mercoledì 20 marzo 2013

ANIMALI ABITUDINARI

Sentii suonare il campanello all'interno del suo appartamento. La mia mano tremava e con un gesto di stizza me la rimisi nella tasca del giubbotto.

La porta si aprì e Ben era lì, che sorrideva. Lui sorrideva sempre. Non avevo mai preso in considerazione se potesse essere “a” me piuttosto che “con” me, perché non era così, per lo meno non con chiunque. Speravo che se qualcuno fosse a conoscenza della differenza, be’, quello sarei stato io.

"Ehi" mi salutò lentamente, continuando a sorridere, "Sei un po' diverso del solito. Non avevano la pizza ai peperoni stasera?"

Forzai un sorriso: "Non sarebbe sabato senza la pizza". Alzai la scatola: "Anche se ho dovuto risolvere da solo".

"L’hai fatta tu?" disse con una smorfia.

"Sì". Stavo ancora sorridendo, anche se le mie guance dolevano per lo sforzo: "Possiamo passare una notte senza intossicazione alimentare".

Si mise a ridere, ma non così forte come prima. Il suo sguardo mi seguì mentre andavo in cucina, strinse le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa ma aveva deciso di non farlo. Questa era la nostra routine del sabato sera. Come al solito, ci facevamo una birra in cucina e ci mangiavamo la pizza mentre decidevamo dove andare per la serata. Avevamo fatto così per la maggior parte dei sabati per un lungo, lunghissimo tempo. Animali abitudinari, suppongo che ci chiamino.

Ben raggiunse il frigo e prese le birre, le posò sul bancone della colazione e si sedette sullo sgabello di fronte a me. "Allora, cosa c'è?"

"Niente".

"Scemo" disse, abbastanza gentilmente "Ti conosco da anni, Jason. Non sei lunatico. Non ti fai remore. Hai una mente chiara e onesta e parli quando è necessario".

"Non è che devo parlare per forza di qualsiasi cosa” risposi in modo un po’ spento. Mi diedi un calcio da solo mentalmente, non era così che volevo che andasse la serata. "Faremo tardi per il film se non ci muoviamo. Oppure potremmo guardare la partita, la trasmettono via cavo giù al bar..."

"Non me ne frega un cazzo della partita o del film". Era l'unico che riusciva a catturare la mia attenzione in quel modo. "Se qualcosa ti turba o ti infastidisce, di solito me ne parli. Quindi fallo anche stasera". Era un bravo ragazzo: sia percettivo che compassionevole, tutti i suoi amici lo dicevano. Ero così grato di far parte di questa ristretta cerchia di amici, che ogni tanto mi sentivo in imbarazzo da solo.

"Jason, sei così da un po' di tempo. È per il lavoro? Pensavo andasse bene quel nuovo contratto. Lavorare all'estero è una grande opportunità e, Dio mi è testimone, ti sei guadagnato quella promozione..."

"Un anno" ho ribattuto in fretta. Osservai la bottiglia di birra guardando una goccia di condensa che incideva la sua strada scendendo sul vetro verde.

"Mhhh?" Aggrottò un po' la fronte, ma ero sicuro che sapesse quello che intendevo. Come al solito.

"Starò via un anno".

Sospirò debolmente "Certo. Sei preoccupato per questo? Mi prenderò cura io del tuo appartamento, te l’ho già detto. Gli inquilini temporanei, le bollette… accidenti posso anche annaffiarti le piante di tanto in tanto, se vuoi".

Lo guardai di nuovo, questa volta lo sorpresi che mi guardava fisso. Il divertimento disegnava le pieghe della sua bocca, ma i suoi occhi erano stranamente vuoti. Cercai di ricordare se mi avesse mai guardato a quel modo altre volte. "Non posso esser calmo su questo, Ben. Non riesco a vedere le cose molto chiaramente come fai tu. Io non sono te".

Si accigliò di nuovo: "Non voglio che tu lo sia. Merda, questa è l'ultima cosa…"

"No!" Picchiai il pugno sul bancone e la bottiglia sobbalzò tintinnando. Maledizione. "Sai, a volte mi chiedo perché ci vediamo ancora, e così regolarmente. Io non sono per niente come te. Sono sicuro che avresti bisogno di un tipo diverso di routine; una specie di compagnia vivace. Questo mio distacco all'estero è una pausa giusta, credo". Rimase in silenzio, fu una mossa sbagliata perché mi incoraggiò ad andare avanti. "Solo perché ci conosciamo da anni non vuol dire che debba prenderlo per scontato. Siamo sempre stati onesti l’uno con l'altro". Ingoiai il nodo che avevo in gola. "Penso che sia giusto. Confesso che sono stato un egoista: ti ho trattenuto dal trovare altre – magari migliori – cose da fare nei tuoi sabato sera"

"Migliori?" La sua voce era molto tranquilla "In che senso?"

Voleva deliberatamente rendermelo più difficile?

"Le cose sono cambiate per me" risposi lentamente. E questa volta tenni il mio sguardo lontano dal suo viso: "Non ho accettato l'incarico ancora, perché non sono sicuro. Non credo di poter sopportare di star lontano così a lungo..." mi sfuggì dalla bocca e mi sentii immediatamente uno stupido.

"Solo un anno" mormorò.

"...Non sopporto di star lontano così a lungo da te!" Sbottai, per un momento la mia tristezza aveva eclissato ogni pensiero sensato che avrei dovuto avere.

Tutto quello che sentii in risposta fu un sussulto di respiro. Nessuno di noi si mosse. La pizza era sul bancone tra di noi, la scatola ancora chiusa. Ben odiava i peperoni freddi, lo sapevo.

"So quello che dirai" continuai. La mia voce suonava come se provenisse dallo spazio cosmico. "L'hai già detto quando te ne accennai la prima volta. Che si tratta di una possibilità di cambiare la mia routine, di trovare nuovi orizzonti, nuovi amici... forse anche nuove relazioni ". Fu la prima volta che parlavo di queste cose personali, lo avevo fatto altre volte ma per prendermi in giro. Credo abbia pensato che avessi una specie di crisi.

Forse l’ho avuta.

"Ma io non voglio nessun altro". Feci una pausa. Volevo sapere ciò che pensava? Oppure avevo paura di scoprirlo? Fissai i tovaglioli di carta piegati sul bancone e la piccola pozza alla base della bottiglia. Ovunque, ma non lui. "C’è stato un momento in cui ho creduto che tu pensassi la stessa cosa, ma non sono mai stato sicuro". E non avevo mai avuto il coraggio di sfidarlo su questo. Avevamo appena instaurato una routine familiare, con la sicurezza di una birra e una pizza il sabato sera. Anche se ciò che volevo davvero fare nel mio tempo libero era molto più eccitante, molto più terrificante. E con lui.

"Non voglio nuovi amici, nuove relazioni” sussurrai. "Voglio quello che ho con te. Proprio lo stesso e ancora di più. E lo voglio da sempre".

La sua mano si mosse sopra il bancone. Esitante. Raramente lo avevo visto titubante, il che era strano. Ma dopo questo disastro, ho pensato, tutto sarebbe stato strano, giusto?

"Non posso immaginare di stare senza di te" la mia voce era rauca "Quindi, vedi, le cose sono cambiate. Piuttosto imbarazzante per te, credo..."

"No." mi sorprese. C'era un tremito nella sua voce, come se la sua gola si fosse ristretta come la mia. "Non è affatto imbarazzante. Non ho alcun problema con tutto questo. Nessuno".

Credo di aver riso in quel momento, per rilasciare la tensione. Pensavo che stessimo ancora scherzando. O per lo meno che fosse lui a scherzare.

"Jason!" sembrò sgridarmi "Pensi che io sia contento che te ne vai? Io non volevo farti soffrire con i miei problemi. Voglio il meglio per te, lo sai".

Lo sapevo? "Non hai mai avuto problemi a dire quello che pensi". Credo che stessi cercando di prendermi gioco di me stesso.

La sua mano si chiuse sulla mia "Ma con te lo devo fare".

Ero confuso "Che amico sono io, allora?"

"Il più importante” m’interruppe. Il suo tono era ancora serio. Lo guardai negli occhi e questa volta l'emozione si trasmise anche alla parte più bassa del mio corpo. "Si, conti molto per me. Sei importante. Non voglio che tu te ne vada",

Lo fissai "Pensavo di essere un ostacolo".

"A cosa?" Alzò gli occhi al cielo "Che diavolo ho nella mia vita che vorrei fare senza di te?"

"Sei cambiato anche tu, allora?" chiesi. La cucina fredda si era improvvisamente surriscaldata intorno a noi: forse perché l’avevo riempita di tutte quelle sciocchezze.

"No." La sua risata fu più dolce di prima. "Mi sento allo stesso modo in cui mi sono sempre sentito. Lo so, avrei dovuto dire qualcosa prima, ma la prima volta che mi ha parlato del lavoro... sono rimasto scioccato e mi sono bloccato".

"Non voglio quel posto. Meglio che li chiami immediatamente”. Cercai disperatamente il mio cellulare. Avevo la testa vuota, avevo una deliziosa sensazione di gommapiuma nel cervello. Non riuscivo a smettere di sorridere in faccia a Ben. "Solo una rapida telefonata, posso lasciare un messaggio..."

"Non farlo", disse e non mi dispiacque la chiarezza del suo tono stavolta. "Abbiamo altri modi per trascorrere questa serata. Altre cose per stare tra noi. Tu ed io".

"Il film...?”

"Dimenticalo".

"La pizza si sarà rovinata..."

Alzò la mia mano e baciò lentamente la punta delle dita, come se volesse memorizzare ogni polpastrello.

Rimasi senza parole. Volevo diventare una creatura di questa abitudine, così tanto che mi faceva male. Così ho trovato la cura per il mio cuore ferito, con gli abbracci, con i baci e iniziando qualcosa di nuovo ed eccitante. E Ben lo ha fatto con me, sempre ridendo e con gli occhi brillanti di gioia.

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