Due grandi figure di donne coraggiose del 200 d.C. ci sono state tramandate da un libro scritto a tre mani: Acta Perpetuae et Felicitatis (Atti di Perpetua e Felicita) scritto all’incirca nel primo decennio dello stesso anno.
Siamo a Cartagine nel 203, esattamente il 7 marzo: a varcare la porta dell’arena dei leoni, sono cinque martiri terrorizzati. Tre uomini e due donne.
Tibia Perpetua di 22 anni, sposata e madre di un bambino chiusa nel carcere pochi giorni prima, aveva redatto il diario dei suoi ultimi giorni. E’ una donna colta e di stirpe nobile e quindi di profonda cultura. I primi dieci capitoli dell’opera di cui sopra, iniziano proprio con le pagine redatte da lei stessa, nelle quali descrive le carceri affollate, il tormento della calura, annota i nomi dei prigionieri e dei visitatori, racconta i sogni e le visioni di quegli ultimi giorni, prima del martirio.
I successivi capitoli sembra siano stati scritti da un altro prigioniero, un certo Saturo, e da uno scrittore più esperto che si è identificato in Tertulliano.
Nel suo racconto Perpetua narra di una visione avuta in quei giorni che le fa comprendere di essere prossima alla morte: sogna di percorrere una lunga scala dorata fino ad un prato verdeggiante dove pascola un gregge di pecore.
In un’altra visione vede se stessa lottare contro un etiope selvaggio e comprende di non intraprendere una lotta contro le bestie feroci ma contro il diavolo stesso.
Tra la folla incarcerata ci sono accanto a lei la giovane Felicita, figlia dei suoi servi e in gravidanza avanzata, e tre uomini: Saturnino, Revocato e Secondulo. Tutti e cinque sono stati condannati a morte perché si sono convertiti al cristianesimo e stanno terminando il periodo di formazione per diventare catecumeni.
Il racconto è ricco di dettagli atroci e di rapporti drammatici, i parenti dei cinque fanno pressione affinché abiurino la nuova fede ma Perpetua, Felicita, che nel frattempo dà alla luce una bambina, e gli altri tre uomini, rimangono saldi nella loro professione di Fede e il 7 marzo l’imperatore Settimio Severo li condanna a morte nell’arena delle bestie feroci, dove le belve attaccano e straziano i loro corpi che poi verranno decapitati. Perpetua vive l’ultima ora con straordinarie prove di amore e di tranquilla dignità. Vede Felicita crollare sotto i colpi, e dolcemente la solleva, la sostiene; zanne e corna lacerano la sua veste di matrona, e lei cerca di rimetterla a posto con tranquillo rispetto di sé. Gesti che colpiscono e sconvolgono anche la folla nemica, creando momenti di commozione pietosa. Ma poi il furore di massa prevale, fino al colpo di grazia.
Pur essendo entrambe madri, Santa Perpetua e Santa Felicita pare che avessero un relazione di vero amore reciproco. La prima era anche sposata ma il marito è completamente assente dalla sua vita e dalle pagine del suo diario, che invece è intriso di parole d’affetto e d’amore per la compagna di prigionia.
Per questo motivo il professor John Boswell di Yale le pone tra le principali coppie di amanti dello stesso sesso santificate, le altre sono Sergio e Bacco, e Nearco e Poliuto.
Il culto delle due sante divenne molto popolare, tanto che lo stesso sant’Agostino chiese ai fedeli che le pagine del libro sulle loro figure, non venissero considerate sacre come le Scritture bibliche. I nomi di Perpetua e Felicita vengono citati anche nelle litanie della Veglia Pasquale della Chiesa Cattolica.
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