Ero ragazzino e passavo le mie estati in un paesello sulle sponde del Lago Maggiore. I miei lettori storici lo sanno bene perché ne ho parlato a lungo. Pur essendo a circa 400 metri sopra il livello del mare, il caldo si faceva sentire; soprattutto nel mese di luglio. Il lago non era sempre raggiungibile, soprattutto per me dato che ero in vacanza con i miei nonni e quindi sotto la loro responsabilità. Ovviamente ci andavo spesso di nascosto, mettendo il costume sotto le braghette corte e senza telo da spiaggia, ma non potevo sfidare la sorte e andarci sette giorni su sette, anche perché c’era da fare un bel pezzo di strada, circa due chilometri e mezzo e la risalita era faticosa; tanto da vanificare immediatamente la frescura della nuotata nel lago.
Per nostra fortuna, nel centro del paese c’era un vecchio lavatoio con due grandi vasche piene di acqua di fonte, fresca e rinfrescante. Dalla via principale del paese che tagliava l’abitato esattamente in due, poco prima della Chiesina di San Rocco, si prendeva una stradina sulla sinistra e dopo una settantina di metri si arrivava alla costruzione. Ovviamente le donne del paese non lo utilizzavano più, dato che ormai tutti avevano in casa una comodissima lavatrice.
I lavatoi comunali hanno ormai perso la loro funzione originaria di approvvigionamento d’acqua potabile, di eventuale abbeveratoio per gli animali e di lavanderia all’aperto. Ora l’acqua potabile raggiunge ogni abitazione, i paesotti hanno perduto le loro caratteristiche di borghi rurali e gli elettrodomestici hanno trasformato il rito sociale e collettivo del lavaggio dei panni, in un momento privato. Pur essendo ricchi di storia e memorie ora vengono percepiti come un elemento del passato, senza funzione e quindi abbandonati alla loro sorte. Degli antichi lavatoi è rimasta solo la nostalgia di un passato ormai remoto. Eppure vi fun un momento in cui la costruzione di un lavatoio coperto era percepita dalla comunità come un’irrinunciabile conquista di carattere sociale. La costruzione di queste strutture si concentrò fra l’ultimo quarto del 19° secolo e il primo ventennio dell’ottocento, contribuendo a risolvere parte delle gravose mansioni domestiche delle madri di famiglia. Talvolta la costruzione del lavatoio coperto era dovuta a un atto di benevolenza nei confronti della comunità da parti di un benefattore, desideroso di alleviare almeno una parte della grande fatica domestica femminile. Spesso le lavandaie erano costrette a pulire i panni in rogge e canali inginocchiate e piegate a terra.
Il lavatoio di quel paesino era a pianta rettangolare coperto da un tetto a capriate di legno che sosteneva una copertura in coppi, sorretto da sei pilastri in pietra e aperto su tre dei suoi lati.
Così, quando il caldo opprimente del solleone estivo ci faceva grondare di sudore, correvamo tutti quanti nel centro del paese e tolte le scarpette da tennis ci sedevamo sulle larghe lastre di pietra con i piedi a mollo.
Il tetto di travi a vista che sostenevano le vecchie tegole ci riparava dal sole e intorno crescevano delle belle piante frondose che creavano ombra lasciando passare una bella arietta fresca. Era l’ideale per noi ragazzini. Se il caldo era particolarmente opprimente ci si bagnava velocemente ma mai restando a lungo, perché l’acqua proveniva dalla sorgente a monte ed era veramente fredda.
Con i piedi a bagno ci si raccontava la trama di qualche vecchio film, la cosa veniva meglio se la pellicola era un film di paura o un thriller. Il mio preferito era “La scala a chiocciola” film che avevo visto qualche anno prima, ancora in bianco e nero. Era una vecchia pellicola nella quale si narrava la storia di un serial killer che uccideva le giovani ragazze che avevano qualche malformazione o handicap. L’ultima vittima era una ragazza muta che lavorava come dama di compagnia presso una vecchia signora in una villa isolata. Non era particolarmente pauroso ma la tensione era palpabile e il bianco-nero della pellicola aumentava i toni cupi della storia. Rimane storico il primo piano dell’inquietante occhio dell’assassino che attende la protagonista nella cantina da dove si accedeva per l’entica scala a chiocciola.
Il lavatoio ogni tanto si tramutava anche in un luogo di riparo per improvvisi temporali estivi. Era bello sentire lo scroscio della pioggia mentre si era riparati dal vecchio tetto di coccio. I tuoni rimbombavano forte tutto attorno e noi sedevamo sulle panche sul lato più lungo della vasca, aspettando che la buriana passasse.
E’ sempre stato, ed è tuttora, uno dei posti che preferisco del piccolo paesotto sul lago Maggiore. Pur essendo nel centro dell’abitato è un luogo che non viene frequentato ed è un piccolo angolo di pace e di frescura. Ancora adesso ci faccio volentieri una capatina quando ci passo per andare al cimitero dove riposa mio padre.
Un caro saluto.
Per nostra fortuna, nel centro del paese c’era un vecchio lavatoio con due grandi vasche piene di acqua di fonte, fresca e rinfrescante. Dalla via principale del paese che tagliava l’abitato esattamente in due, poco prima della Chiesina di San Rocco, si prendeva una stradina sulla sinistra e dopo una settantina di metri si arrivava alla costruzione. Ovviamente le donne del paese non lo utilizzavano più, dato che ormai tutti avevano in casa una comodissima lavatrice.
I lavatoi comunali hanno ormai perso la loro funzione originaria di approvvigionamento d’acqua potabile, di eventuale abbeveratoio per gli animali e di lavanderia all’aperto. Ora l’acqua potabile raggiunge ogni abitazione, i paesotti hanno perduto le loro caratteristiche di borghi rurali e gli elettrodomestici hanno trasformato il rito sociale e collettivo del lavaggio dei panni, in un momento privato. Pur essendo ricchi di storia e memorie ora vengono percepiti come un elemento del passato, senza funzione e quindi abbandonati alla loro sorte. Degli antichi lavatoi è rimasta solo la nostalgia di un passato ormai remoto. Eppure vi fun un momento in cui la costruzione di un lavatoio coperto era percepita dalla comunità come un’irrinunciabile conquista di carattere sociale. La costruzione di queste strutture si concentrò fra l’ultimo quarto del 19° secolo e il primo ventennio dell’ottocento, contribuendo a risolvere parte delle gravose mansioni domestiche delle madri di famiglia. Talvolta la costruzione del lavatoio coperto era dovuta a un atto di benevolenza nei confronti della comunità da parti di un benefattore, desideroso di alleviare almeno una parte della grande fatica domestica femminile. Spesso le lavandaie erano costrette a pulire i panni in rogge e canali inginocchiate e piegate a terra.
Il lavatoio di quel paesino era a pianta rettangolare coperto da un tetto a capriate di legno che sosteneva una copertura in coppi, sorretto da sei pilastri in pietra e aperto su tre dei suoi lati.
Così, quando il caldo opprimente del solleone estivo ci faceva grondare di sudore, correvamo tutti quanti nel centro del paese e tolte le scarpette da tennis ci sedevamo sulle larghe lastre di pietra con i piedi a mollo.
Il tetto di travi a vista che sostenevano le vecchie tegole ci riparava dal sole e intorno crescevano delle belle piante frondose che creavano ombra lasciando passare una bella arietta fresca. Era l’ideale per noi ragazzini. Se il caldo era particolarmente opprimente ci si bagnava velocemente ma mai restando a lungo, perché l’acqua proveniva dalla sorgente a monte ed era veramente fredda.
Con i piedi a bagno ci si raccontava la trama di qualche vecchio film, la cosa veniva meglio se la pellicola era un film di paura o un thriller. Il mio preferito era “La scala a chiocciola” film che avevo visto qualche anno prima, ancora in bianco e nero. Era una vecchia pellicola nella quale si narrava la storia di un serial killer che uccideva le giovani ragazze che avevano qualche malformazione o handicap. L’ultima vittima era una ragazza muta che lavorava come dama di compagnia presso una vecchia signora in una villa isolata. Non era particolarmente pauroso ma la tensione era palpabile e il bianco-nero della pellicola aumentava i toni cupi della storia. Rimane storico il primo piano dell’inquietante occhio dell’assassino che attende la protagonista nella cantina da dove si accedeva per l’entica scala a chiocciola.
Il lavatoio ogni tanto si tramutava anche in un luogo di riparo per improvvisi temporali estivi. Era bello sentire lo scroscio della pioggia mentre si era riparati dal vecchio tetto di coccio. I tuoni rimbombavano forte tutto attorno e noi sedevamo sulle panche sul lato più lungo della vasca, aspettando che la buriana passasse.
E’ sempre stato, ed è tuttora, uno dei posti che preferisco del piccolo paesotto sul lago Maggiore. Pur essendo nel centro dell’abitato è un luogo che non viene frequentato ed è un piccolo angolo di pace e di frescura. Ancora adesso ci faccio volentieri una capatina quando ci passo per andare al cimitero dove riposa mio padre.
Un caro saluto.
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