venerdì 23 gennaio 2015

LA CHIESA E LA VOCAZIONE IN CRISI




Dal sito di Progetto Gionata - 12 gennaio 2015

Email inviataci da Alessandro, risponde don Luca

Salve, vorrei dare la mia tormentata testimonianza di persona in profonda crisi vocazionale, ma in grosso conflitto interiore per il fatto di poter, un giorno, dover appartenere alla stessa Istituzione che per due millenni ha contribuito a traumatizzare l’affettività di noi gay, condannandomi all’impossibilità di trovare un compagno maturo o di vivere una relazione alla luce del giorno e con relativo supporto familiare, sociale e spirituale.
Alla stessa Istituzione piena di parrocchiani che odiano e schifano i gay, ma ai quali vengono quotidianamente servite le liturgie da una quantità impressionante di omosessuali. All’apparato politico che ostacola il progresso del mio paese e ci martirizza, perseverando in uno scandaloso e ipocrita sacrilegio dei dettami di amore di Gesù.

Alessandro

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La risposta…

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Ciao Alessandro, di fronte ad un foglio bianco su cui sono disegnati dei puntini si è spesso portati a notare solamente i puntini. Non so a che ordine religioso appartieni, non so la tua età, non so il tuo cammino vocazionale nè il contesto culturale in cui sei cresciuto e in cui ti sei formato, ma vorrei rassicurarti sul fatto che l’orizzonte non è così nero come sembra. I puntini sul foglio ci sono, è vero, ma vogliamo parlare della parte bianca? Forse non ci si fa caso… ma quel bianco c’è ed è molto grande. E anche gionata.org occupa un po’ di questo bianco…
Vorrei fare un discorso più generale, trascurando per un attimo la tua appartenenza ad un ordine religioso. Affronterò la questione “religioso” in un secondo momento.
E’ vero, Alessandro, la Chiesa cattolica “per due millenni ha contribuito a traumatizzare l’affettività di noi gay” ed è vero che in essa sono presenti anche “fedeli” che “odiano e schifano i gay” anche se potremmo discutere sul fatto che questi siano realmente cattolici. Per me una persona che odia non può dirsi “di Dio” perchè Lui, che è amore infinito, non può abitare in un cuore dove vi sia odio. Quelle persone non sono animate da Dio ma dal demone che si sono creati di Dio. Hanno deturpato il volto di Dio costruendosi un idolo a loro uso e consumo che adorano contravvenendo al primo comandamento.
Quello non è Dio… ma un idolo (per non dire demone) che loro chiamano dio. Detto questo, per ritornare al discorso “per due millenni la chiesa ha traumatizzato l’affettività gay”, vorrei ricordarti che la Chiesa non è una realtà statica, immobile, ripiegata su se stessa, ma una comunità viva che cammina verso il Signore che viene. E in questo cammino è chiamata a progredire sempre più nell’amore verso Dio e verso i fratelli. Se guardi la sua storia vedi come è davvero una realtà in cammino ed in questo cammino qualche volta ha fatto una pausa, qualche altra è caduta (pensiamo alla richiesta di perdono di Giovanni Paolo II nel 2000)… ma non si è mai fermata. Sempre avanti, passo dopo passo, piano piano, a volte più speditamente altre volte con fatica… ma sempre avanti.
Da qui dobbiamo partire, perchè se non abbiamo ben chiara questa cosa, se ci limitiamo a guardare il passato senza renderci conto dei progressi che si sono compiuti, allora sì, corriamo il rischio di lasciarci sopraffare dallo sconforto. Ma guardiamo cosa era ieri e cosa è oggi e benediciamo e lodiamo il Signore perchè stiamo camminando, stiamo crescendo nell’amore verso di Lui e verso l’uomo.

La Chiesa, che sant’Ambrogio definiva “immaculata ex maculatis” cioè senza macchia ma fatta da uomini peccatori, ha al suo interno anche persone che hanno ancora un’idea stereotipata dell’omosessualità, che vedono o vogliono vedere gli omosessuali solo come quegli idioti che sfilano nudi ai gay pride (perchè guarda che spesso è questo il problema di chi ha opposizioni fortissime contro gli omosessuali: un’idea del tutto distorta della realtà a causa di stereotipi diffusi dai media e a volte avvallati o esasperati dagli omosessuali stessi). Ma la quotidianità è ben diversa. E’ fatta di persone che vogliono, cercano l’amore. Vogliono, cercano il rispetto, la dignità, il diritto di non sentirsi sbagliati, malati, abomini, macchiati di peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Ed è un diritto, una richiesta, un anelito legittimo e sacrosanto. E, credimi, un giorno arriverà questo riconoscimento… forse non oggi, forse non domani, ma quel giorno arriverà. Il recente Sinodo ha aperto una strada da cui non si può tornare indietro. E diversi esponenti, anche ai massimi livelli, si stanno schierando in modo aperto e pubblico a favore di queste aperture: penso ad esempio al vescovo di Anversa che ha fatto un ben ragionamento pastorale sul riconoscimento non solo dei gay, ma anche dell’amore gay. Ma aperture in tal senso sono arrivate anche dal card. Schorsborn, dal card. Woelki, dal card. Scola etc.
No Alessandro, la situazione non è così drammatica. Anzi… forse ora più che mai è “momento di grazia” perché a noi sarà data la gioia di vedere una Chiesa che finalmente riabbraccia dopo tanto tempo dei figli che fino a ieri ha negato e diseredato.

Tu appartieni, e un giorno forse sarai ministro, non di Chiesa che in passato ha condannato i gay… ma di una Chiesa che oggi annuncia ad ogni uomo l’amore di quel Dio che abita là dove vi è amore (che sia etero, gay non importa: ubi caritas est vera Deus ibi est). Questo è quello che tu annuncerai. Questo è il messaggio di salvezza che ti sarà chiesto di portare.
Tu annuncerai il Dio della vita, non il Dio della morte.
Tu annuncerai il Dio che chiama, non il Dio che caccia.
Tu annuncerai il Dio che benedice, non che maledice.
Il Dio che salva, non che condanna.
Il Dio di Gesù Cristo, non il dio di Satana.
Tu sarai strumento grande nella mani di Dio, attraverso il quale Egli si piegherà su quel suo figlio, anche gay, per ricordargli quelle parole che il Signore gli ripete ogni istante e che spesso per diversi motivi non riesce a sentire: “tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima ed io ti amo”.

E’ vero però che il sacerdozio (e più in generale la vita consacrata), nella Chiesa di rito latino, richiede di essere “tutto di Cristo”, consacrando sé stessi a Lui nella castità. E questo implica “l’impossibilità di trovare un compagno maturo o di vivere una relazione alla luce del giorno”. Tu la chiami una condanna… io la chiamo una scelta. Ricordi cosa disse Gesù a riguardo? “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. Siamo chiamati a realizzarci nell’amore, perché è questo il sogno che Dio ha per ognuno di noi. Cosa vuol dire questo? Qual è il sogno d’amore, la vocazione alla quale Dio mi chiama? Non è facile rispondere a questa domanda… ma d’altra parte conosci qualcosa di bello e di grande che sia di immediato ottenimento? Il periodo del noviziato (o del seminario) sono proprio a ciò chiamati: aiutarti a capire la tua vera vocazione. Se il peso della castità fosse così pesante, tranquillo: puoi servire il Signore in qualche altro modo. Non tutti sono nati (per fortuna – ma non c’è pericolo) a essere preti o frati :-).
Una cosa però vorrei fosse chiara: non credere che ogni prete viva la castità in modo così semplice. Siamo preti, non santi :-). Sperimentare dei momenti di difficoltà, di solitudine (e perchè no, anche di caduta) rientra nella normalità: siamo uomini. A me ad esempio, ancor prima che la mancanza di una vita sessuale, pesa la mancanza di una vita affettiva intima, di una tenerezza che solo due persone che si amano profondamente possono darsi. Penso ad esempio alla solitudine di dover andare a letto la sera da solo, o l’alzarsi la mattina ed essere ancora solo… Vedi Alessandro non è che io sia un prete perfetto, solidissimo nella sua chiamata, certissimo di aver fatto la scelta giusta. Ogni tanto capita anche a me di chiedermi “Ma chi me l’ha fatto fare?” ogni tanto sento anche io il peso della solitudine, del non avere qualcuno al mio fianco che mi faccia sentire amato e che mi permetta di mostrargli il mio amore, e per quanto la comunità affidatami sia per me motivo di gioia e gratificazione… il peso lo sento comunque. Però se mi chiedessi: “Ma se dovessi tornare indietro sceglieresti ancora il sacerdozio?”.

Ecco, la mia risposta sarebbe “Sì”. Il sacerdozio, così come il matrimonio sono scelte impegnative che vanno rinnovate giorno dopo giorno, istante dopo istante, senza pensare che sarà tutto rose e fiori, una vita perfetta senza momenti di smarrimento, di solitudine, di insicurezza (tanto nell’una quanto nell’altra scelta). E’ vero però che io sono io e tu sei tu… e quindi ogni ragionamento, ogni considerazione, è relativo. Così come non possiamo dimenticare cosa ci dice il Signore “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Noi non scegliamo il sacerdozio, ma rispondiamo alla chiamata che un Altro ci ha rivolto.
L’unica cosa che mi sento di dirti è che il sacerdozio è un passo importante e se questa è la tua chiamata lo devi scoprire anche con l’aiuto e il confronto di qualche amico prete, del tuo padre spirituale, del tuo confessore (sperando che siano persone con un po’ di cervello) e anche nella preghiera silenziosa, e perché no “incazzosa”, con il Signore.

Su coraggio amato figlio di Dio… il Signore è con te, ieri oggi e sempre.

don Luca

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