Mi svegliai in un letto di ospedale.
Avevo un apparecchio collegato in qualche modo al mio corpo. Sentivo dolore. Tanto dolore. Grazie a Dio, sentivo ogni mia parte del corpo. Muovevo i piedi. Le mani, le gambe, il collo, la testa. Ogni mia parte del corpo rispondeva debitamente ai comandi del mio cervello. Non ero paralizzato. Ero in qualche modo sano. Non proprio in forze, ma sano. Aprii gli occhi nella penombra della stanza e mi ritrovai in questo letto estraneo. Non era il mio letto matrimoniale, non era la mia camera. Giulio! Dio mio!!! Pensai subito a lui, al mio compagno. Se avevamo avuto un incidente, poteva essere morto. Non ricordavo nulla di quanto era accaduto. Giulio. Amore mio spero non ti sia successo nulla. No, Signore fa che stia bene, che sia sano e che non sia morto.
Sprofondai nuovamente in un’incoscienza indotta…
…
Riaprii gli occhi, quanto tempo era passato? Non so. Non ne avevo idea. Forse un giorno, forse due ore. Forse pochi minuti.
Il sole brillava nella stanza, entrava allegro dalla finestra aperta e batteva sulle coperte candide dell’ospedale. Sì, ero in ospedale. Nuovamente la mia mente tornò al mio compagno. Dio, ti prego, fa che non gli sia successo nulla. Lo amo, lo amo più della mia vita. Ero terrorizzato. Non ricordavo più nulla e poteva essere accaduto di tutto. Un incidente, un infortunio, poteva essere morto. Perché? Perché ora che avevo trovato l’uomo della mia vita, Lui avrebbe voluto portarmelo via?
Piansi, in silenzio. Nella mia stanza c’erano altre persone, uomini come me. I miei sentimenti non dovevano disturbarli. Mi sentivo in colpa e non volevo farlo trasparire.
Giulio, il suo sorriso. Il suo volto amorevole, il mio compagno che avevo scelto per la vita. Perso? Non potevo crederci.
Il peggio, era non poter ricordare quello che era accaduto. Sapermi in ospedale e non ricordare dell’incidente. Forse in auto? Forse una fuga di gas? O l’attacco di qualche omofobo che avesse ucciso il mio dolce compagno. Poteva essere accaduto di tutto e non avrei ricordato. La mia mente era assolutamente azzerata. Che sensazione orribile. Perché? Perché???
Svenni nuovamente, in una nebbia senza tempo e spazio.
….
Aprii gli occhi. Era notte. Una buia notte. Nessuno era venuto a trovarmi. Mi sentivo così solo. I miei genitori, il mio compagno. Dove erano. Forse ero morto e non lo sapevo. Forse questa era la morte: una sensazione di perdita continua senza poter vedere le persone che amavo. Sentirsi vivo, percepire tutte le sensazioni corporee e non poter sentire i tuoi parenti, il tuo amato compagno. Udivo un uomo russare accanto al mio letto. Un rumore gradevole, come un gatto che fa le fusa. Mi ricordava Giulio quando, dopo una giornata pesante, piombava in un sonno ristoratore. Un suono che amavo. Il suono di una persona che si fida di te e si addormenta al tuo fianco. Forse era lui? Poteva essere lui? Girai la testa verso l’altro letto. Il buio era pesante ma non riconobbi i suoi lineamenti. Non era lui. Non era il mio amato Giulio. Amore mio, quanto mi manchi dove sei? Dove sei, dolcissimo amore mio? Ricordai i momenti del nostro incontro. Il mare, il sole. Quella sensazione bellissima di noi due sulla spiaggia. La sua pelle. Il suo odore, il profumo del suo corpo. Dio, se sono morto perché tormentarmi così?
La nebbia mi avvolse nuovamente. Il buio mi coprì con la sua coltre pesante.
...
Sentivo delle voci, parlavano mormorando. Quasi per non disturbare. Non comprendevo le parole. Parole? Ho mai conosciuto le parole? Parlavo? Forse sì. Ricordo di aver detto “Ti amo”. A qualcuno. A un uomo. Il suo volto è sfuocato. Mamma? Papà? Sono vivo? Sono qui?
…
Luce. Luce che entra dalle palpebre chiuse ma che vedono il chiarore. Le aprii. Vidi un volto sorridente.
“Ti sei svegliato, finalmente!” sentii sussurrare.
Il volto di mia madre. Che bel volto! L’ovale del viso mi sorrideva. Gli occhi accesi da un’amorevole luce. Sono in Paradiso, pensai. Le sorrisi. Mamma! Quanto ti ho amata, ma non potevo parlare. La gola mi faceva male. Avevo sete. Sete! Acqua. Sì! Voglio acqua. Allungai la mano verso il comodino e un’altra mano mi porse una bicchiere di acqua. Mi volsi verso la persona che avevo all’altro fianco del letto e vidi il volto sorridente del mio uomo.
Giulio.
Le sue labbra mi baciarono le nocche delle dita.
Che bello vederti amore mio! Non potevo parlare. Qualcosa mi bloccava la laringe.
Mi porse un bicchiere con una cannuccia. Bevvi avidamente.
“Piano, piano, amore mio” disse.
Amore mio, pensavo di averlo perso ed invece era lì. Unico e solo amore della mia vita.
“Cuore mio, pensavo di perderti” mi confessò “invece ti ho ancora con me. Non sai quanto ti amo”.
Una lacrima gli solcò la gota fino alla barba lunga di un paio di giorni.
Mi voltai verso mia madre che sorrise.
Annuii. Non potevo parlare, ma sentii che in quell’istante ogni parola era un ostacolo alla nostra conversazione. Avevano capito ogni momento, ogni cosa di quanto poteva essere espresso a parole. Allungai la mano verso la nuca di Giulio, non ci arrivai. Lui si avvicinò alle mie e mi baciò con tutta la tenerezza possibile e ogni discorso del mondo, svanì nel silenzio del nostro bacio.
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