Sono a casa di mia madre, seduto sul divano, mentre lei gioca con le sue nipotine al mio fianco. Guardo tutte e tre, e la mia mente ritorna indietro di decenni, senza muovermi di un centimetro dal divano, ripensando a quanto è accaduto nel passato, proprio su quel sofà.
Avrò avuto otto o nove anni e mi ricordo che adoravo saltarci sopra. Lo usavo anche per sedermici, soprattutto quando mia nonna mi raccontava di quando era scappata da casa, quando era giovane, per andare a vivere con l'uomo che amava perché i suoi genitori non accettavano il loro rapporto. A volte, mentre faceva l'uncinetto, mi raccontò altre storie interessanti: su una guerra che mi sembrava lontana, con mio nonno condannato in carcere dal regime e poi graziato all'ultimo momento, o di come cercavano di sopravvivere con un bambino di pochi mesi, profughi emigrati in un paesello sulle montagne dell’Emilia. Anche se, quello che mi ricordo di più, è il tempo che trascorrevano a leggere la Bibbia ogni giorno dopo il ritorno da scuola. Mi ricordo che mi sembrava un tempo eterno, perché volevo solo finire presto per andare fuori a giocare con i miei amici.
Qualche anno dopo, poco più che un bambino, ero seduto con mio padre a vedere una partita della nazionale di calcio. Ricordo di come saltammo entrambi per festeggiare la vittoria della finale con la Germania, di come c’eravamo abbracciati per la gioia, e di come non riuscivo a smettere di guardare il corpo del giocatore che si era tolta la maglietta e l’aveva gettata ai tifosi della tribuna. Sapevo che quel pensiero, non so come, non avrei potuto condividerlo con mio padre. E, inconsciamente, ho mantenuto questa decisione che avevo preso da piccolo, anche quando anni dopo ho visto mio padre, consumato dal cancro, seduto su quel divano. Eravamo lontani l’uno dall’altro a quel tempo, ma non abbastanza da sapere che dovevo stargli vicino, nel momento in cui la Fede aveva un flebile significato.
Due o tre anni più tardi, un giorno d'estate, lo so perché mia madre mi fece indossare la maglietta prima di uscire, andai a giocare con mio cugino di fronte a casa. I campi e gli aranceti furono sradicati due decenni più tardi per costruire case che ora sono vuote, mentre molte famiglie in debito fino al collo sono senza casa. Nel campo, abbiamo trovato un alveare, prendemmo una pietra e scommettemmo su chi di noi avesse più mira. La scommessa la vinsero le api sfrattate, sulla mia schiena ancora giovane. Quando tornai a casa, mia madre e mia nonna misero un lenzuolo sopra il divano, mi sdraiarono su di esso e cercarono di curare la mia pelle dolorante con un unguento di erbe medicinali. Sono stato in quella posizione per un po', guardando alla televisione il programma dei bambini con i miei fratelli. Al termine, anche se mi lamentai, non riuscii a risparmiarmi la lettura quotidiana della Bibbia. Proprio quel giorno, lo ricordo come se fosse ieri, su quel divano, ho sentito per la prima volta la parola “omosessuale”. Mamma stava leggendo una delle lettere di Paolo, e lui diceva molto chiaramente che gli omosessuali non possono andare in paradiso. Mia madre ci spiegò con le sue parole quanto fosse terribile essere omosessuale. Nemmeno nei suoi peggiori incubi, avrebbe immaginato di averne uno, seduto proprio di fronte a lei. Di quel momento mi ricordo che il dolore alla schiena venne sostituito da un dolore al cuore, e della grande paura che qualcuno scoprisse che io ero uno di quei degenerati.
Nei primi anni novanta andai all’università in una grande città. Quando il fine settimana ritornavo a casa dai miei genitori, potevo rilassarmi sul divano e leggere qualcosa d’interessante, ho scoperto dei libri che non solo hanno salvato la mia fede, ma probabilmente anche la mia vita: Bonhoeffer, Bultmann, Moltmann e Barth, hanno aperto i miei occhi e vedere gli effetti disastrosi di come il bigottismo avesse offuscato la mia comprensione di Dio, della Fede, dell'uomo e anche di me stesso. Lì, sul divano, tutto quello che mi era stato insegnato fin dall'infanzia sul cristianesimo, andò in frantumi. Tutto tranne una cosa: che l'amore vero, quello verso il prossimo, verso colui che abbiamo accanto, è la sintesi del Vangelo. E anche se suona terribile, il primo prossimo che dovevo imparare ad amare, era proprio me stesso. Nonostante tutto questo, ho avuto bisogno ancora di parecchi anni, prima di sedermi di fronte a mia madre, sempre su quel divano, e confessarle che ero omosessuale. Solo chi è passato in questa mia stessa situazione, può capire che cosa significa, solamente noi possiamo comprendere lo spazio infinito di separazione che si apre in quel momento, tra due persone che si amano. L’omofobia distrugge tutto al suo passaggio, anche il rapporto con una madre, con un padre o con i propri fratelli.
Ma c'è qualcosa contro cui l'omofobia non può avere vittoria: l’amore. Questo me l’hanno insegnato le persone come mia madre. Certo non è stato facile, ho avuto tutti contro: la sua comprensione della Bibbia, l'educazione omofoba e sessista che aveva ricevuto, le pressioni di altri cristiani o anche di altre persone della famiglia che la incoraggiavano ad allontanarsi me. Alcune persone, come mia madre, sono capaci di scendere fino all'inferno, pur di mantenere l’amore per i suoi figli. Mi chiedo ancora oggi, come potrei sottovalutarla, ci sono cristiani come lei che sanno che l'amore è sempre più importante della dottrina. E non solo loro sanno, ma sono in grado di metterlo in pratica. Partendo proprio dall'amore, cominciò a prendere provvedimenti per comprendermi, forse non così velocemente come avrei voluto, probabilmente non nel modo in cui pensavo fosse più appropriato... in realtà l’ha fatto a modo suo, anche se l’ho aiutata con qualcuno dei miei “spintoni”.
Ci sedemmo nuovamente su quel divano, chissà quante volte ci siederemo ancora. Lo feci quando le presentai il mio compagno, non molto tempo dopo averle confessato la mia omosessualità, quando siamo andati a casa e ci sedemmo in tre sul sofà. Da quel giorno lo trattò come un figlio. Un’altra volta, qualche anno dopo, quando ci sedemmo sul divano e le comunicammo la notizia che ci saremmo sposati in Spagna. Ha capito subito che questo avrebbe significato una frattura familiare, ma non ha esitato un attimo a mettersi al nostro fianco. Ed era al mio fianco, contro ogni previsione, seduta accanto a me in comune il giorno del nostro matrimonio, sapendo che la maggior parte di chi aveva intorno, avrebbe condannato quello che stava facendo. L’ha fatto con convinzione, pur non sapendo esattamente se fosse corretto, ma solo per amore. E per mezzo dell’amore, in seguito ha compreso che aveva fatto bene. Infine sul divano ci siamo seduti quando le abbiamo portato la nostra prima figlia, e quando le abbiamo portato la seconda. Quel giorno ero seduto sul divano proprio dove mi trovo ora. Ricordo di aver visto la paura sul suo viso, quando le ha prese in braccio, ma è stato solo un attimo, comprese subito che quelle due bambine erano le sue nipotine. Nipotine che, come mia nonna a me, ha educato nell'amore di Dio.
E' tardi, e dobbiamo andare, le mie bambine non vogliono andare e si lamentano un po', mia madre dà loro un bacio e le saluta: "Fate le brave e curate i vostri due papà".
La frase mi fa sorridere, lei mi guarda e mi chiede: "Che hai da ridere? Dio sa, quello che stai pensando!"
Le mento e le dico “A niente”, ma conosco il tempo che c’è voluto per essere in grado di fare un commento tanto semplice come questo. La strada è stata difficile, ma l’abbiamo condivisa, un percorso in cui la fede e l'amore sono stati messi alla prova, mettendoci seduti, come qualsiasi altra famiglia, sul divano della sala da pranzo.
"Un bacio figlio mio, ti amo".
Commovente. Sembra vissuta.
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminaConcordo con anonimo..sembra una storia vera..
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