo stesso rango, l’affetto fraterno che c’era tra di loro aveva pareggiato la differenza dl grado tra nobiltà e sudditanza. L’imperatore si era presto eccitato alla vista dei muscoli guizzanti del suo soldato ed in un impeto di sensualità si era avvicinato a Dongxian deponendo un casto bacio sulle sue labbra. Con sua somma sorpresa l’altro non era fuggito ma, anzi, prendendo l’iniziativa e rischiando una severa punizione, si era avvicinato per ricambiare il bacio, e un altro, e un altro ancora. I casti baci si erano trasformati in baci più profondi mentre le mani di entrambi accarezzavano febbrilmente l’uno la pelle dell’altro. Da quel momento in poi ogni limite si era sciolto e i due uomini dalla profonda amicizia erano passati direttamente al passo successivo: l’amore.

Il generale si mosse nel sonno, destando Ai Han dai suoi ricordi di quel lontano pomeriggio estivo. Non riusciva a prender sonno. Forse una passeggiata all’aria fresca della notte l’avrebbe facilitato a calmarsi. Fece per alzarsi ma si accorse che una manica del kimono era riversa sotto il corpo del suo compagno. Se l’avesse tirata, avrebbe certamente svegliato Dongxian. Era così bello mentre dormiva sereno al suo fianco. Le ciglia lunghissime si muovevano a piccoli scatti, il generale stava sognando. Doveva essere un bel sogno visto che le labbra erano sorridenti. Il sovrano decise che non si sarebbe mosso dal letto per timore di svegliare il suo dolce amore addormentato. Aspettò qualche minuto ma il sonno non veniva. Come succede agli uomini nel deserto che non hanno acqua e, proprio per questo, ne sentono sempre più il bisogno, l’Imperatore anelava al tocco dell’aria fresca della sera. Non poteva stare un attimo più disteso, gli mancava l’aria, aveva bisogno di uscire. Combattuto tra la voglia di alzarsi e il desiderio di non svegliare il suo amato, allungò la mano verso il tavolino dove era posata la sua scimitarra, infilò la sua lama affilata tra il materasso e la preziosa stoffa del kimono, poi con una leggera pressione tagliò la seta trattenuta, rovinando per sempre la bellissima vestaglia. Dongxian non si accorse di nulla e continuò a dormire. Ai Han si alzò dal letto senza far rumore e uscì all’aria aperta della notte. Le guardie al di fuori della tenda si misero immediatamente sull’attenti. Il sovrano inalò la fresca brezza della valle poi prese un lembo dalle manica tagliata e sorrise. Il sonno del suo dolce Dongxian valeva molto di più che la manica di un kimono di seta intessuto d’oro zecchino.

Non poteva certo sapere che da quel momento in Cina, quando ci si riferiva ad un rapporto affettivo tra due uomini, venne coniato il termine Duànxiù. Questa parola letteralmente significa “La passione della manica tagliata”.

5 commenti:

  1. Mi è piaciuto tanto..peccato così breve :)

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  2. Grazie.
    Sono tutti brevi i miei racconti, perchè sono pensati per un blog. Se riuscissi a pubblicarli magari li allungherò un poco.

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  3. Adesso leggo pian piano anche gli altri..sarei felicissima per te se ci riuscissi(a pubblicarli)..incrocio le dita

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  4. I tuoi racconti meritano di essere letti anche da coloro che non conoscono il tuo blog, se sogni di pubblicarli spero che tu possa un giorno realizzare questo desiderio!

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