mercoledì 6 novembre 2013

STELLE DI SICILIA




Salvatore e Gaetano erano cresciuti insieme. Il primo figlio di un pescatore, il secondo di un fornaio. Sasà odiava il mare. Un giorno, dopo una tempesta, il padre non tornò per tanto tempo, qualche giorno dopo, le onde sputarono il suo corpo sulla spiaggia, come se fosse un loro ospite indesiderato. Donna Carmela, la vedova, aveva le mani d’oro e cuciva gli abiti per le comari del paese. I primi due figli ormai grandi, grazie a Dio, contribuivano al misero vitto familiare, il piccolo Sasà studiava alle elementari e voleva diventare scrittore. La madre scuoteva la testa, la licenza media era il traguardo per i figli della povera gente: solo i ricchi potevano permettersi il liceo.

Gaetano era il più bravo a giocare a pallone, voleva diventare calciatore. La mattina si alzava presto e, prima di andare a scuola, consegnava il pane ai clienti del padre. Pedalava velocemente per le vie del paese ancora deserto, e si fermava da quei clienti che avevano richiesto la consegna del pane a domicilio. Gli piaceva affrontare la giornata sulla bicicletta e scampanellare per le stradine, risvegliando chi era ancora a letto e tutti i cani del villaggio, che lo salutavano abbaiando.

Sasà non aveva mai provato alcun particolare interesse per il mare, e col passare degli anni, la sua indifferenza si trasformò in odio, forse perché ricollegava ad esso la scomparsa del padre e, durante l'estate, quando la maggior parte dei suoi amici andava in spiaggia per mescolarsi ai villeggianti di città, finiva per restare in disparte, nonostante Gaetano ogni volta cercasse di convincerlo in tutti i modi ad unirsi a loro. Fra tutti i bambini del paese, lui era quello che, a conti fatti, poteva definire il suo migliore amico. Avevano la stessa età ed erano nati a soli due giorni di distanza, da famiglie che abitavano nella stessa via e che si conoscevano da anni.

Alla scuola del catechismo, Don Mimmo aveva raccontato loro le storie della Bibbia, una storia in particolare aveva attirato l’attenzione dei ragazzi, quando il parroco aveva parlato della distruzione di Sodoma e Gomorra. Gli abitanti di quelle città erano malati. Salvatore aveva riflettuto su quel racconto. Era particolarmente interessato perché suo zio Nicola aveva anche lui la stessa malattia dei Sodomiti, era persino emigrato a Roma per curarsi. Ogni tanto faceva ritorno in paese, lo aveva osservato bene e non sembrava che fosse deperito, dimagrito o invecchiato precocemente a causa della malattia. Anzi, sembrava stesse molto meglio di quando era partito. Forse le cure gli avevano giovato. Un giorno lo aveva chiesto a sua madre, che però aveva brontolato qualcosa e aveva sviato le sue domande mandandolo a fare qualche commissione per lei.

Gli anni passarono e arrivò l’estate del 1967, quella che cambiò la vita di Gaetano e Sasà. Avevano sedici anni compiuti, ad entrambi era cambiata la voce e sembravano non avere più nulla a che fare con i ragazzini che erano stati l'anno prima, tanto che nemmeno loro riuscivano a capacitarsi di quanto fossero diventati diversi. Iniziava a spuntare loro un accenno di barba, che puntualmente tagliavano via quasi ogni giorno perché non riuscivano a riconoscersi con quella peluria sul viso, i loro lineamenti erano diventati più adulti. Con i loro amici si cominciava a parlare di donne, e alcuni di loro avevano anche cominciato a risparmiare il necessario per pagare Donna Santuzza affinché li rendesse uomini nella stanza da letto della sua casa proprio dietro la chiesa. Qualcuno c'era anche stato, e aveva raccontato l'esperienza nei minimi dettagli, forse forzando un po' i particolari per non dare l'impressione di essere stato uno sprovveduto alle prese per la prima volta con un corpo femminile. Salvatore ascoltava quelle storie senza prestarvi troppe attenzioni, troppo preso dal lavoro quotidiano e dalle incombenze familiari. Gaetano invece, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare per nulla interessanti i discorsi dei suoi amici e cercava sempre di evitare di intervenire, anche perché non aveva niente da dire. Fu in quei giorni di metà giugno che le cose iniziarono a cambiare. Gaetano non ricordava l'esatto momento in cui, per la prima volta, a vedere Sasà insieme con una ragazza, aveva provato quella strana fitta allo stomaco. Ci vollero diversi giorni perché Gaetano comprendesse che forse aveva preso la malattia. L’idea di essersi ammalato e di desiderare Sasà fisicamente lo fece cadere nello sconforto. Si scoprì lentamente a desiderare di ricevere tutte le attenzioni che Salvatore riservava alle giovani turiste, e un giorno il suo cuore saltò un battito quando lo vide accarezzare la schiena di una ragazza. Provò dei brividi lungo la spina dorsale e si morse le labbra desiderando per sé quel tocco capace di farlo tremare anche solo immaginandolo.

Cominciò a fare sogni strani, in cui Salvatore lo toccava e gli accarezzava il viso, baciandolo poi su una guancia, si svegliava sempre di soprassalto, sudato e con una sensazione di stordimento che non sapeva come spiegarsi. Fin quando erano solo sogni, non si preoccupava eccessivamente: sapeva che erano immagini che appartenevano solo alla notte e che non potevano assolutamente nuocergli ma, quando un giorno si ritrovò ad immaginare ad occhi aperti Sasà che lo baciava sulla bocca, iniziò a preoccuparsi seriamente. Si sorprendeva a scoprire di pensare a quanto fosse diventato bello, Salvatore. Era come se mai davvero lo avesse visto, come se non si fosse mai accorto delle lentiggini che gli spruzzavano la pelle del viso bruciata dal sole. Senza quasi accorgersene, iniziò ad evitarlo, forse perché aveva paura che potesse accorgersi della malattia e scansarlo come avrebbe fatto con un animale schifoso. Eppure questo accorgimento non bastò a far cessare i suoi strani pensieri. Stava sveglio la notte a fissare il soffitto e a chiedersi cosa avrebbero detto gli altri, se avessero potuto leggergli il pensiero. Si rigirava nel letto cercando di prendere sonno, ma alla fine il suo pensiero costante era lì, immobile, a tormentarlo senza che lui potesse farci nulla. Quando era l'amico ad andare al forno, riusciva sempre a liquidarlo con poche parole, dicendo di essere stanco o di dover lavorare più del previsto. Nemmeno questo però bastava a tranquillizzarlo o a togliergli dalla mente l'immagine di Salvatore, diventato quasi un'ossessione. Più di una volta si ritrovò a passare davanti alla casa di Donna Santuzza, ma non riusciva mai a trovare il coraggio di bussare e dirle che aveva bisogno di lei per diventare un vero uomo e guarire da quelle sensazioni contro natura che continuava a provare. Anche sua madre, seduta a fare l’uncinetto accanto alla finestra, si era accorta che c'era qualcosa che non andava, ma Gaetano aveva risposto elusivamente alle sue domande, dicendo che in quei giorni Salvatore aveva da lavorare il doppio.

La sera di San Giovanni fu quella nella quale nascondersi da Sasà, divenne praticamente impossibile. Quel giorno non lavorava nessuno, andavano tutti alla Messa del Santo Patrono e poi alla festa in piazza, dove c'era un'orchestra che suonava per intrattenere i paesani. Gaetano sarebbe voluto rimanere a casa, ma non aveva trovato una scusa abbastanza plausibile, così non gli era rimasto altro da fare, che sperare di confondersi fra la folla e augurarsi di non incontrare Salvatore. Sapeva che l'amico non era stupido e che in qualche modo doveva essersi accorto dei suoi tentativi di evitarlo, mentre con gli altri amici era sempre cordiale e disponibile, ma non aveva alcuna spiegazione da dargli in merito. Anzi, la spiegazione c'era, ma non era esattamente la più facile da articolare.  Quando vide che Salvatore gli stava venendo incontro con fare deciso, per poco non gli andò di traverso il torrone che aveva appena iniziato a masticare.

“Ciao Gaetano! Buonasera, Donna Carmela!”, li salutò educatamente Salvatore.

Quando sua madre si allontanò per andare a parlare con delle comari, Gaetano capì che stava per giungere il momento in cui non avrebbe potuto più mentire.

“Si può sapere che ti è successo, Gaetano?” gli chiese l’amico con fare accusatorio e aggrottando le sopracciglia, come a chiedere una spiegazione. “Sono giorni che non ci vediamo perché hai sempre da fare! Ce l'hai con me per qualcosa?” I suoi occhi scuri erano tristi, tanto che Gaetano provò il desiderio di abbracciarlo e chiedergli scusa per la freddezza che gli aveva dimostrato nell'ultimo periodo. Forse... forse con lui poteva confidarsi, pensò, un attimo dopo. Immaginava che saperlo ammalato avrebbe fatto schifo a Sasà, ma sperava che la loro amicizia potesse superare anche una cosa del genere.

“Vieni con me!” Lo prese per mano e lo portò in un vicolo lontano da occhi e orecchie indiscrete. “Mi prometti che non lo dici a nessuno?” chiese, preoccupato. Il cuore cominciò a battergli forte. Non sapeva che parole usare per spiegargli tutto ed era scombussolato all'avere Salvatore così vicino, con quel corpo che ormai occupava ogni suo sogno e desiderio.

“Cosa?” gli chiese. Non sapendo che dire, Gaetano lo baciò, gli sembrò la cosa più semplice da fare. Gaetano non aveva mai baciato nessuno in quel modo e quel gesto lo elettrizzò, facendogli provare sensazioni che non credeva esistessero. Le labbra di Sasà erano morbide e la sua guancia profumava di acqua di colonia, che probabilmente aveva usato prima di uscire da casa quella sera.  Si rese conto di ciò che era riuscito a fare, solo quando si allontanò da lui e scoprì lo sguardo sorpreso dell’amico.

“Ti... ti ricordi la malattia, Salvatore?” balbettò a voce appena udibile.

“Sì”.

“Penso di essermi ammalato. Probabilmente andrò all'inferno perché sogno che tu mi tocchi e mi baci come se fossimo marito e moglie”, confessò Gaetano tutto d'un fiato.
La tensione era talmente alta che sentì persino qualche lacrima corrergli per le guance. Sapeva che da quel momento niente sarebbe stato più come prima e questo lo terrorizzava. Si era già preparato all'eventualità di ricevere uno spintone e uno sguardo carico d'odio, e fu per questo che la reazione di Salvatore lo sorprese. “Ed è per questo, che non mi parlavi più?” chiese l'amico senza scomporsi.

“Sì. Pensavo che se non ci vedevamo, avrei smesso di pensare a te” tirò su col naso, sentendosi uno stupido. “E poi… che ne so, magari la malattia è contagiosa, non voglio che stai male anche tu”. Non aveva nient'altro da aggiungere e sperava che fosse Salvatore a colmare quel silenzio che iniziava a mettergli paura. “Sasà? Mi giuri che non lo dici a nessuno, vero?”.

“Certo che non lo dico a nessuno, Gaetano? Ma sei sicuro che sia una malattia?”.

Gaetano abbassò lo sguardo. “Non lo so. Quando ti penso sono felice, adesso che ti ho baciato non mi sento come se avessi la febbre, anzi mi sento benissimo. E sto male solo quando tu guardi le ragazze e le aiuti a salire sulla barca. Però tu sei maschio come me, quindi è sbagliato”. Forse la malattia non aveva gli stessi sintomi dell'influenza.

“Ma io non guardo le ragazze! Io ci lavoro quando le faccio salire sulla barca!” rise Salvatore.

“E non le baci quando nessuno può vedere?” Gaetano si morse la lingua subito dopo aver fatto questa domanda.

“No, ci mancherebbe solo questo!”. 

L'abbraccio di Salvatore lo stupì. Si aspettava un altro epilogo da quella confessione, ed era contento che le cose fossero andate così, anche se continuava a sentirsi ancora in colpa per via dei suoi desideri peccaminosi. Volere un ragazzo come lui doveva essere di gran lunga più grave che andare da Donna Santuzza, di questo era certo. Adesso che Salvatore sapeva come stavano le cose, era più tranquillo, era stato come togliersi un peso dal cuore.

“Salvatore?” chiese titubante.

“Sì?”

“Posso dartelo un altro bacio come prima? Voglio ringraziarti. E sentire ancora il sapore della tua bocca”. Il bacio durò un po' più a lungo, senza che Salvatore facesse smorfie schifate. Gaetano sarebbe rimasto lì per sempre, ma sapeva che doveva accontentarsi di quei due unici baci, che probabilmente sarebbero stati gli unici che si sarebbe potuto aspettare da Salvatore. Forse, adesso che aveva soddisfatto quella strana curiosità di sapere come fosse baciarlo, non avrebbe più pensato all'amico in quel modo malato. Quando Salvatore gli strinse la mano per rassicurarlo e dirgli che gli voleva bene, Gaetano non fu più tanto sicuro che avrebbe dimenticato facilmente ciò che provava.

Quello che Salvatore non disse a Gaetano, e che realizzò solo a qualche giorno di distanza dalla festa di San Giovanni, fu che, tutto sommato, i baci che si erano scambiati, entrambi piuttosto timidi e impacciati, non gli erano affatto dispiaciuti. Sulle prime l'aveva lasciato esterrefatto l'idea che all'amico potessero piacere i maschi come a lui, ma si era abituato immediatamente, senza trovarla una cosa dell'altro mondo. Forse era perché si trattava di Gaetano, a cui voleva un bene dell'anima, forse perché gli sembrava che i sentimenti, per quel poco che ne capiva lui, non potessero mai essere una cosa sporca. Col passare dei giorni, ritornarono ad essere gli amici inseparabili di prima e, anzi, Salvatore faceva in modo di passare con lui il più tempo possibile, senza mai accennare ai baci che si erano scambiati né alla malattia che l'altro diceva di avere. Gli sembrava buffo che Gaetano fosse attratto da lui, visto che si conoscevano da una vita, e pensava che forse l'amico stava confondendo l'attrazione con l'amicizia e che prima o poi avrebbe incontrato qualche ragazza che gli sarebbe davvero piaciuta. Non che non prendesse la cosa sul serio, gli dispiaceva che l’altro stesse male, all'idea di essere ammalato o che fosse geloso delle ragazze che lui portava in barca. Si rendeva conto di quello che sarebbe successo se qualcuno avesse saputo delle loro conversazioni. Ci pensava tutto il giorno, alla storia di Gaetano, anche quando cercava di scacciarla dalla sua mente, e fu piuttosto sorpreso il giorno in cui si ritrovò a considerare che non dovesse poi essere tanto male l'idea di essere attratto da un ragazzo. Gaetano non era un ragazzo qualunque, innanzi tutto era il suo migliore amico, e questo non sarebbe di certo cambiato se fosse stato una femmina. Aveva uno sguardo dolce e capelli lisci e castani che gli coprivano parzialmente il viso. Alto quasi quanto lui, aveva però i muscoli meno sviluppati dei suoi. Sì, poteva considerarlo bello, persino pensare che quell'attrazione potesse essere reciproca. Prima della rivelazione di Gaetano non aveva mai pensato ad un ragazzo in questi termini, tanto che in un primo momento pensò che si trattasse di una sorta d’imitazione dei sentimenti dell'amico. Poi però, il pensiero di quei due baci che si erano scambiati, di come sarebbe stato bello baciarlo ancora, di stringerlo e toccarlo in maniera diversa da come era abituato a fare, avevano iniziato a farsi più insistenti, al punto che spesso, senza volerlo, si trovava protagonista di strane fantasie che lo vedevano insieme all’amico.

“Gaetano, dimmi una cosa. Ti piaccio ancora?”, gli chiese una sera di metà luglio, due settimane dopo la confessione dell'amico, mentre l'altro lo aiutava a sistemare delle reti da pesca giù al porto. Attorno a loro non c'era nessuno, solo il rumore delle onde del mare che sbattevano contro gli scogli, che faceva da sfondo al loro lavoro.

Non aveva intenzione di fare una domanda così diretta, né di toccare di nuovo quell'argomento spinoso che sembrava agitare così tanto Gaetano, ma quella domanda era il frutto di diversi giorni passati ad arrovellarsi sempre sulla stessa cosa.

L'altro avvampò e distolse lo sguardo. “Salvatore...” ma s’interruppe e tornò a districare la rete da pesca che aveva in mano, forse per evitare di dargli una risposta.

“No, perché è un paio di giorni che ci penso” continuò Salvatore “Penso a quello che mi hai detto e a come... a com’è stato quel bacio”.

“Davvero?” chiese Gaetano incredulo.

“Sì. Non avevo mai baciato nessuno in quel modo. E l'idea di farlo ancora con te non mi fa tanto schifo”.

“Sasà, che dici? Guarda che è una cosa brutta questa. È un peccato mortale, se lo viene a sapere Don Mimmo...”

“E chi glielo dice a Don Mimmo?” sorrise Salvatore “Facciamo che è il nostro segreto, no?” e si chinò a baciare l’incredulo Gaetano, prendendogli poi le mani.

“Vuoi dire che anch’io ti piaccio, Salvatore? Ne sei sicuro?”, fu la prima domanda dell'amico quando si staccò da lui.

“Non lo so, ho tutto così confuso qui dentro!” rispose lui, picchiettandosi la testa con un dito. “Però adesso ascolta il mio cuore... Ascolta come batte forte”.

Era vero. Il suo battito era accelerato senza che sapesse davvero spiegarsene la ragione, e il fiato gli si spezzò quando Gaetano gli poggiò una mano sul petto. “Ho paura che sia tutto sbagliato”.  Ammise l'amico più tardi, dopo che parlavano da ore della stessa cosa.

“ Non preoccuparti, se c'è qualcosa di sbagliato, non è nelle nostre teste!” Salvatore non era del tutto sicuro di ciò che diceva, anche lui era cresciuto con l'idea che la malattia fosse qualcosa di davvero grave e contraria al volere di Dio, ma, adesso che stava provando quelle sensazioni sulla sua pelle, non era tanto sicuro che fosse qualcosa di brutto. Non era nemmeno certo che quello che provava per Gaetano fosse vero amore, ma per quel poco che ne sapeva, sua madre ogni tanto comprava delle riviste femminili e lui leggeva di sfuggita qualche fotoromanzo melenso, l'amore non scoppiava quasi mai all'improvviso e cominciava con un sentimento più forte dell'amicizia che andava sviluppato poco a poco. “Comunque andranno le cose, noi saremo sempre amici, mi hai capito?” gli sussurrò, accarezzandogli poi i capelli e avvicinando la sua fronte a quella di Gaetano.

“Anche se ci fanno del male quando lo scoprono?”

“Se lo scoprono”.

Gaetano annuì, regalandogli un sorriso dolcissimo e infilandogli le mani sotto la maglietta che indossava per poter toccare direttamente la sua pelle facendogli venire i brividi. Si salutarono dopo qualche ora, quando la mezzanotte era appena passata, ridacchiando di quella nuova strana avventura che avevano deciso di intraprendere insieme. L'amore arrivò più avanti, esattamente come Salvatore aveva previsto.

Scoprirsi ogni giorno sempre più innamorato di Gaetano lo faceva svegliare con un enorme sorriso sulle labbra, così come l'idea di vederlo quando finiva di lavorare. Anche se si conoscevano da quando erano nati, adesso vedevano tutto sotto un'altra luce e il tempo passato insieme sembrava non bastare mai. Se inizialmente Salvatore aveva avuto paura che la sua attrazione nei confronti di Gaetano, fosse dovuta solo al suo confondere i sentimenti, adesso doveva ricredersi: si era innamorato di lui, non di un ragazzo, ma del suo migliore amico, come precisava sempre quando era in vena di tenerezze. Ogni tanto ritornavano a galla i discorsi su quanto fosse giusto ciò che stavano facendo ed entrambi si arrovellavano su come una cosa così bella come il sentimento che provavano l'uno per l'altro potesse essere considerato sporco. Anche Salvatore, per quanto cercasse di essere sicuro di sé, aveva le stesse paure di Gaetano, ma si era messo in testa di proteggerlo dalle sue stesse paure, quindi non lasciava mai trapelare i suoi dubbi, cercando di tranquillizzarlo e promettendogli che tutto sarebbe andato bene. Il bisogno di approfondire la parte fisica del loro rapporto, si presentò qualche notte prima di Ferragosto. Non erano mai andati oltre al baciarsi o allo stare abbracciati all'interno della barca, ormeggiata sulla spiaggia.

Avevano passato la serata in piazza con gli amici a giocare col nuovo flipper che il signor Carmine aveva comprato per il suo bar, avevano mangiato un gelato e bevuto una limonata, restando a chiacchierare fino a che tutti pian piano erano tornati alle loro case. Loro due non avevano voglia di separarsi, così erano andati a fare una passeggiata in spiaggia, andando poi a sdraiarsi all'interno della barchetta che, col passare dei mesi, era diventata un vero e proprio rifugio appartenente solo a loro. San Lorenzo era passato solo da due giorni, quindi era possibile vedere ancora le stelle cadenti, tanto che da principio i due ragazzi rimasero a guardare il cielo senza dire una parola. Ad un tratto, Salvatore si voltò a guardare il viso sereno di Gaetano, regalandogli un bacio a fior di labbra e poi ponendosi su di lui per abbracciarlo. Il resto fu naturale, come se entrambi fossero guidati dallo stesso istinto che diceva loro cosa fare. Goffamente, non aveva mai spogliato nessuno, ad esclusione di suo fratello Giovanni, quando da piccolo lo metteva a dormire nella sua culla, Gaetano slacciò il cordoncino che teneva fermi i pantaloni di tela di Salvatore, poi lo accarezzò sul viso. Cosa sto facendo? Glielo avrebbe voluto chiedere, se non fosse stato che nemmeno Sasà aveva una risposta da dargli. L'amico si sporse verso di lui per baciarlo e gli prese le mani per metterle sui propri fianchi. Cosa stiamo facendo? Era sbagliato, immorale, li avrebbe fatti bruciare all'inferno come nelle storie che Don Mimmo raccontava durante le prediche della messa domenicale. Gli tolse la maglietta di cotone che indossava e poi baciò il suo petto, scendendo con la lingua giù fino alla pancia, fino all'ombelico. Salvatore gemette piano, poi cercò di togliergli i pantaloni a sua volta.

Poi una domanda, mormorata da Gaetano a voce appena udibile: “Stiamo sbagliando?”

“Se stiamo sbagliando, finiremo all'inferno insieme”.

Un bacio, e poi un altro, poi la mano di Salvatore esitò qualche attimo sull'elastico delle mutande di Gaetano. Si erano visti nudi l'un l'altro centinaia di volte, specialmente quando erano bambini e facevano il bagno insieme, ma adesso c'era qualcosa di diverso, che un po' li impauriva. “Puoi... puoi toccarmi?” gli mormorò Gaetano all'orecchio. Salvatore non poté fare altro che accontentarlo. Gaetano trattenne a stento un gemito e si morse le labbra, poi fece la stessa cosa a Salvatore, lasciando che le sue mutande scivolassero giù per le gambe e non fossero d'impaccio. Non avevano la minima idea di come si facessero certe cose, non ne avevano mai sentito parlare, se non dai racconti dei loro amici, e il battito violento dei loro cuori impediva loro di articolare un pensiero coerente. Si abbracciarono per sentire i loro corpi stretti l'uno all'altro e, così facendo, le loro erezioni vennero in contatto, regalando loro un forte senso di piacere al basso ventre.  Ridevano innervositi, forse anche impauriti da quello che sarebbe potuto succedere se qualcuno li avesse visti ma, nel momento in cui Salvatore cercò di iniziare a penetrare piano Gaetano, tutto il resto del mondo attorno a loro sparì. Salvatore tappò la bocca dell’amico con la sua perché non urlasse e gli sussurrò di mordergli le labbra se sentiva troppo dolore. Gaetano aveva le lacrime agli occhi, ma Salvatore si accorse che faceva di tutto per resistere e non chiedergli di smettere. Lui continuava ad accarezzargli il viso e a baciarlo, ripetendogli continuamente che se avesse voluto si sarebbe fermato, ma al tempo stesso sperando che quell'invocazione non arrivasse mai.  Cominciò a muoversi lentamente, iniziando pian piano a sentire il disagio iniziale trasformarsi in qualcosa di più diverso e piacevole, più simile al calore avvertito poco prima. “Va tutto bene?”

Gaetano annuì, strappandogli un bacio. “Va tutto bene” mormorò, facendogli poi un sorriso. “Lo senti anche tu questo strano caldo qui sotto?”

“Sì” annuì Salvatore “Ti piace?”

“Tantissimo. Non... non smettere. È tutto così... bello”.

Si morsero le labbra quando la sensazione di piacere divenne troppo forte, dal non poter più essere trattenuta e dopo l’orgasmo, quando il ritmo dei loro cuori si fu calmato abbastanza da permettere loro di respirare normalmente, si abbracciarono per restare ancora l'uno accanto all'altro.

“Gaetano, le vedi le stelle?” Salvatore indicò il cielo buio con un dito, muovendo poi la mano come a disegnare le stelle che lo illuminavano.

“Sì”.

Strinse Gaetano a sé, baciandolo fra i capelli. “Loro ci guardano e ci proteggono. Per loro non stiamo facendo nulla di male”.

Lo sentì sospirare piano. “Raccontami una storia, Salvatore. Una storia con le stelle”.
Sasà ci pensò su un attimo, prima di cominciare a parlare. “Le stelle... le stelle sono le case degli angeli. Dio le ha create per farceli andare ad abitare, così possono vedere quello che succede qui”.

Gaetano strofinò il naso contro il suo collo.

“E ogni volta che c'è un angelo nuovo, Dio crea una nuova stella” continuò Salvatore.

“E le stelle cadenti, allora? Le case degli angeli si muovono?” Si sentiva un bambino, ma non riusciva a fare a meno di quei racconti che avevano il potere di rassicurarlo. Gli girava ancora la testa per quello che lui e Salvatore avevano fatto, quasi non riusciva a credere di essere nudo e abbracciato stretto al suo migliore amico, quello con cui era cresciuto e del quale si era scoperto innamorato.

“No. Sono gli angeli che le cavalcano e giocano ad inseguirsi fra di loro” ridacchiò Salvatore.

“Mi piace. Anch’io voglio cavalcare una stella” confessò Gaetano “Mi... mi è piaciuto quello che abbiamo fatto. E a te?” Sembrava incerto, come se avesse paura che adesso lui potesse respingerlo o prenderlo in giro.

“Anche a me” lo rassicurò l’altro, accarezzandogli i capelli “Senti, forse però è meglio che ora torniamo a casa, che se ci addormentiamo qui, domani finisce che ci svegliamo con le ossa rotte”. Sotto di loro c'era solo il legno duro della barca, ricoperto da qualche sacco di canapa e dai loro vestiti stropicciati.

“Mh, non voglio andare via” mugolò Gaetano con un piccolo sbadiglio che tradiva la sua stanchezza.

“Ci rivediamo domani sera, dai! Io, te, le stelle e la luna”. Gli sorrise e lo baciò sulle labbra, aiutandolo a rivestirsi. Percorsero la strada per tornare a casa tenendosi per mano, girandosi però continuamente per guardarsi alle spalle per la paura di poter essere scoperti. Sulla soglia di casa, Salvatore lo salutò con un abbraccio e Gaetano rimase a guardarlo finché non lo vide arrivare all'angolo della via dove abitava. Prima di rientrare alzò gli occhi al cielo e scorse una stella cadente, la terza che vedeva quella sera.

Mentre Gaetano e Salvatore si amavano, gli angeli giocavano ad inseguirsi sulle loro stelle.

L'arrivo in paese di zio Nicola, coincise con l'inizio delle dicerie che serpeggiavano sullo strano rapporto che legava Gaetano e Salvatore. Nonostante i due ragazzi stessero attentissimi a non isolarsi troppo dai loro amici o si guardassero furtivamente intorno prima di concedersi una stretta di mano, successe che un giorno Concetta, la figlia minore del fornaio, li vide da lontano mentre si scambiavano un bacio a fior di labbra. Agli occhi di Concetta non c'era niente di male in quel gesto, ma quando lo raccontò a tavola, sua madre s’infuriò e le diede un ceffone, dicendole che inventarsi quelle cose immorali, era da bambini maleducati e che non avrebbe mai dovuto ripetere una cosa simile davanti a nessuno. La bambina però, non era stata l'unica a notare il comportamento ambiguo di suo fratello e Salvatore. Fu forse a causa della sua scoperta, che suo padre cominciò ad osservare molto più attentamente i movimenti di suoi figlio maggiore e le sue frequentazioni. L'uomo si accorse che ogni sera Salvatore veniva ad aspettare l'amico di fronte al negozio e che, ogni volta che lo vedeva, sembrava fremere dalla gioia. Poi lo trascinava in un vicolo e sparivano per un buon quarto d'ora, per poi riapparire sulla strada principale con un'espressione diversa dipinta sul volto e continuando a ridacchiare come se nascondessero chissà che segreto. In un paesino così piccolo, le dicerie non ci mettevano nulla a diffondersi. Il fatto che il figlio di Donna Carmela, potesse essere afflitto dalla stessa malattia dello zio e che avesse contagiato in qualche modo anche Gaetano, era una notizia preoccupante, ma al tempo stesso succulenta, per tutte le pettegole che non vedevano l'ora di avere qualcosa di cui sparlare mentre recitavano il loro rosario quotidiano. Improvvisamente, e senza alcuna spiegazione, Donna Carmela si vide revocare la commissione dell'abito da sposa della figlia della signora Grasso, moglie del farmacista. Non ci volle molto a capire, che il motivo era proprio a causa di tutte le dicerie attorno al comportamento di suo figlio. La donna non sapeva nulla di quello che stava succedendo e credeva solamente che la ricca famiglia del farmacista avesse deciso di comprare l'abito già pronto, in una sartoria di Catania, visto che potevano permetterselo. Il lavoro però iniziò a mancarle, perché nessuno in paese sembrava aver voglia di farsi cucire neanche un solo bottone dalla donna.

Zio Nicola arrivò in paese il 17 d’agosto, con la corriera delle dieci e mezza che aveva preso alla stazione di Catania. Non aveva avvisato nessuno che sarebbe tornato, così, quando la sorella se lo ritrovò di fronte, quasi nemmeno lo riconobbe, urlando di gioia e abbracciandolo stretto solo in un secondo momento. I due fratelli non si vedevano da anni, e i loro contatti erano consistiti soltanto in cartoline e lettere spedite per le feste comandate. Zio Nicola era andato a vivere a Roma subito dopo la fine della guerra e, in quell’occasione, si era mormorato a lungo della sua relazione peccaminosa con un soldato americano venuto a liberare la Sicilia dai nazisti. Nessuno sapeva se questa storia fosse vera, ma, come nel caso di Gaetano e Salvatore, amavano tutti ricamarci sopra, al punto che all'epoca si era sospettato addirittura che zio Nicola, fosse conteso da un soldato americano e da un tedesco. A Roma, zio Nicola aveva un negozio di abbigliamento e “se la passava sicuramente bene” per dirla tutta, come aveva commentato la sorella. Il suo abbigliamento era sempre elegante e raffinato, del tutto diverso da quello semplice degli abitanti del luogo. La domanda che serpeggiava fra tutti, era se don Nicola fosse guarito e dunque se era tornato al paese per restarvi, o se sarebbe tornato a Roma, a vivere la sua vita nel peccato. Sasà aveva ricordi vaghissimi dello zio, ma si trovò subito bene con lui, passando ore e ore, a farsi raccontare di Roma e di tutto quello che l'uomo faceva nella Capitale. Riferiva poi tutto a Gaetano, che prontamente si divertiva ad inventare come sarebbe stata la loro vita se mai fossero andati a vivere nel continente.

Il ritorno di zio Nicola, non aveva comunque fermato le chiacchiere su Gaetano e Salvatore. I due ragazzi, perduti nel loro mondo fatto d'amore e di piccole scoperte quotidiane l'uno sul conto dell'altro, nemmeno si erano accorti che i loro amici li guardavano in modo strano, quasi con timore.  Non avevano mai avuto il sospetto, che qualcuno avesse potuto scoprire qualcosa su di loro, tranne una domenica, quando Don Mimmo, durante la Messa, aveva predicato a lungo, contro coloro che vivevano nel peccato della lussuria, abbandonandosi ai comportamenti immorali di Sodoma e non mostrando alcuna intenzione di pentirsi.

“Dici che parlava di noi?” chiese Salvatore a Gaetano quella stessa sera, mentre erano abbracciati seminudi dentro la barchetta.

“No! Chi glielo avrebbe detto, scusa?”

“Sembrava furioso, hai visto? Gli occhi gli uscivano quasi dalla testa”.

“Se sapesse com'è bello amarci come ci amiamo noi, sono sicuro che cambierebbe idea” commentò l’altro, con un sorriso.

Tuttavia a Sasà rimasero i dubbi e, appena rientrato a casa, chiese a Zio Nicola il permesso di potergli parlare e gli raccontò tutto. Lo zio cercò di calmare il ragazzo e gli assicurò che il giorno dopo avrebbe preso provvedimenti in loro favore.

La passeggiata domenicale di zio Nicola, non era senza meta: già mentre Salvatore gli raccontava tutto quello che era accaduto, in mente gli erano tornati vecchi ricordi che pensava di aver cancellato, ma che invece erano solo nascosti in fondo al cuore. Un tempo lui e il fornaio, Don Alfio, erano stati amici, almeno quanto lo erano adesso Gaetano e Salvatore, poi l'omosessualità di zio Nicola, aveva cambiato drasticamente le cose fra di loro, al punto che quando era partito per Roma, l'amico non era nemmeno andato a salutarlo. Zio Nicola sapeva che, anche a distanza di vent'anni, Don Alfio non aveva certo dimenticato il ribrezzo provato nell'apprendere le sue inclinazioni, ma era andato lo stesso a parlargli nella speranza che, almeno per amore del figlio, lo avrebbe ascoltato. Lo aveva trovato al bar del paese, a giocare a carte con degli amici e, molto gentilmente, gli aveva chiesto se potevano andare a parlare da soli da qualche parte.

“Io non ci parlo con quelli come te” era stata la risposta burbera.

L'uomo si era convinto solo quando zio Nicola gli aveva detto che si trattava di una cosa che riguardava suo figlio, solo allora lo aveva seguito fino al porticciolo, dove avevano potuto parlare con tranquillità. “ So di tuo figlio e di mio nipote” aveva esordito lo zio.

“Cosa gli hai fatto, per farlo diventare come te?” lo aveva aggredito Don Alfio, “E perché doveva fare comunella proprio con mio figlio?”

Tentare di spiegargli che Gaetano e Salvatore erano semplicemente innamorati sarebbe stato inutile, non rientrava nemmeno nel piano di zio Nicola, che negli anni aveva imparato a sue spese che non esisteva peggior sordo di quello che non voleva sentire. “Mio nipote non ha nessuna colpa di quello che è successo. Capita, ecco tutto. Ed è successo anche a tuo figlio”, aveva replicato pacatamente.

“Mio figlio non è come quel... come quell'animale” era stato il commento sprezzante di Don Alfio.

“Anche mio padre la pensava allo stesso modo. Poi però sono andato a Roma”. Mentire era stata la cosa più difficile: non avrebbe mai voluto rinnegare ciò che ancora era e che mai sarebbe cambiato della sua personalità, ma quella bugia era stata necessaria per sistemare le cose. “A Roma ci sono i dottori, quelli veri, che possono farti guarire”.

A quelle parole il padre di Gaetano aveva iniziato ad essere interessato al suo discorso. “Vuoi dire che tu...”. Aveva la faccia di chi è felice di sapere che qualcuno, dopo aver passato un brutto periodo legato ad una malattia, era riuscito a sconfiggerla, e quell'espressione ferì profondamente zio Nicola, il cui pensiero era andato subito a Gianni, l'uomo con cui viveva a Roma.  Era profondamente ingiusto dover nascondere come stavano le cose, ma tanto, nessuno al paese, sarebbe mai venuto a conoscenza della verità, ed era piuttosto probabile che, saputo della sua guarigione, tutti sarebbero tornati a rivolgersi a lui come ad una persona normale. “Sì, ci sono diversi medici che si occupano di queste cose. Basta parlare un po' con loro. Se vuoi, posso occuparmi io di tuo figlio.” Aveva trattenuto il fiato, credendo che quella proposta fosse fin troppo esagerata. Ma, evidentemente, per Don Alfio, ciò che contava di più era liberare suo figlio dalla contaminazione della malattia, al punto da accettare su due piedi di affidarlo ad un uomo con il quale non parlava da vent'anni. 

“Davvero lo faresti?”

Aveva annuito con aria seria. “Certo. Al giorno d'oggi, la medicina fa davvero miracoli. Lo farò per mio nipote e, se me lo permetterai, anche per tuo figlio. Inizialmente non capirà, ma poi saprà che lo stai facendo solo per il suo bene”.

Probabilmente, chiunque si sarebbe reso conto che quel discorso non aveva molto senso, ma a Don Alfio, con la tipica mentalità di chi crede di sapere tutto del mondo, anche se non è mai andato fuori dal suo paesino di mare, pareva che tutto quadrasse perfettamente. Gaetano era malato, e quindi aveva bisogno di essere curato. Pareva quasi felice di sapere che l'onore di suo figlio poteva essere salvato, in qualche modo, e aveva persino ringraziato zio Nicola per essersi offerto di pagare le eventuali spese da sostenere. Nemmeno Sasà, riusciva a credere che Don Alfio avesse ceduto così facilmente all'invito di zio Nicola. Anzi, pure a lui venne il dubbio che l'uomo avesse davvero in mente di portare lui e Gaetano da qualche medico. “Zio, ma veramente vuoi che ci curiamo?” chiese, quando questi terminò il suo racconto. La sua voce era un po' delusa, come se si sentisse tradito dall'unica persona che poteva comprenderlo.
L'uomo scoppiò a ridere e gli diede un buffetto sulla guancia. “Ma certo che no, scimunito!” commentò, prendendolo bonariamente in giro “Era tutta una barzelletta che ho raccontato a Don Alfio, per convincerlo a far venire suo figlio con noi!
Sempre che tu voglia venire!”

Salvatore si sentì arrossire per l’ingenuità, dettata dal fatto che ancora non avesse ben chiaro di chi potesse fidarsi e di chi no. “Sarebbe... sarebbe bello”, ammise “così, io e Gaetano...”. In una grande città come Roma sarebbe stato tutto molto diverso e, nonostante l'idea di lasciare il suo paese e di non rivedere più sua madre e i suoi amici gli straziasse il cuore, la cosa lo affascinava moltissimo. “Dobbiamo dirlo alla mamma, vero? Di me e Gaetano, intendo”. In tutti quei mesi Sasà non aveva fatto altro che pensare a come sua madre avrebbe preso la confessione della sua omosessualità. Dentro di sé sperava che non avrebbe avuto la stessa reazione del padre di Gaetano, perché aveva visto che con zio Nicola si comportava in maniera normale, come se per lei non fosse un problema la sua diversità. Eppure aveva lo stesso un po' di timore e avrebbe voluto rimandare il più possibile il momento della verità.

“Sì, glielo dobbiamo dire prima di andarcene, altrimenti con che scusa ti porto via con me?”

A cena Sasà non riuscì a mangiare nulla per l'eccitazione e la tensione che gli annodavano lo stomaco e la notte non riuscì nemmeno a dormire, aspettando con impazienza che si facesse giorno. Non appena vide il cielo schiarirsi, si affacciò alla finestra per aspettare di vedere il padre di Gaetano andare a lavorare e sua madre uscire per fare la spesa al mercato, poi si precipitò in strada andando a tempestare la sua porta di pugni impazienti. Il cuore gli batteva forte, ma stavolta per la felicità.

“Ehi, Sasà, che succede?” gli chiese Gaetano vedendolo così contento.

Lui lo abbracciò, stringendolo forte e poi lo baciò sulle labbra, incurante del fatto che fossero in mezzo alla strada.

“Vieni dentro, se ci vede qualcuno, siamo nei guai!” disse con voce severa, afferrandolo per un braccio e facendolo entrare in casa.

“Non ci fa nulla se ci vedono, Gaetano. Zio Nicola ci porta via, non abbiamo bisogno di fuggire con la barca come avevamo pensato.  In quel momento a Sasà sembrò che zio Nicola fosse quel mare di cui Gaetano aveva parlato il giorno prima, e ogni paura fu spazzata via man mano che raccontava al ragazzo tutto quello che l'uomo aveva intenzione di fare per loro. Zio Nicola era il mare che li avrebbe condotti dove finalmente sarebbero stati al sicuro.

A Roma non c'era il mare, e vedere le stelle era più difficile, perché si confondevano con le luci artificiali dei lampioni, ma andava bene così. Salvatore e Gaetano passavano ore rannicchiati contro la ringhiera del minuscolo balcone della casa di zio Nicola col naso insù a cercare le stesse stelle che avevano visto quando stavano accoccolati dentro la barchetta, giù in Sicilia. Andarsene non era stato così facile come avevano creduto inizialmente. Sasà aveva pianto per ore fra le braccia della madre dopo averle confessato la sua storia con Gaetano, e non avrebbe mai voluto sciogliersi dal suo abbraccio che lo faceva sentire protetto. Gaetano invece aveva ricevuto dal padre l'ordine di non raccontare a sua madre il motivo della sua partenza, perché Don Alfio voleva spiegare personalmente alla moglie che il figlio era malato e rassicurarla sulla sua sicura guarigione. Avevano viaggiato quindici ore in treno prima di arrivare a Roma. Era stato un viaggio strano, malinconico, entrambi non avevano aperto bocca mentre zio Nicola raccontava loro quanto fosse differente Roma da qualsiasi posto avessero visto prima di allora nella loro vita. Avevano cercato di farsi forza tenendosi timidamente per mano quando nessuno poteva vederli e dormendo schiacciati nella stessa cuccetta, respirando ognuno l'odore dell'altro per non sentirsi troppo sperduti. Una volta arrivati a Roma, le loro vite erano cambiate totalmente: zio Nicola e il suo compagno li avevano iscritti alla scuola superiore, insistendo perché prendessero il diploma anche se con qualche anno di ritardo.

E così, mentre il padre di Gaetano, giù in Sicilia, credeva che il figlio si stesse curando, la madre di Salvatore sapeva che entrambi erano felici, avevano avuto l’opportunità di studiare con profitto e finalmente Salvatore iniziava ad avere la possibilità di trascrivere tutte le storie che aveva raccontato a Gaetano nel corso degli anni. Riempiva quaderni su quaderni che Gaetano divorava avidamente, dimostrandosi un lettore appassionato e spingendolo a scrivere sempre di più. Solo a vent'anni ebbe il coraggio di scrivere un vero romanzo, che venne pubblicato da un piccolo editore a tiratura limitata, ma che per lui fu comunque un grande successo personale. A volte entrambi avevano nostalgia di casa, specialmente Sasà, mentre per Gaetano era stato inizialmente un po' difficile riprendersi dallo shock di aver dovuto affrontare le ire di un padre che lo considerava un malato della peggior specie. Sapevano che con molta probabilità tutti in paese erano a conoscenza della loro storia, perché la loro improvvisa fuga aveva di certo confermato le voci che circolavano sul loro conto, ma cercavano di non curarsene più di tanto. C'era voluto tanto tempo, ma le ferite si erano rimarginate, anche grazie all'amore di Gaetano e all'affetto di zio Nicola e di zio Gianni, che trattavano entrambi come se fossero stati loro figli. Dopo il diploma Salvatore, che aveva sempre amato studiare, decise di iscriversi all'università, lavorando in un bar tutte le sere per potersi permettere di pagare le tasse e i libri, mentre Gaetano entrò a far parte di una squadra di calcio professionista che prima gli garantì un posto di lavoro come giocatore, e poi gli propose di allenare la squadra di bambini gestita dalla stessa società.

Passarono anni, precisamente dodici, prima che rimettessero piede in Sicilia.

Il padre di Gaetano, nel frattempo, era morto anche lui durante una tempesta in mare, come il padre di Sasà. In quell'occasione, Gaetano confessò alla madre il vero motivo per cui era andato a vivere a Roma e le presentò Salvatore come suo compagno e non più soltanto come l'amico e compagno di giochi di una vita. Gaetano ebbe finalmente l'opportunità di spiegarle che non poteva esserci guarigione per malattie che non esistevano e le chiese perdono per averle mentito per tutti quegli anni, ritrovando così il calore di un abbraccio materno che tanto a lungo gli era mancato.

Passarono gli anni, ma le stelle erano sempre lì, anche se a Roma non brillavano come al paese. Ogni anno, in estate, gli angeli continuavano a giocare tra di loro, scivolando giù per il cielo sulle loro stelle, ma Gaetano e Salvatore avevano ormai la certezza che, anche se ne avessero scorta una per caso, non avrebbero avuto più alcun desiderio da esprimere perché avevano tutto ciò che potevano desiderare.

7 commenti:

  1. Tenera storia d'amore..Sasà e Gaetano.credendo di vivere nel peccato..non possono fare a meno di seguire il proprio cuore.."Se stiamo sbagliando,finiremo all'inferno insieme""Raccontami una storia,Salvatore.Una storia con le stelle"..due frasi bellissime,che vanno dritte al cuore.
    Ti pongo una domanda,puoi anche non rispondere..
    A parte due/tre racconti ,letti fino a questo momento...ho notato una vena malinconica ,non pensi che il messaggio che vuoi mandare ,possa arrivare dritto al cuore ,anche se scritto con ironia?

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  2. Sì, assolutamente. Concordo con te Romy, ma purtroppo non ho una grande vena ironica (non ce l'ho proprio) ogni tanto compare ma non è da spisciarsi sotto dalle risate. Non è nel mio sangue. Dovrei, me ne rendo conto, svilupparla maggiormente. Grazie per i tuoi commenti sempre costruttivi!

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  3. Io veramente la vena ironica in alcuni racconti l'ho trovata..mi piace molto come scrivi e la fantasia non ti manca.
    P.S Non era una critica la mia,eh?E' che da lettrice accanita(ormai te ne sarai accorto)chiedo solo per curiosità =)

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  4. Grz. Apprezzo veramente il vostro aiuto. Sono commosso. Mio marito ha detto che finalmente sono riuscito a far capire la mia vena romantica. Lui è così dolce e io così contento per i vostri commenti. Grazie. Dal profondo del cuore.

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  5. Dalle bellissime cose che scrivi si capisce davvero quanto tu sia romantico, e' stupendo che lo sia un uomo, anzi due...tu e il tuo dolce marito.

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  6. Di questo racconto ho amato diverse cose, innanzitutto il sapore della terra d'origine della mia famiglia e poi il modo in cui hai saputo descrivere l'amore puro e meraviglioso di due ragazzi inesperti, giovanissimi. Ho letto moltissime scene d'amore nei libri che amo, sia MM che MF e quella che hai scritto tu mi ha molto colpita perché nella sua semplicità senza essere troppo esplicito hai saputo emozionarmi. Un saluto speciale al tuo dolce marito spagnolo!

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