mercoledì 31 luglio 2013

LA MASCHERA



Cominciavo ad agitarmi incavolato.
Erano già le dieci e trenta di sera e ancora Luca non si era visto al locale. Ci eravamo dati appuntamento direttamente sul posto.

Carnevale.
Odio il carnevale.

La gente si vuol divertire di più a carnevale, come se fosse una giornata diversa dalle altre. Un normale sabato dell’anno, uguale a tutti gli altri sabati, per il quale la gente impazzisce. Solo per il fatto che apre le porte alla Quaresima. Io poi non sono neanche un credente.

Non è vero.
Credo in Dio ma non nella Chiesa. E’ diverso.

Comunque non divaghiamo.
Stavo aspettando Luca, il mio ragazzo. Dovevamo vederci alle dieci direttamente al Bear Pub. Erano le dieci e trenta e ancora non era arrivato. Mi aveva mandato un SMS, è vero, dicendomi che avrebbe tardato un pochino. Ma la cosa mi infastidiva, ci vedevamo talmente poco durante la settimana, che ogni attimo senza la sua compagnia mi pesava come un macigno sul cuore. Decisi di prendere una birra per ingannare l’attesa. Mi avvicinai al bancone del bar e feci la mia ordinazione. C’era un ragazzo al mio fianco. Bel fisico. Molto simile a quello di Luca ma aveva un tatuaggio al polso e lui odia i tatuaggi. Portava una maschera sul volto e un cappellaccio calato sulla testa. Era una di quelle maschere bianche, senza lineamenti, senza segni. Abbastanza inquietante.
Mi fece un cenno di saluto con la testa.
Alzai la mano in un gesto di saluto.

“Sei carino” affermò con la voce ovattata dalla maschera che portava sul viso.

“Grazie, non posso dire altrettanto di te, visto che non vedo il tuo volto”.

Non era un invito a togliersela, comunque non lo fece: “Ho promesso al mio amico laggiù che non l’avrei tolta per tutta la sera, me l’ha regalata lui” si scusò, facendo un gesto con il pollice della mano sulla spalla.
Feci spallucce ma gli sorrisi.

“Sei solo?” mi chiese.

“Sì. Ma sto aspettando il mio ragazzo”.

“Peccato. Potevamo farci una sveltina nel bagno o nella dark room”.

“Non è proprio il caso, grazie” conclusi un po’ freddo.

“Ti sei arrabbiato? Guarda che voleva essere un complimento” mi disse piccato “Scusami se ti ho offeso. Il fatto è che sei molto carino” allungò un dito percorrendomi la linea del mento.

Mi allontanai istintivamente: “Grazie, ciao” poi presi la mia birra e tornai al mio tavolino che per fortuna nessuno aveva occupato.
Dopo qualche attimo, il ragazzo si sedette alla sedia che avevo di fronte. La maschera sul volto mi metteva a disagio.
Lo guardai con un tono di sfida: “Non avevi un amico laggiù?” indicai con un gesto del mento.

“Sei proprio incazzato, vedo” constatò “Guarda che non ti volevo mangiare. Ti ho solo detto che sei carino”.

“Se non ti spiace quello è il posto del mio ragazzo” cominciava a darmi sui nervi.

“Bene” disse laconico.

“Bene cosa?” chiesi stupito.

“Bene che sia del tuo ragazzo. Quando arriva glielo lascio” incrociò le braccia sul petto.

“Ma ti si è fuso il cervello? Sei italiano? Capisci la mia lingua?”

“Certo”.

“Cosa non capisci dunque del fatto che non ti voglio al mio tavolo?”

“Perché?”

“Perché quella sul quale hai posato le tue chiappe, è la sedia del mio ragazzo. R. A. G. A. Doppia Z. O. E dovrebbe essere qui a momenti. Quindi sarebbe il caso che tu te ne vada.” accompagnai l’affermazione con il classico gesto della mano, affinché fosse ancora più chiara la mia richiesta. Più chiaro di così.
Incrociò le braccia sul tavolino e si appoggiò.

“Come si chiama?” mi chiese.

“Chi?”

“Il tuo ragazzo”

“Marco.” Mentii, ma stavo veramente arrabbiandomi “Te ne vuoi andare per favore? Comincio ad incazzarmi”.

“Bugiardo”
Maccheccaz…. Non sono un buon bugiardo, è vero, ma come faceva a saperlo lui?

“So benissimo che non si chiama Marco. Si chiama Luca.”

Aprii la bocca sbalordito ed ero combattuto sul fatto di andarmene oppure di tirargli un pugno in faccia.
Lui rise.

Riconobbi la risata. “Sei proprio un deficiente” gli dissi “stavo per prenderti a pugni”.
Lui si tolse la maschera e il cappello e vidi il bel volto del mio compagno che se la rideva di gusto. Mi dimenticai immediatamente del suo ritardo.

“Ci sei cascato come un pollo. Sono stato più di un quarto d’ora al bancone aspettando che arrivassi a prendere la consumazione!”

“E questo?” chiesi indicando il tatuaggio.

“Me l’ha fatto Giulia col suo eye-liner” passò un dito sul polso e le linee sbavarono il colore.

“Sei proprio uno scemo. Giuro che ti stavo prendendo a pugni”.

Lui ridacchiò sempre più divertito: “Meno male che non hai risposto alle avances, almeno sono sicuro che mi sei fedele”.

“Lo sai che ti amo” gli dissi allungandomi per un bacio.

“Ti amo anch’io, stupidotto” ribattè prima di baciarmi.

Lo guardai divertito e con una punta di malizia lo stuzzicai: “Be’, c’è sempre la proposta della dark room. Ora sono autorizzato ad andarci col mio vero ragazzo”.

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