Mi chiamo Orazio. Sì, lo so, non è un gran nome: Orazio, che strazio! Purtroppo è il nome che mi è stato imposto quando sono stato adottato. Col tempo, ci si fa l’abitudine. Che cosa faccio nella vita? Mangio, dormo, gioco e qualche volta, se mi va, faccio le fusa. Le fusa, vi chiederete? Eh, sì.
Molto semplice: sono un gatto.
Non sono di razza. Da quanto posso capire, sono un misto d’incroci, quello che prevale è il soriano tigrato. Il mio manto è prevalentemente striato di grigio e nero, qua e là ho delle macchie bianche, sul muso e sulle zampe, cosa che mi conferisce un’aria da birbante, con la mascherina sul naso bianco e il tartufo rosa, e le chiazze che sembrano dei calzini da tennista. La mia coda è tutta tigrata ma ho un piccolo nodo quasi sulla punta, retaggio di un incrocio con un antico discendente siamese: unica testimonianza di quest’avo del passato. I miei occhi sono gialli, sempre vigili e attenti anche quando sonnecchio sulla poltrona della sala, davanti alla stufa scoppiettante. E’ il mio posto preferito in assoluto.
E’ inverno. Fuori dalla finestra è tutto bianco e non mi piace uscire in questo periodo dell’anno. Quella cosa umida e bagnata che si chiama “neve”, mi gela le zampe e preferisco starmene in casa. In primavera e d’estate invece, spesso e volentieri giro per il giardino del mio padrone, in cerca di qualche lucertola o, se mi va bene, di qualche uccellino che prontamente catturo e porto in dono al mio umano. Qualche volta mi sono anche avventurato all’esterno della recinzione, come due estati fa, ma è una cosa che succede di rado e solo per necessità. Non mi piace litigare con gli altri gatti, e poi odio il cane dei vicini che appena mi vede, abbaia e sbraita come se volesse azzannarmi. Stupido. Lo so bene che non puoi uscire dal cancello. Io gli passo davanti con aria di sufficienza, quasi senza guardarlo, alzo la coda sul “presentat-arm” e mi allontano con dignità, mentre quello stupido cane pulcioso, pare sull’orlo di una crisi da infarto, latrando, ansimando, ululando, sbavando e boccheggiando in cerca d’aria, soffocato dalle sue stesse urla.
Quella volta che uscii dal giardino, due estati fa, fu appunto per necessità.
Il mio umano si chiama Corrado. Non so quanti anni abbia, noi gatti non abbiamo un’esatta misurazione del tempo e comunque l’età per noi, viene calcolata diversamente. Diciamo che ha circa una trentina di estati, forse qualcosina in più. Io comunque sono stato adottato solo cinque estati fa, quindi lui era già “maturo” a quel tempo. Ma non divaghiamo.
Due estati fa, le rose del giardino cominciavano appena a sbocciare quindi si era alla fine della primavera, ho notato che Corrado sembrava parecchio avvilito: mangiava poco, spesso era a letto o disteso sul divano, non sorrideva, qualche volta si soffiava il naso. Ho capito immediatamente che c’era qualcosa che non andava in lui. Non era ammalato, no. Avrebbe avuto un odore diverso se avesse avuto qualche malattia. Invece il suo odore era sano come sempre, solo un po’ più… come dire? … più spento del solito, un odore malinconico, ecco. Siccome in casa abitiamo solamente noi due, e per lungo tempo avevo visto girare per casa un suo amico che si fermava anche ogni tanto a dormire, ma che poi era improvvisamente sparito, compresi immediatamente che tra di loro doveva esser successo qualcosa. Forse avevano litigato, pensai. Non che m’importasse molto. Il suo amico mi odiava, sentivo la puzza del suo cane sui suoi abiti: chi ama i cani in genere non apprezza i felini, e lui mi scacciava quando mi avvicinavo. Quando erano a letto, non voleva assolutamente che mi avvicinassi. Ma come si permetteva? Io ero il gatto di casa, lui era l’intruso, semmai! Così non avevo fatto caso alla sua prolungata assenza, ma quando vidi Corrado in quella situazione, feci due croccantini più due croccantini, e compresi immediatamente la ragione della sua tristezza. Dovevo assolutamente intervenire, il mio umano andava salvato. Per due cicli lunari studiai il piano, prima lo abbozzai, poi lo perfezionai nei minimi dettagli. La prima notte di luna piena d’estate, ero pronto per il mio progetto. Dicono che i gatti siano degli animali magici e forse l’effetto lunare avrebbe accentuato i miei poteri.
Sapevo che in quei giorni si teneva la festa del paese, le strade erano più affollate in quel periodo dell’anno e le vie arano gremite di auto parcheggiate dai turisti e dai forestieri che venivano per la sagra. Nell’aria si sentiva un invitante profumino di salsicce alla griglia. Purtroppo non potevo avventurarmi fino al centro del paese, troppo pericoloso, la folla e i bambini soprattutto, non avrebbero resistito al mio fascino felino, mi avrebbero potuto rapire! Saltai con eleganza la recinzione della nostra casetta e mi affrettai trotterellando verso il muretto che costeggia la via principale. Passai indifferente sotto il naso del botolo ringhioso, che come sempre sbraitava e sbavava, spiccai un salto aggraziato sul tronco del pitosforo e aggrappandomi con le unghie affilate di recente, salii sul muro. Nascosto tra i rami della pianta che copriva le pietre della recinzione, cominciai a studiare la gente che passava sulla strada: una vecchina, una ragazza giovane, una mamma con un bambino in bicicletta, una famigliola, una coppia di fidanzatini a braccetto. La gente era tanta e il passaggio era continuo. Dato che l’amico del mio umano era un uomo, e che Corrado sembrava avesse nostalgia di lui, pensai di concentrarmi sugli esemplari maschili. Esclusi dunque le donne, i bambini e gli uomini accompagnati e mi concentrai sui maschi, da soli o assieme ad altri maschi, che avevano più o meno l’età del mio padrone.
L’attesa era lunga e snervante, ne vidi arrivare uno da levante, saltai sul tetto della macchina che stava sotto il muro e mi distesi con aria sorniona. Quello passò senza degnarmi di uno sguardo. Pazienza, Orazio, questa parte del piano purtroppo non poteva essere pianificata in precedenza. Saltai ancora sul muro e mi nascosi nuovamente fra le fronde del pitosforo aspettando il successivo. Il sole era caldo e fortunatamente la pianta offriva una bella ombra rinfrescante. Qualche minuto dopo ne notai un altro e feci la stessa manfrina: tetto dell’auto e posa sorniona. Anche questo passò oltre e così accadde per i successivi. Ero quasi tentato di desistere, troppi imprevisti che non avevo potuto pianificare, ma non potevo demordere perché avevo, stampata nella mente, la figura di Corrado disteso sul divano, con la barba lunga e i fazzoletti di carta sparsi sul tappeto intorno a lui. Il sole si stava lentamente spostando verso il suo calare. Perseverai con tenacia e finalmente, dopo vari tentativi ebbi il mio tanto sperato successo personale. Era un gruppetto di quattro uomini, ridevano e chiacchieravano tra di loro. Mi preparai sperando fosse la volta buona. Disteso sul tetto dell’auto, li osservai avvicinarsi, i quattro mi passarono davanti, stavo già imprecando per l’ennesimo insuccesso quando notai che dietro di loro c’era un quinto personaggio. Aveva un’aria più seria degli amici che lo precedevano, mi notò e si avvicinò all’auto allungando la mano verso la mia pelliccia. Le mie narici percepirono immediatamente lo stesso odore di malinconia che stava imperniando lo spirito di Corrado. Ronfai, accattivante. La sua mano mi accarezzò lentamente e la sua voce era dolce mentre mi faceva i complimenti. I quattro si erano nel frattempo allontanati, quando uno dei suoi amici si voltò verso di lui richiamandolo.
No, no, no, ero troppo vicino al successo perché andasse nuovamente tutto in fumo! Concentrai tutte le mie volontà e lanciai su di lui delle buone vibrazioni. Lui rispose gentilmente all’amico che li avrebbe raggiunti e fortunatamente si attardò ad accarezzarmi. Mi alzai con noncuranza, stiracchiandomi languidamente, continuando a fare le fusa. Scesi sul cofano dell’auto per agevolare le sue carezze e mi strusciai contro il suo fianco. L’umano era deliziato dalle mie attenzioni, potevo quasi sentire le ondate di empatia che mi avvolgevano completamente. La sua voce era sempre complimentosa. Scesi a terra e mi strusciai alle sue caviglie, mi allontanai un poco e lo guardai piegando la testa, sapevo che quest’atteggiamento era uno dei preferiti degli umani. Mi si avvicinò nuovamente e mi carezzò la testa, io la alzai verso la sua mano cercando il contatto affettuoso, senza smettere di fare le fusa. Mi allontanai e feci qualche passo verso casa di Corrado, miagolai chiamandolo. L’umano si avvicinò. Ora veniva la parte più difficile: passare davanti al cane dei vicini. Mi venne un lampo d’ingegno. Finsi il timore che non avevo mai avuto e corsi verso casa come se avessi paura del pulcioso cane da guardia che immediatamente cominciò ad abbaiare. L‘umano si affrettò protettivo nei miei confronti e sgridò il cane a gran voce. Ovviamente il botolo non lo ascoltò, continuando ad abbaiare anche verso di lui. Raggiunsi il cancello di casa e mi voltai ad aspettarlo, la testa piegata di lato, la coda elegantemente avvolta attorno alle zampe. Miagolai forte chiamando il mio padrone, sperando che sentisse malgrado il suo stato semi-comatoso. L’uomo si avvicinò e si accovacciò sui talloni accarezzandomi nuovamente. Da buon ruffiano alzai nuovamente il capo in cerca della sua carezza. Facendo un giro attorno a lui controllai se Corrado avesse sentito il mio richiamo. Miagolai nuovamente con urgenza.
“E’ qui che abiti?” mi chiese l’uomo.
Ronfai profondamente con le mie fusa per confermarlo.
“Sei proprio un bel gattone. Dov’è la tua padrona?”.
Mi girai verso la casa e miagolai chiamando il mio padrone, il mio richiamo era una supplica felina. Corrado ti ho trovato un amico, volevo dirgli. Sbrigati e muovi quel tuo deretano senza coda, dal divano della sala. Miagolai nuovamente implorando, dentro di me, che il mio umano percepisse l’urgenza della situazione. Lo circondai nuovamente strusciandomi su di lui.
“Che ruffiano che sei” esclamò lui.
“Puoi ben dirlo” sentii la conferma di Corrado alle mie spalle. “E’ un ruffiano di prim’ordine”.
L’uomo sorrise al mio padroncino. Lui mosse qualche passo dalla porta d’ingresso al cancello e gli sorrise di rimando.
“E’ il tuo gatto?” chiese l’altro.
“Sì, si chiama Orazio” confermò lui.
“Che nome delizioso!” esclamò. Lo odio, aggiunsi io miagolando.
“Pare che a lui non piaccia” disse ridendo l’estraneo.
“L’alternativa era Pancrazio” aggiunse Corrado unendosi alla sua risata. Miagolai nuovamente, forse era meglio il mio. Ormai mi ero abituato.
“So che non è affar mio, ma hai gli occhi rossi” disse l’umano che non era il mio padrone.
“Non è nulla. Mi passerà” sminuì lui.
“Sono un medico oftalmico, se vuoi…” si offerse l’altro senza finire la frase.
Chiacchierarono tra di loro per un po’, Corrado aprì il cancello e lo invitò al tavolo di ferro che era all’ombra del grande tiglio in giardino. Gli offrì un tè freddo. Io mi distesi all’ombra, sull’erba tra di loro. Qualche tempo dopo arrivarono gli altri amici che erano stati avvisati tramite cellulare. Presero una pizza insieme e pranzarono in giardino, tutti insieme, come se fossero amici da sempre. Il mio padrone da quel giorno riprese a sorridere e tuttora mi sembra di aver fatto un gran bel lavoro quel giorno.
Saverio, l’umano che ero riuscito a catturare, è dall’estate scorsa che vive qui con noi. Dormono insieme nel grande lettone e spesso mi arrotolo tra di loro, godendo del calore della loro vicinanza. Per una volta, non ho portato una lucertola o un uccellino al mio padrone, ma un compagno che lo fa sorridere. Hanno cambiato odore, ora sento su di loro un retrogusto di dolcezza e serenità, le vibrazioni in casa sono positive. Inutile dirvi che entrambi mi adorano.
Bravo, Orazio. Maoooo!
Non sono di razza. Da quanto posso capire, sono un misto d’incroci, quello che prevale è il soriano tigrato. Il mio manto è prevalentemente striato di grigio e nero, qua e là ho delle macchie bianche, sul muso e sulle zampe, cosa che mi conferisce un’aria da birbante, con la mascherina sul naso bianco e il tartufo rosa, e le chiazze che sembrano dei calzini da tennista. La mia coda è tutta tigrata ma ho un piccolo nodo quasi sulla punta, retaggio di un incrocio con un antico discendente siamese: unica testimonianza di quest’avo del passato. I miei occhi sono gialli, sempre vigili e attenti anche quando sonnecchio sulla poltrona della sala, davanti alla stufa scoppiettante. E’ il mio posto preferito in assoluto.
E’ inverno. Fuori dalla finestra è tutto bianco e non mi piace uscire in questo periodo dell’anno. Quella cosa umida e bagnata che si chiama “neve”, mi gela le zampe e preferisco starmene in casa. In primavera e d’estate invece, spesso e volentieri giro per il giardino del mio padrone, in cerca di qualche lucertola o, se mi va bene, di qualche uccellino che prontamente catturo e porto in dono al mio umano. Qualche volta mi sono anche avventurato all’esterno della recinzione, come due estati fa, ma è una cosa che succede di rado e solo per necessità. Non mi piace litigare con gli altri gatti, e poi odio il cane dei vicini che appena mi vede, abbaia e sbraita come se volesse azzannarmi. Stupido. Lo so bene che non puoi uscire dal cancello. Io gli passo davanti con aria di sufficienza, quasi senza guardarlo, alzo la coda sul “presentat-arm” e mi allontano con dignità, mentre quello stupido cane pulcioso, pare sull’orlo di una crisi da infarto, latrando, ansimando, ululando, sbavando e boccheggiando in cerca d’aria, soffocato dalle sue stesse urla.
Quella volta che uscii dal giardino, due estati fa, fu appunto per necessità.
Il mio umano si chiama Corrado. Non so quanti anni abbia, noi gatti non abbiamo un’esatta misurazione del tempo e comunque l’età per noi, viene calcolata diversamente. Diciamo che ha circa una trentina di estati, forse qualcosina in più. Io comunque sono stato adottato solo cinque estati fa, quindi lui era già “maturo” a quel tempo. Ma non divaghiamo.
Due estati fa, le rose del giardino cominciavano appena a sbocciare quindi si era alla fine della primavera, ho notato che Corrado sembrava parecchio avvilito: mangiava poco, spesso era a letto o disteso sul divano, non sorrideva, qualche volta si soffiava il naso. Ho capito immediatamente che c’era qualcosa che non andava in lui. Non era ammalato, no. Avrebbe avuto un odore diverso se avesse avuto qualche malattia. Invece il suo odore era sano come sempre, solo un po’ più… come dire? … più spento del solito, un odore malinconico, ecco. Siccome in casa abitiamo solamente noi due, e per lungo tempo avevo visto girare per casa un suo amico che si fermava anche ogni tanto a dormire, ma che poi era improvvisamente sparito, compresi immediatamente che tra di loro doveva esser successo qualcosa. Forse avevano litigato, pensai. Non che m’importasse molto. Il suo amico mi odiava, sentivo la puzza del suo cane sui suoi abiti: chi ama i cani in genere non apprezza i felini, e lui mi scacciava quando mi avvicinavo. Quando erano a letto, non voleva assolutamente che mi avvicinassi. Ma come si permetteva? Io ero il gatto di casa, lui era l’intruso, semmai! Così non avevo fatto caso alla sua prolungata assenza, ma quando vidi Corrado in quella situazione, feci due croccantini più due croccantini, e compresi immediatamente la ragione della sua tristezza. Dovevo assolutamente intervenire, il mio umano andava salvato. Per due cicli lunari studiai il piano, prima lo abbozzai, poi lo perfezionai nei minimi dettagli. La prima notte di luna piena d’estate, ero pronto per il mio progetto. Dicono che i gatti siano degli animali magici e forse l’effetto lunare avrebbe accentuato i miei poteri.
Sapevo che in quei giorni si teneva la festa del paese, le strade erano più affollate in quel periodo dell’anno e le vie arano gremite di auto parcheggiate dai turisti e dai forestieri che venivano per la sagra. Nell’aria si sentiva un invitante profumino di salsicce alla griglia. Purtroppo non potevo avventurarmi fino al centro del paese, troppo pericoloso, la folla e i bambini soprattutto, non avrebbero resistito al mio fascino felino, mi avrebbero potuto rapire! Saltai con eleganza la recinzione della nostra casetta e mi affrettai trotterellando verso il muretto che costeggia la via principale. Passai indifferente sotto il naso del botolo ringhioso, che come sempre sbraitava e sbavava, spiccai un salto aggraziato sul tronco del pitosforo e aggrappandomi con le unghie affilate di recente, salii sul muro. Nascosto tra i rami della pianta che copriva le pietre della recinzione, cominciai a studiare la gente che passava sulla strada: una vecchina, una ragazza giovane, una mamma con un bambino in bicicletta, una famigliola, una coppia di fidanzatini a braccetto. La gente era tanta e il passaggio era continuo. Dato che l’amico del mio umano era un uomo, e che Corrado sembrava avesse nostalgia di lui, pensai di concentrarmi sugli esemplari maschili. Esclusi dunque le donne, i bambini e gli uomini accompagnati e mi concentrai sui maschi, da soli o assieme ad altri maschi, che avevano più o meno l’età del mio padrone.
L’attesa era lunga e snervante, ne vidi arrivare uno da levante, saltai sul tetto della macchina che stava sotto il muro e mi distesi con aria sorniona. Quello passò senza degnarmi di uno sguardo. Pazienza, Orazio, questa parte del piano purtroppo non poteva essere pianificata in precedenza. Saltai ancora sul muro e mi nascosi nuovamente fra le fronde del pitosforo aspettando il successivo. Il sole era caldo e fortunatamente la pianta offriva una bella ombra rinfrescante. Qualche minuto dopo ne notai un altro e feci la stessa manfrina: tetto dell’auto e posa sorniona. Anche questo passò oltre e così accadde per i successivi. Ero quasi tentato di desistere, troppi imprevisti che non avevo potuto pianificare, ma non potevo demordere perché avevo, stampata nella mente, la figura di Corrado disteso sul divano, con la barba lunga e i fazzoletti di carta sparsi sul tappeto intorno a lui. Il sole si stava lentamente spostando verso il suo calare. Perseverai con tenacia e finalmente, dopo vari tentativi ebbi il mio tanto sperato successo personale. Era un gruppetto di quattro uomini, ridevano e chiacchieravano tra di loro. Mi preparai sperando fosse la volta buona. Disteso sul tetto dell’auto, li osservai avvicinarsi, i quattro mi passarono davanti, stavo già imprecando per l’ennesimo insuccesso quando notai che dietro di loro c’era un quinto personaggio. Aveva un’aria più seria degli amici che lo precedevano, mi notò e si avvicinò all’auto allungando la mano verso la mia pelliccia. Le mie narici percepirono immediatamente lo stesso odore di malinconia che stava imperniando lo spirito di Corrado. Ronfai, accattivante. La sua mano mi accarezzò lentamente e la sua voce era dolce mentre mi faceva i complimenti. I quattro si erano nel frattempo allontanati, quando uno dei suoi amici si voltò verso di lui richiamandolo.
No, no, no, ero troppo vicino al successo perché andasse nuovamente tutto in fumo! Concentrai tutte le mie volontà e lanciai su di lui delle buone vibrazioni. Lui rispose gentilmente all’amico che li avrebbe raggiunti e fortunatamente si attardò ad accarezzarmi. Mi alzai con noncuranza, stiracchiandomi languidamente, continuando a fare le fusa. Scesi sul cofano dell’auto per agevolare le sue carezze e mi strusciai contro il suo fianco. L’umano era deliziato dalle mie attenzioni, potevo quasi sentire le ondate di empatia che mi avvolgevano completamente. La sua voce era sempre complimentosa. Scesi a terra e mi strusciai alle sue caviglie, mi allontanai un poco e lo guardai piegando la testa, sapevo che quest’atteggiamento era uno dei preferiti degli umani. Mi si avvicinò nuovamente e mi carezzò la testa, io la alzai verso la sua mano cercando il contatto affettuoso, senza smettere di fare le fusa. Mi allontanai e feci qualche passo verso casa di Corrado, miagolai chiamandolo. L’umano si avvicinò. Ora veniva la parte più difficile: passare davanti al cane dei vicini. Mi venne un lampo d’ingegno. Finsi il timore che non avevo mai avuto e corsi verso casa come se avessi paura del pulcioso cane da guardia che immediatamente cominciò ad abbaiare. L‘umano si affrettò protettivo nei miei confronti e sgridò il cane a gran voce. Ovviamente il botolo non lo ascoltò, continuando ad abbaiare anche verso di lui. Raggiunsi il cancello di casa e mi voltai ad aspettarlo, la testa piegata di lato, la coda elegantemente avvolta attorno alle zampe. Miagolai forte chiamando il mio padrone, sperando che sentisse malgrado il suo stato semi-comatoso. L’uomo si avvicinò e si accovacciò sui talloni accarezzandomi nuovamente. Da buon ruffiano alzai nuovamente il capo in cerca della sua carezza. Facendo un giro attorno a lui controllai se Corrado avesse sentito il mio richiamo. Miagolai nuovamente con urgenza.
“E’ qui che abiti?” mi chiese l’uomo.
Ronfai profondamente con le mie fusa per confermarlo.
“Sei proprio un bel gattone. Dov’è la tua padrona?”.
Mi girai verso la casa e miagolai chiamando il mio padrone, il mio richiamo era una supplica felina. Corrado ti ho trovato un amico, volevo dirgli. Sbrigati e muovi quel tuo deretano senza coda, dal divano della sala. Miagolai nuovamente implorando, dentro di me, che il mio umano percepisse l’urgenza della situazione. Lo circondai nuovamente strusciandomi su di lui.
“Che ruffiano che sei” esclamò lui.
“Puoi ben dirlo” sentii la conferma di Corrado alle mie spalle. “E’ un ruffiano di prim’ordine”.
L’uomo sorrise al mio padroncino. Lui mosse qualche passo dalla porta d’ingresso al cancello e gli sorrise di rimando.
“E’ il tuo gatto?” chiese l’altro.
“Sì, si chiama Orazio” confermò lui.
“Che nome delizioso!” esclamò. Lo odio, aggiunsi io miagolando.
“Pare che a lui non piaccia” disse ridendo l’estraneo.
“L’alternativa era Pancrazio” aggiunse Corrado unendosi alla sua risata. Miagolai nuovamente, forse era meglio il mio. Ormai mi ero abituato.
“So che non è affar mio, ma hai gli occhi rossi” disse l’umano che non era il mio padrone.
“Non è nulla. Mi passerà” sminuì lui.
“Sono un medico oftalmico, se vuoi…” si offerse l’altro senza finire la frase.
Chiacchierarono tra di loro per un po’, Corrado aprì il cancello e lo invitò al tavolo di ferro che era all’ombra del grande tiglio in giardino. Gli offrì un tè freddo. Io mi distesi all’ombra, sull’erba tra di loro. Qualche tempo dopo arrivarono gli altri amici che erano stati avvisati tramite cellulare. Presero una pizza insieme e pranzarono in giardino, tutti insieme, come se fossero amici da sempre. Il mio padrone da quel giorno riprese a sorridere e tuttora mi sembra di aver fatto un gran bel lavoro quel giorno.
Saverio, l’umano che ero riuscito a catturare, è dall’estate scorsa che vive qui con noi. Dormono insieme nel grande lettone e spesso mi arrotolo tra di loro, godendo del calore della loro vicinanza. Per una volta, non ho portato una lucertola o un uccellino al mio padrone, ma un compagno che lo fa sorridere. Hanno cambiato odore, ora sento su di loro un retrogusto di dolcezza e serenità, le vibrazioni in casa sono positive. Inutile dirvi che entrambi mi adorano.
Bravo, Orazio. Maoooo!
Questa è una Favola...mitico Orazio...eheh muovi quel deretano senza coda ...bellissimo.
RispondiEliminaBellissima anche la foto dei tre micioni(salta all'occhio,eh?)
Dedicata ad una persona speciale, Il mio amico Corrado, quello vero.
RispondiEliminaSono sicura che l'ha apprezzata moltissimo =)
RispondiEliminaLo spero. Vorrei rivederlo ma ora è lontano. Mi manca, anche se non ci siamo frequentati molto. E... non è stato un mio fidanzato!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaho fatto un casino... ho eliminato il tuo commento gradito....
RispondiEliminaTranquillo..lì per lì non capivo come mai fosse stato cancellato ..ma non fa niente =)
RispondiElimina