mercoledì 3 aprile 2013

VENTO TRA I RAMI

Porto scomodamente il nome di mio nonno materno, Patrick. Sempre meglio che Patrizio. Sono nato in suolo americano ma non sono statunitense, figlio di un aviatore italiano e di una ex-modella inglese. Mio padre ha voluto che seguissi le sue orme e dunque ho il brevetto di pilota. Però il mio ambiente naturale è la terra. Amo la terra, il profumo dei boschi, l’erba che cresce, le alte rocce montane e i fitti pascoli erbosi.

Sono nato in Colorado, ma per un errore di calcolo. I miei erano in viaggio per il lavoro di mio padre, mia madre ha subito il mio repentino cambio di umore e a otto mesi sono nato sulle montagne di Aspen. Forse è stata l’aria montana delle Rocky Mountains ad entrarmi nei polmoni che mi ha sempre fatto amare la natura sin da quando ero piccolo.

Ho passato la mia infanzia nella valle Padana, un piccolo paese alle porte di una grande metropoli. Mio padre era sempre in viaggio come pilota e poi un giorno scomparve improvvisamente. Mi dissero che un incidente aereo me lo aveva strappato, scoprii successivamente che si era spento in ospedale stroncato da un tumore. Una bugia indorata per farmi accettare la sua mancanza: se pensi a tuo padre come ad un eroe è più facile accettare la sua morte.

Ho conseguito il brevetto di pilota perché era come fare un regalo alla sua memoria, a questo uomo così importante per me, che mi aveva lasciato solo troppo presto. Quando seppi la verità, abbandonai tutto il mio passato: quello che dovevo a mio padre, gli era stato restituito. In quel momento sentii che avevo pareggiato i miei conti. Capii l’atteggiamento di mia madre e non ci fu un vero distacco, ancora oggi la sento vicina, malgrado sia ingrigita nei capelli, nei movimenti e nei ricordi.

Coi soldi dell’eredità acquistai una piccola fattoria in quella che reputo sia la regione italiana che più ricorda il Colorado. Ho una baita in alta montagna tra le cime del Cadore. La mia casa mi basta per affrontare i miei giorni: accolgo gente nel mio Bed & Breakfast, coltivo la terra e le mie bestie, ho un piccolo maneggio con cinque cavalli. Ne faccio cavalcare solo quattro; il mio cavallo, Denver, lo uso solo io.

La sera ci si riunisce nella “stube” con il grande camino dove scoppietta sempre il fuoco. Prendo la chitarra e suono vecchie ballate country, insegno anche qualche passo di Line Dance, ma giusto per tirar su il morale dei miei ospiti, dopo aver suonato “Darcy Farrow” e “Rhymes and Reasons”, ballate lente e tristi che fanno atmosfera ma anche tanta malinconia.

La vita fugge come accordi su un manico di chitarra, vivere è l’importante. Il mio ritmo me lo danno la luna e le stagioni: luna nuova, luna crescente, mezza luna, luna calante. Primavera dopo primavera, estate dopo estate e autunni e inverni pieni di neve e di lavori nascosti nella stalla e nella baita.

Ho quattro compagni di viaggio, un amico che è più di questo, e due manovali-amici: Joaquin arriva dalle pampas argentine, Pablo è spagnolo. Joaquin ha perso tutta la famiglia durante la dittatura: desaparecidos. Quasi come mio padre. Pablo è della grande meseta spagnola. Ha perso i genitori durante il governo franchista. Ha una sorella che abita a Zaragoza. Non voglio dimenticare la mamma di tutti noi maschietti, Reguina, di nome e di fatto. E’ la nostra balia, la nostra mamma, senza di lei saremmo in panne. Lei è nata qui, in queste valli. Ormai è anziana, ma ci tiene a bacchetta ancora come una volta. Prepara le nostre cene e i nostri pranzi. Ha una ricetta per ogni frutto della terra. I suoi strudel sono fenomenali, le sue pietanze sempre buonissime. I nostri ospiti sono entusiasti della sua cucina. Dio l’abbia in gloria e speriamo rimanga con noi per sempre.

A volte Joaquin guarda le alte cime delle dolomiti e mi parla della sua terra. Allora Pablo comincia a recriminare che anche in Spagna gli orizzonti sono vasti; io allungo quattro accordi sulla mia chitarra e nascono momenti indimenticabili davanti alle fiamme crepitanti del camino. Il mio amico-più-che-amico mi appoggia una mano sulla spalla e mi guarda intenso negli occhi, lui sa che io lo amo ed io so che sono contraccambiato. La sera ci sdraiamo nel letto e ci abbracciamo forte. Lui mi abbraccia stretto ed i miei muscoli indolenziti rispondono immediatamente con un brivido di piacere. Poi sento il suo respiro aumentare e scopro che si è già addormentato con il capo sul mio petto. Sono i momenti più dolci della mia giornata. La luna illumina la stanza senza persiane e percorro i muscoli delle sue braccia, poi mi addormento anche io, fino al mattino, quando il gallo Arturo rompe il silenzio con il suo canto stridulo.  

Alberto ed io siamo insieme da ventitre anni. Siamo una coppia non conforme agli schemi della Chiesa ma siamo fedeli l’uno all’altro; più di tante coppie etero che si sfasciano in pochi anni, se non in pochi mesi. Non abbiamo mai nascosto la nostra relazione: se ci accettate così, ben venga, se non ci accettate, sono fatti vostri. In tutti questi anni, non ho mai trovato nessuno che abbia fatto un commento negativo su di noi. Anche i nostri paesani, che sono chiusi in questa valle da una vita, non se ne fanno un problema e ci considerano amici fidati.

Voglio raccontarvi quello che accadde ventitre anni fa.

Era Ferragosto, avevamo pianificato la cosa da un pezzo ma non lo avevamo detto a nessuno. Abbiamo detto a tutti che avremmo festeggiato nella radura del Bosco Vecchio, proprio sopra i pascoli del Beppe Tagliola, dove le mucche salgono a trovare l’erba più tenera e a prendere il fresco dell’ombra durante le ore più calde del giorno. Ci siamo incamminati tutti insieme, io e Alberto per primi, poi Joaquin e Pablo con Reguina che andava piano per la salita. C’erano i nostri amici più cari: la famiglia di Toni Orsenigo, lui la moglie e i quattro putéi, i bambini come si dice qui; Carlo Spezzin e la moglie Teresa che camminava spedita malgrado il pancione di sei mesi; la sorella di Reguina con la figlia e il suo fidanzato e per ultimi arrivavano mia mamma con mia sorella Silvana e mio cognato Sergio. 

Quando siam giunti alla radura abbiamo trovato il Beppe Tagliola con la sua famiglia al completo. Avevano già steso delle coperte sull’erba. Suo figlio il giorno prima aveva tagliato il fieno e il prato era bellissimo, sembrava un giardino all’inglese. Il sole era caldo e il cielo appena puntato di qualche nuvoletta innocua. Abbiamo tirato fuori le nostre provviste, ognuno aveva portato qualcosa, e abbiamo messo tutto su un grande telo al centro della radura. Quando tutto fu pronto richiamai l’attenzione della compagnia e spiegai più o meno quanto segue:
“Cari amici e parenti, Alberto ed io vi abbiamo voluti riunire in questo giorno perché siete le persone che amiamo di più e con le quali condividiamo un rapporto di amicizia e di stima profonda. Desideriamo oggi, alla vostra presenza, presentare l’uno all’altro la nostra promessa e, visto che non possiamo farlo in chiesa ma crediamo entrambi in Dio, abbiamo pensato che farlo immersi nella natura, nella sua creazione, sia il modo migliore per poterlo fare”.

Il silenzio era quasi palpabile, sui volti dei nostri amici erano spuntati sorrisi e qualche lacrima d’affetto.

Guardai Alberto negli occhi e dissi:
“Alberto, sono venuto in questa che considero la cattedrale del Signore per prenderti come mio consorte, per unirmi a te davanti agli occhi di Dio e dei nostri amici, per prometterti il mio amore eterno da qui e per tutti i giorni della mia vita. Voglia Iddio accogliere e santificare la mia promessa”.

Il volto di Alberto si aprì in un grande sorriso e guardandomi disse:
“Patrick, sono unito a te ormai da parecchio tempo e ti amo profondamente. Immersi nella natura del nostro Creatore, alla sua presenza e davanti ai nostri amici e parenti, voglio prometterti di amarti per tutti i giorni della mia vita. Voglia Iddio accogliere e santificare la mia promessa”.

Alberto prese una scatolina dalla tasca laterale dei suoi pantaloni di tela e ci scambiammo le fedi.

Tutti quanti applaudirono e le donne presenti erano tutte commosse e piangenti. Anche il Beppe Tagliola era rosso come un peperone, disse che era per il caldo ma aveva gli occhi troppo lucidi e faceva fatica a parlare.

Sogniamo ancora il giorno in cui potremo sposarci in Chiesa, chissà che un giorno non possa capitare. Ma non è necessario, nei nostri cuori siamo sposati da quel Ferragosto di ventitre anni fa. Il giorno del nostro anniversario ritorniamo alla radura nel bosco dove ci siamo scambiati le fedi e rinnoviamo la nostra promessa l’uno all’altro. Il vento che passa tra i rami degli abeti riporta a Dio le nostre parole.

Nessun commento:

Posta un commento