venerdì 30 novembre 2012

ESSERE GAY NEL 1891

Da una lettera inviata nel 1891 ad Emile Zola da un giovane militare italiano ventunenne

"I miei compagni si erano addormentati da parecchio tempo e noi non ci eravamo ancora spogliati. Alla fine mi decisi e, sbarazzatomi della mia uniforme, mi rannicchiai nella mia camicia di batista ed entrai nel mio lettino, sul quale avevo fatto sedere il mio giovane amico, al quale, nella nostra eccitazione e nella ebbrezza causata dal vino e dal chiasso che avevamo appena fatto, prodigai come se scherzassi le più dolci carezze e le parole più lusinghevoli.

Io ero semisdraiato sul cuscino che ci si concedeva di tenere nel nostro letto. Lui era mezzo svestito, e sedendosi sulle mie cosce si chinò su di me.

Io gli parlavo come in stato di rapimento e semiebbrezza, causato dal sonno e dal calore del letto che iniziava a vincermi, quando lui si abbassò completamente su di me, mi circondò con le sue braccia, mi baciò sul viso, passando al tempo stesso le sue mani sotto la mia camicia, stringendo la mia carne a piene mani.

Io mi sentivo morire, e qualcosa come una gioia immensa mi prese improvvisamente.
Ci incollammo per un breve momento l'uno contro l'altro, fronte contro fronte, le guance in fiamme, la mia bocca sulla sua bocca come su un dolce guanciale. Non ero mai stato così felice!

La lampada appoggiata per terra lanciava lampi minacciosi nell'immenso dormitorio, dove nei letti lontani i miei compagni dormivano, e lasciava nella più profonda oscurità l'angolo nel quale noi eravamo così colmi di gioia. Tuttavia ebbi paura che qualcuno ci potesse vedere e, desiderando godere completamente dell'abbandono del mio amico, gli dissi all'orecchio, baciandolo: "Va' a spegnere la lampada, ma ritorna, fa' presto".
Si alzò traballando e andò a bere alla brocca, che era posata a terra, accanto alla lampada. Il dormitorio non fu più rischiarato se non dalla lampada del dormitorio vicino, vale a dire che ci si vedeva un poco al centro della sala, ma che tutto il resto era nelle tenebre più fitte.
Lo vidi nella penombra ritornare al suo letto, che era di fronte al mio. Sentii che si svestiva velocemente e che tornava verso di me trattenendo il respiro.

Quel breve momento mi sembrò un secolo, e quando lo sentii accanto a me fra le lenzuola calde lo abbracciai alla vita, lo palpai e baciai ardentemente, a stento trattenendo grida di gioia e godimento.

Si offrì all'amore molto veemente; in un attimo fummo nudi formando un solo corpo, strettamente avvinghiati. Non avrei mai creduto di poter godere di tanta voluttà.
Le nostre lingue si allacciavano nelle bocche, e tanto strettamente ci abbracciavamo da potere a stento respirare. Con le mani esploravo quel corpo così bello, tanto desiderato, quel viso dolce e virile che era così diverso dal mio.
Infine le nostre voluttà ebbero termine, e, cosa che mi fece soprattutto piacere, raggiunsero il culmine nel medesimo istante.

Rimanemmo a lungo abbracciati, scambiandoci carezze e dolci parole. "Non ho mai goduto tanto con una donna", mi disse. "I loro baci e le loro carezze non sono né così ardenti né così amorosi".

 - Dr Laupts (pseud. di Georges Saint-Paul), "Tares et poisons, perversion & perversité sexuelles: une enquête médicale sur l'inversion: notes et documents. (Le roman d'un inverti-né. Le procès Wilde. La guérison et la prophylaxie de l'inversion)", Masson, Paris 1896. -

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