Testimonianza Jacques* pubblicata sul sito cattolico Réflexion et Partage (Francia) il 2 settembre 2000, liberamente tradotta da una volontaria di Progetto Gionata.
«Non temere, perché io sono con te; non smarrirti perché io sono il tuo Dio… Io ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno: se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai … perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo » Isaia 41,10; 43,1-4. Queste parole della Bibbia mi hanno permesso di sopravvivere durante tutti i momenti di tempesta.
A 18 anni, mi sono accorto di essere omosessuale. È stato terribile perché, ai miei occhi, si trattava di « una cosa anormale» che volevo eliminare dalla mia vita. La situazione diventò così pesante da spingermi a voler farla finita. Questo tentato suicidio mi portò a decidere di « coprire » questo precipizio e a continuare il mio impegno nella vita religiosa. All’epoca non ne parlai con nessuno salvo, in maniera molto discreta, a un fratello che apprezzavo molto. Mi disse che Dio mi avrebbe aiutato a vivere questa situazione…
Ed è vero che fino a circa trent’anni, a furia di battermi, riuscii a vivere quasi in pace con me stesso attuando la «politica dello struzzo». Quello che avevo nascosto, poco alla volta, come una pressione interna, ritornò a galla per non lasciarmi più. Un periodo di 10 anni trascorse, portando con sé questa voglia di sparire, di impegnarmi costantemente in azione apostoliche accanto ai giovani e soprattutto vicino a quelli che si trovavano in difficoltà, gli emarginati: nell’ambiente scolastico, nelle prigioni sostenendo i giovani adulti o nel mondo esterno incontrando Bruno, malato di AIDS che ho accompagnato fino all’ultimo dei suoi giorni. E incontrando, inoltre, giovani omosessuali profondamente feriti dalla malattia che li divorava e dalla disperazione di non aver potuto rendere partecipi le loro famiglie di questa parte della loro vita.
Per le persone che vivevano intorno a me, ero il «ragazzo fantastico», sempre all’ascolto delle disperazioni altrui… ma chi ascoltava le mie? Chi mi offriva il suo aiuto? Nessuno. All’apparenza stavo bene, ma interiormente mi laceravo. Morivo poco a poco cercando di fuggire. Persino Dio lo credevo lontano da me, incapace di raggiungermi nella mia disperazione.
Un amico (un fratello) di sempre venne alla festa dei miei 40 anni e mi disse queste parole che cominciarono a crepare la «facciata» per permettere al vero me di «uscire fuori»: «Jacque, per il tuo compleanno ti offro un regalo, quello della libertà interiore! Nei tuoi occhi vedo la sofferenza malgrado tutto quello che fai. Questa sofferenza, ha un nome: omosessualità. È la tua differenza e la tua ricchezza! Accetta di guardarla altrimenti non potrai più vivere.»
Un amico (un fratello) di sempre venne alla festa dei miei 40 anni e mi disse queste parole che cominciarono a crepare la «facciata» per permettere al vero me di «uscire fuori»: «Jacque, per il tuo compleanno ti offro un regalo, quello della libertà interiore! Nei tuoi occhi vedo la sofferenza malgrado tutto quello che fai. Questa sofferenza, ha un nome: omosessualità. È la tua differenza e la tua ricchezza! Accetta di guardarla altrimenti non potrai più vivere.»
Fu una bomba. In pochi secondi, potei finalmente confidare a qualcuno questo fardello che tentava di prendere il sopravvento su di me da anni. Grazie a lui e a un amico psichiatra cristiano, accettai di vedere la realtà in volto e a lasciarmi guardare diversamente. Poco alla volta, accettai quello che ero e il fatto che questa realtà non cambiava niente di quello che potevo vivere in mezzo alla gente.
Dopo un anno in cui potei «rimettere tutto in questione» e attuare un rinnovamento, presi la decisione di ritirarmi dalla vita religiosa per vivere in pace con me stesso. Per me, era la migliore strada sulla quale continuare a vivere come uomo e figlio di Dio. Ritrovai la pace e la sicurezza in me stesso, in Dio e nei miei fratelli, gli uomini.
Entrai in un’associazione « Contact » che permette alle famiglie di esprimere quello che provano quando uno dei membri è omosessuale. Questa condivisione tra genitori, giovani e persone sposate è molto importante e permette a molti di ritrovare il piacere della vita e la fiducia in essa.
Ho la fortuna di averlo potuto dire ai miei genitori, cosa che sembrava indispensabili considerando che li amo profondamente, oltre che alle mie sorelle. Anche se per i miei genitori ci sono delle cose difficile da capire a causa della loro educazione morale e cristiana, hanno reagito con mente aperta perché mi amano veramente.
Da un anno, condivido la mia vita con qualcuno. Condividiamo molto idee su diverse questioni e sul piano religioso, in particolare.
Ho l’impressione di fare realmente parte di questa famiglia benedetta da Dio. Constato spesso che la Chiesa prosegue lentamente e che ha bisogno di tempo perché accolga le differenze. In quest’anno di Giubileo, il Papa ha invitato la Chiesa a chiedere perdono per i suoi errori e le ferite che ha provocato. Quando chiederà perdono ai suoi figli omosessuali? E noi, quali parole desideriamo rivolgerle?
Anche noi scriviamo gli atti degli apostoli attraverso la penna della sofferenza, della sensazione di esclusione o indifferenza. Siamo pietre viventi di questa Casa di Dio.
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* Testimonianza scritta in occasione del Giubileo del 2000
.Testo originale: Tu as du prix et je t’aime
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