Era una decisione che aveva preso e che doveva assolutamente portare a termine. Andrea osservò il grande cancello aperto, mezzo arrugginito che lo aspettava, sospirò profondamente domandandosi se avesse, o meno, dovuto attraversarlo. Decise che se voleva sistemare per sempre quella situazione, doveva affrontare la questione, era inutile posticipare ancora. Quindi si fece forza e, un passo dopo l’altro, salì i gradini che portavano al cimitero.
Il piccolo camposanto del paese era deserto. Il caldo insopportabile aveva costretto la gente a stare in casa o a cercare un po’ di fresco sulle sponde del lago. Anche le vecchie vedove del paese non si erano recate lì, come facevano quasi ogni giorno, per chiacchierare tra di loro sulle tombe dei loro mariti e dei loro parenti.
I passi di Andrea fecero scricchiolare la ghiaia del vialetto nel silenzio del pomeriggio estivo. Dopo qualche passo raggiunse la sua destinazione. La tomba era di marmo scuro, in testata si ergeva una semplice croce dello stesso materiale. Una lapide semplicissima, quasi monastica. Inciso c’era solo un nome: Gilberto. Nessuna foto, nessuna data che segnava l’alfa e l’omega del cammino umano della persona che riposava ora in pace sotto di essa.
Aveva portato un lumino e un mazzo di fiori colorati, la fiorista gli aveva detto di inserirli nel vaso senza mettere l’acqua, si sarebbero seccati al sole senza perdere il colore e sarebbero durati a lungo: statice, li aveva chiamati, proprio perché l’infiorescenza sarebbe rimasta intatta anche sotto la calura estiva, gli aveva spiegato, mantenendo anche i colori brillanti. Dopo aver buttato i rimasugli dei fiori precedenti, li infilò nel vaso, prese l’accendino, lo accese e lo posò nell’apposita lanterna di rame.
“Ciao Gilberto” sussurrò al vuoto intorno a sé. Cosa doveva dire? La sua mente era completamente spoglia, svuotata del lungo discorso che si era preparato. Sospirò piano e mandò giù il nodo che aveva in gola.
“Scusami se vengo solamente ora, ma non ho mai avuto il coraggio di affrontarti da solo, prima”.
Guardò gli alti cipressi alle spalle della lapide cercando un aiuto. “Be’… ho lasciato Michele alla macchina, tra un po’ mi raggiungerà così potrà salutarti anche lui. Volevo dirti che oggi era triste. Ogni volta che si avvicina il nostro anniversario, diventa silenzioso ed io ho sempre paura che ci sia qualcosa che non va nel nostro rapporto. Così dopo dieci anni mi ha detto la verità. Oggi, finalmente, dopo tanto tempo, mi ha raccontato quello che è successo”.
Un piccione spiccò il volo tubando un richiamo. Andrea si sedette incrociando le gambe davanti alla lapide silenziosa. “All’inizio non voleva dirmelo” riprese “Sai com’è fatto, quando si chiude a riccio si fa fatica a strappargli le parole di bocca” sorrise, agitando la mano in un gesto di constatazione.
“Poi pian pianino c’è riuscito. Aveva le lacrime agli occhi e alla fine mi son messo a piangere anch’io. Non so se più per la commozione o per il sollievo. Comunque sono qui ora. Oggi ho finalmente trovato il coraggio di venire a parlarti”.
Fece una pausa, chiedendosi come stava andando, poi si scusò esitante: “Non so come funziona lì, dove sei ora, ma penso che questa storia del Tu, del Lei, del Voi non sia importante. Quindi spero che non ti offenda se ti do del tu, anche se non ci siamo mai conosciuti”.
Abbassò gli occhi sulle sue mani intrecciate sulle gambe: “Mi ha raccontato della litigata che aveva fatto con te quando ti ha detto di me, di noi. Mi ha detto che sei stato brusco con lui, quando hai scoperto che era omosessuale. Ogni padre lo sarebbe nei confronti di un figlio o di una figlia. Io ti capisco. So che non ce l’avevi con me” ammise chiudendosi nelle spalle.
“Vedi, Gilberto, io non frequento più la Chiesa perché ci considera peccatori a noi omosessuali e non possiamo più andare a Messa, o meglio, ci possiamo andare, ma non possiamo fare la comunione” precisò, “Però prego, e leggo il Vangelo, e conosco le parabole che raccontava Gesù per spiegare le cose alla gente come me, come tutti noi. Per esprimere concetti altamente spirituali, lui aveva capito che poteva renderli semplici raccontando delle storie. E la gente lo ascoltava e lo comprendeva. Devo dire che da oggi leggerò la parabola del Figliol Prodigo con occhi nuovi”.
Andrea sentì che il nodo alla gola cominciava a farsi sentire nuovamente, quindi inspirò a grandi polmoni e ricacciò le lacrime a forza. “Michele mi ha detto che, dopo il vostro litigio, lui non voleva più guardarti, né parlarti. Invece, anche se tu eri arrabbiato e non comprendevi le sue scelte, tu lo hai riavvicinato e hai parlato con lui, cercando di capirlo e di accettarlo per come era”.
Non era corretto, pensò. “Per come è”.
“Quando poi si è sentito accettato e accolto dal suo papà, lui ti ha parlato di me, ti ha detto quanto mi amava, che ero una persona splendida e che voleva vivere con me per sempre al suo fianco”. Andrea smise di combattere le lacrime che ormai gli scivolavano sulle gote: “Non sono così splendido” disse sbuffando con ironia, “ma lo amo veramente e voglio anch’io stare insieme a lui per il resto dei miei giorni. Comunque tu gli hai detto una cosa splendida e lui ha compreso che tu lo amavi ugualmente” la sua voce morì tra i singhiozzi.
Doveva ancora finire il suo discorso, quindi si fece forza e riprese: “Tu, come il Padre buono della parabola, lo hai accolto nuovamente e gli hai detto che se io lo rendevo felice, come sembrava, allora andava bene così. Gli hai detto che nei suoi occhi avevi visto la felicità e questo era l’importante. Che sarebbe stata dura ma che tu eri al suo fianco e non avrebbe permesso a nessuno… nessuno… di togliergli quella luce dagli occhi”.
Fece una pausa, ascoltando il canto degli uccellini sui cipressi del cimitero. Il respiro riprese con regolarità e sentiva di aver fatto la cosa giusta a parlare con il papà del suo compagno quel giorno. “Gilberto, io lo amo veramente e so che anche lui mi ama. Io spesso non riesco a comprendere quanto io sia stato fortunato ad averlo incontrato perché, vedi, i miei genitori invece non mi hanno accettato”. Sospirò con rassegnazione: “Passerà… forse un giorno lo capiranno”.
Il suo tono si fece deciso: ”Io non ti ho mai conosciuto, Gilberto, perché qualche giorno dopo che vi siete riconciliati, un infarto ti ha portato via da lui, dalla tua famiglia. Ecco perché Michele si rattrista quando arriva quel periodo dell’anno, me lo ha confessato oggi. Ma io ti faccio una promessa in questo momento. Io avrò cura di Michele. Perché lui ha cambiato la mia vita. Prima di incontrare lui mi sentivo perso, ora invece sono finalmente felice. Quindi non ti preoccupare di tuo figlio, camminerò con lui per tutti nostri giorni insieme”.
Rimase un poco in silenzio, recitando una preghiera, poi sentì i passi di Michele che risalivano il vialetto del cimitero. Una mano gli si posò sulla spalla, Andrea chinò il capo su di essa cercandone il contatto.
“Ciao Papà” disse l’altro salutando la lapide di Gilberto, poi si rivolse al suo compagno: “Tutto bene, amore mio?”
“Sì, certo. Ho fatto una lunga chiacchierata con tuo papà. Penso di avergli chiesto ufficialmente la tua mano” disse sorridendo e rialzandosi in piedi.
Michele allungò il suo braccio e gli cinse la vita: “Dopo dieci anni? Ormai siamo fidanzati per sempre”.
Andrea si voltò e gli prese il volto tra le mani. Gli sfiorò le labbra con un bacio e disse: “Ma da adesso siamo ufficialmente sposati davanti a tuo padre”.
Nessun commento:
Posta un commento