«Cari amici, vorrei dire con voi “Ciao” ad Andrea (Gallo), e dire a voi che Andrea è stato un Sacerdote, un Prete, che ha dato un nome a chi non lo aveva, o se lo era visto negare da qualcuno.
Dare un nome con un tenace e quotidiano impegno, che voi avete conosciuto, per riconoscere la dignità, la libertà della persona, una libertà su cui bisognava e bisogna continuare sempre a scommettere e alla quale non bisogna mai stancarsi di dare opportunità a tutte le persone.
Ci siamo incontrati sulla strada oltre 40 anni fa … e lasciatemi portare un saluto particolare che so che sta nel cuore profondo di Don Andrea a Don Federico che lo ha accolto, e non dimenticherò mai quando andando a San Benedetto tanti anni fa ho scoperto che Don Federico aveva anche lasciato la sua camera ai ragazzi della comunità e si era chiuso in ufficio a dormire: grazie Federico!
Ci siamo incontrati sulla strada, quella strada che ci ha insegnato a guardarci dentro, a non avere paura delle nostre contraddizioni, delle nostre ambiguità, dei nostri limiti - vi prego amici, dei nostri limiti -, e se trovate qualcuno che ha capito tutto, a nome di Don Gallo e mio salutatelo e cambiate strada per piacere! Cambiate strada!
È la strada che ci ha educato a mettere al centro la persona, la sua originalità. È la strada che ci ha insegnato che ogni persona è vita, è storia, e che la diversità è il sale della vita e che la diversità mai deve diventare avversità, mai! E voi sapete, e qui nella preghiera è stato sottolineato, nella preghiera dei fedeli, che sono storie, che sono nomi, che sono volti, non derive irreversibili, ma ogni storia è possibile!
Non ha temuto di sporcarsi le mani, non ha mai giudicato le persone dalle etichette, amava citare Don Tonino Bello che parlando di Bartolo, che dormiva in una scatola di cartone, Don Tonino scriveva (e più volte l’ho sentito ri-sottolineare da Don Andrea) che quell’uomo che dormiva a Roma in quella scatola di cartone, in quell’uomo ci sono frammenti di santità, perché Dio si prende cura di Bartolo, e diceva Tonino Bello quei cartoni sono un ostensorio.
Andrea ha cercato Dio, e come lo ha cercato anche nei tanti Bartolo di San Benedetto! Sì, amici, sono i poveri, gli ultimi, quelli che fanno più fatica, che ci aiutano ad incontrare Dio, che ci mettono in discussione, che ci indicano la strada.
Grazie Andrea per i tratti di cammino percorsi insieme quando abbiamo dato vita al CNCA, poi alla Lila, e oggi Libera, grazie per le porte che hai aperto e che hai lasciato aperte!
In quel segno condiviso di una Chiesa che accoglie, una porta che si deve aprire a chiunque, una porta che chiunque può sospingere.
Grazie per aver testimoniato una Chiesa capace davvero di stare dalla parte della dignità inviolabile della persona umana. Andrea ha incarnato, amici, la Chiesa che non dimentica la dottrina – vi prego! -, vi prego di non dimenticare questo, perché lui era fedele alla dottrina della Chiesa, il nostro Andrea, vi prego, nessuno prenda le scorciatoie con Andrea, perché non gli faremmo onore.
Andrea ha incarnato quella Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non va mai permesso che diventi più importante la dottrina dell’attenzione per gli indifesi, per i fragili, per gli ultimi, per i dimenticati. Eh, sì, vi devo dire, e il nostro Cardinale lo sa molto bene, perché un libro che uscirà con la sua ultima intervista nei prossimi giorni, la sua gioia alla notizia del Papa Francesco. Ma sai che sono contento che Papa Francesco - ed è contento anche lui (Don Andrea Gallo) -, ha detto no a quei cristiani da salotto: l’ha detto il Papa Francesco, eh …, e quindi: No ai cristiani da salotto!
Amici, non dimenticatelo mai che il suo dare un nome alle persone che si sbattono nelle strade, nelle carceri, nei luoghi dei bisogni e delle fatiche, questo suo dare nome è andato di pari passo con un chiamare per nome le cose. E in quel libro-intervista che sta uscendo io voglio citare le sue parole –le sue parole!-, che possono forse disturbare qualcuno, dove qualcuno subito dirà ehhh … lo so! Però, è il nostro Don Gallo, vi prego di credere: era innamorato di Dio ed era innamorato dei poveri, e saldava la terra con il cielo! Ecco, e nella sua ultima intervista, che è un po’ un suo testamento credo, lui pensando proprio al Conclave quando si dice extra omnes, “fuori tutti”, lui dice non extra omnes, ma dentro tutti, dentro i gay, dentro le lesbiche, dentro gli altri, dentro i divorziati, ma poi il nostro Don Andrea termina questo forte pensiero che ci ha consegnato, dicendo che la Chiesa è misericordia prima di tutto.
Andrea non è mai stato reticente, diplomatico, calcolatore, voi la sapete -anzi! -, non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di ingiustizie, di precise scelte economiche e politiche.
Ma Andrea, e tutti voi vi prego di continuare a farlo nel modo giusto, sempre serio, sempre documentato, sapendo sempre distinguere per non confondere, non dimenticandoci di far emergere le cose positive che ci sono, Andrea ha sempre inteso saldare il cielo e la terra, la solidarietà con i diritti, la dimensione spirituale con l’impegno civile. Per lui erano chiari due riferimenti: il messaggio del Vangelo e le pagine della Costituzione.
E allora le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano - lasciatemelo dire- da un grande desiderio di giustizia, - lasciatemelo dire - da un grande amore per le persone, e nell’ultimo nostro incontro avevamo … ancora una volta ci siamo detti delle parole importanti. Ci eravamo detti che si continua ad uccidere la vita, e la speranza, il diritto, la giustizia, la dignità umana. Ci siamo detti che nelle periferie del mondo si muore un po’ per giorno di globalizzazione economica, di poteri e di falsità.
Ci eravamo detti che oggi nel nostro Paese, l’Italia, si respira malessere, un malessere che si costruisce sui detriti dell’illegalità diffusa, sulla pelle dei più poveri, di chi è ai margini, sui frammenti di una sottocultura dell’arroganza, di questo crescere di “io”, dell’individualismo e dell’egoismo sociale. Ci siamo detti c’è troppo perbenismo di facciata. Ci siamo detti c’è una rete sommersa di criminalità, una rete di economia inquinata, c’è l’irresponsabilità di tanti. Ci siamo detti che il problema della Mafia non sta dentro la Mafia, ma sta in quella zona grigia che l’alimenta!
Quante volte abbiamo condiviso quel grande desiderio di verità, che lui poi esprimeva con il suo linguaggio, con i suoi modi, che a volte possono avere lasciato anche perplessi (io ci ho litigato qualche volta, ma sempre con grande rispetto e con grande affetto, perché nell’amicizia ci si può dire anche concretamente delle cose, e mi sembra importante e fondamentale), ma abbiamo parlato tante volte e condiviso quel desiderio di verità, il G8, la morte di Carlo Giuliani, quella ferita interminabile, quella sana rabbia – sana! – di fronte alla base americana a Vicenza: ma che ce ne facciamo! Ma soprattutto il chiedersi il senso di grandi opere quando non ci sono i soldi per i servizi, per le politiche sociali, per i poveri.
C’eravamo tante volte trovati nelle carceri e gridiamo ancora una volta insieme a lui la vergogna delle carceri, e delle Cie, gabbie per emigranti, non è possibile! Non potrò mai dimenticare le lacrime che ho visto nei suoi occhi quando mi ha parlato dei suoi 50 anni di Messa, ma poi soprattutto di averli festeggiati con le amiche trans a Vico Untoria, e il loro coro … e il loro coro! Non possiamo dimenticare quelle mani blu contro chi voleva schedare i Rom, e soprattutto la sua grande preoccupazione per le politiche sulle dipendenze sempre più deboli e distanti, la battaglia perché l’acqua resti un bene di tutti, … di tutti! E allora le sue battaglie sono state e sono anche le nostre battaglie.
Ma penso anche alla sua vicinanza ai Camagli, alla Compagnia Unica che l’ha accompagnato fino a qui, agli operai che lottano per il lavoro - la sua vicinanza! -. E allora voi capite (e lasciatemi tornare a Don Gallo Sacerdote che mi sta qui a cuore), sapeva cercare nell’umanità del Vangelo la piattaforma comune per cercare tutto ciò che ci unisce.
E voi lo sapete che non ha mai distinto nel suo accogliere tra credenti e non credenti, persone con strade e percorsi diversi, ma non faceva sconti a nessuno, e soprattutto chi sceglieva l’indifferenza e la delega. E se oggi siamo in tanti qui davanti a lui, è perché lui ha vissuto il Battesimo – lui ha vissuto il Battesimo! – e non ha mai chiesto le credenziali di fede a nessuno! Era però esigente, e voleva che tutti e ciascuno imparassero a stare alla tavola dei poveri.
Dobbiamo stare alla tavola dei poveri, amici, tutti. In quell’intervista, che è il suo testamento, lui dice queste parole: “C’è il rischio nel commentare l’attualità di lanciare un bollettino di guerra. Io però mi colloco tra coloro che vogliono invece impegnarsi, che desiderano spendere energie, studio, capacità, relazioni. È vero che il male urla forte, ma la speranza urla ancora più forte!”. È Don Gallo!
E allora: Ciao! Glielo diciamo come siamo capaci, ognuno … “Ciao” al nostro Don Gallo, il Don. E chiediamo, non per lui (che già il Padreterno l’ha abbracciato … - l’ha abbracciato! -, è un vulcano di Dio lassù, eh, Don Gallo), ma attenzione chiediamo a Dio – e tu (rivolto al Cardinal Bagnasco) fa’ la benedizione così – che Dio ci dia una bella pedata a tutti, la pedata di tutti perché nessuno si senta mai a posto, mai arrivati, che il morso del più ci appartenga, che San Benedetto, con voi, tutti con voi, continui questa strada che il nostro Don Gallo ha costruito. Auguri, e Ciao Don Gallo!»
Ci siamo incontrati sulla strada, quella strada che ci ha insegnato a guardarci dentro, a non avere paura delle nostre contraddizioni, delle nostre ambiguità, dei nostri limiti - vi prego amici, dei nostri limiti -, e se trovate qualcuno che ha capito tutto, a nome di Don Gallo e mio salutatelo e cambiate strada per piacere! Cambiate strada!
È la strada che ci ha educato a mettere al centro la persona, la sua originalità. È la strada che ci ha insegnato che ogni persona è vita, è storia, e che la diversità è il sale della vita e che la diversità mai deve diventare avversità, mai! E voi sapete, e qui nella preghiera è stato sottolineato, nella preghiera dei fedeli, che sono storie, che sono nomi, che sono volti, non derive irreversibili, ma ogni storia è possibile!
Non ha temuto di sporcarsi le mani, non ha mai giudicato le persone dalle etichette, amava citare Don Tonino Bello che parlando di Bartolo, che dormiva in una scatola di cartone, Don Tonino scriveva (e più volte l’ho sentito ri-sottolineare da Don Andrea) che quell’uomo che dormiva a Roma in quella scatola di cartone, in quell’uomo ci sono frammenti di santità, perché Dio si prende cura di Bartolo, e diceva Tonino Bello quei cartoni sono un ostensorio.
Andrea ha cercato Dio, e come lo ha cercato anche nei tanti Bartolo di San Benedetto! Sì, amici, sono i poveri, gli ultimi, quelli che fanno più fatica, che ci aiutano ad incontrare Dio, che ci mettono in discussione, che ci indicano la strada.
Grazie Andrea per i tratti di cammino percorsi insieme quando abbiamo dato vita al CNCA, poi alla Lila, e oggi Libera, grazie per le porte che hai aperto e che hai lasciato aperte!
In quel segno condiviso di una Chiesa che accoglie, una porta che si deve aprire a chiunque, una porta che chiunque può sospingere.
Grazie per aver testimoniato una Chiesa capace davvero di stare dalla parte della dignità inviolabile della persona umana. Andrea ha incarnato, amici, la Chiesa che non dimentica la dottrina – vi prego! -, vi prego di non dimenticare questo, perché lui era fedele alla dottrina della Chiesa, il nostro Andrea, vi prego, nessuno prenda le scorciatoie con Andrea, perché non gli faremmo onore.
Andrea ha incarnato quella Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non va mai permesso che diventi più importante la dottrina dell’attenzione per gli indifesi, per i fragili, per gli ultimi, per i dimenticati. Eh, sì, vi devo dire, e il nostro Cardinale lo sa molto bene, perché un libro che uscirà con la sua ultima intervista nei prossimi giorni, la sua gioia alla notizia del Papa Francesco. Ma sai che sono contento che Papa Francesco - ed è contento anche lui (Don Andrea Gallo) -, ha detto no a quei cristiani da salotto: l’ha detto il Papa Francesco, eh …, e quindi: No ai cristiani da salotto!
Amici, non dimenticatelo mai che il suo dare un nome alle persone che si sbattono nelle strade, nelle carceri, nei luoghi dei bisogni e delle fatiche, questo suo dare nome è andato di pari passo con un chiamare per nome le cose. E in quel libro-intervista che sta uscendo io voglio citare le sue parole –le sue parole!-, che possono forse disturbare qualcuno, dove qualcuno subito dirà ehhh … lo so! Però, è il nostro Don Gallo, vi prego di credere: era innamorato di Dio ed era innamorato dei poveri, e saldava la terra con il cielo! Ecco, e nella sua ultima intervista, che è un po’ un suo testamento credo, lui pensando proprio al Conclave quando si dice extra omnes, “fuori tutti”, lui dice non extra omnes, ma dentro tutti, dentro i gay, dentro le lesbiche, dentro gli altri, dentro i divorziati, ma poi il nostro Don Andrea termina questo forte pensiero che ci ha consegnato, dicendo che la Chiesa è misericordia prima di tutto.
Andrea non è mai stato reticente, diplomatico, calcolatore, voi la sapete -anzi! -, non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di ingiustizie, di precise scelte economiche e politiche.
Ma Andrea, e tutti voi vi prego di continuare a farlo nel modo giusto, sempre serio, sempre documentato, sapendo sempre distinguere per non confondere, non dimenticandoci di far emergere le cose positive che ci sono, Andrea ha sempre inteso saldare il cielo e la terra, la solidarietà con i diritti, la dimensione spirituale con l’impegno civile. Per lui erano chiari due riferimenti: il messaggio del Vangelo e le pagine della Costituzione.
E allora le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano - lasciatemelo dire- da un grande desiderio di giustizia, - lasciatemelo dire - da un grande amore per le persone, e nell’ultimo nostro incontro avevamo … ancora una volta ci siamo detti delle parole importanti. Ci eravamo detti che si continua ad uccidere la vita, e la speranza, il diritto, la giustizia, la dignità umana. Ci siamo detti che nelle periferie del mondo si muore un po’ per giorno di globalizzazione economica, di poteri e di falsità.
Ci eravamo detti che oggi nel nostro Paese, l’Italia, si respira malessere, un malessere che si costruisce sui detriti dell’illegalità diffusa, sulla pelle dei più poveri, di chi è ai margini, sui frammenti di una sottocultura dell’arroganza, di questo crescere di “io”, dell’individualismo e dell’egoismo sociale. Ci siamo detti c’è troppo perbenismo di facciata. Ci siamo detti c’è una rete sommersa di criminalità, una rete di economia inquinata, c’è l’irresponsabilità di tanti. Ci siamo detti che il problema della Mafia non sta dentro la Mafia, ma sta in quella zona grigia che l’alimenta!
Quante volte abbiamo condiviso quel grande desiderio di verità, che lui poi esprimeva con il suo linguaggio, con i suoi modi, che a volte possono avere lasciato anche perplessi (io ci ho litigato qualche volta, ma sempre con grande rispetto e con grande affetto, perché nell’amicizia ci si può dire anche concretamente delle cose, e mi sembra importante e fondamentale), ma abbiamo parlato tante volte e condiviso quel desiderio di verità, il G8, la morte di Carlo Giuliani, quella ferita interminabile, quella sana rabbia – sana! – di fronte alla base americana a Vicenza: ma che ce ne facciamo! Ma soprattutto il chiedersi il senso di grandi opere quando non ci sono i soldi per i servizi, per le politiche sociali, per i poveri.
C’eravamo tante volte trovati nelle carceri e gridiamo ancora una volta insieme a lui la vergogna delle carceri, e delle Cie, gabbie per emigranti, non è possibile! Non potrò mai dimenticare le lacrime che ho visto nei suoi occhi quando mi ha parlato dei suoi 50 anni di Messa, ma poi soprattutto di averli festeggiati con le amiche trans a Vico Untoria, e il loro coro … e il loro coro! Non possiamo dimenticare quelle mani blu contro chi voleva schedare i Rom, e soprattutto la sua grande preoccupazione per le politiche sulle dipendenze sempre più deboli e distanti, la battaglia perché l’acqua resti un bene di tutti, … di tutti! E allora le sue battaglie sono state e sono anche le nostre battaglie.
Ma penso anche alla sua vicinanza ai Camagli, alla Compagnia Unica che l’ha accompagnato fino a qui, agli operai che lottano per il lavoro - la sua vicinanza! -. E allora voi capite (e lasciatemi tornare a Don Gallo Sacerdote che mi sta qui a cuore), sapeva cercare nell’umanità del Vangelo la piattaforma comune per cercare tutto ciò che ci unisce.
E voi lo sapete che non ha mai distinto nel suo accogliere tra credenti e non credenti, persone con strade e percorsi diversi, ma non faceva sconti a nessuno, e soprattutto chi sceglieva l’indifferenza e la delega. E se oggi siamo in tanti qui davanti a lui, è perché lui ha vissuto il Battesimo – lui ha vissuto il Battesimo! – e non ha mai chiesto le credenziali di fede a nessuno! Era però esigente, e voleva che tutti e ciascuno imparassero a stare alla tavola dei poveri.
Dobbiamo stare alla tavola dei poveri, amici, tutti. In quell’intervista, che è il suo testamento, lui dice queste parole: “C’è il rischio nel commentare l’attualità di lanciare un bollettino di guerra. Io però mi colloco tra coloro che vogliono invece impegnarsi, che desiderano spendere energie, studio, capacità, relazioni. È vero che il male urla forte, ma la speranza urla ancora più forte!”. È Don Gallo!
E allora: Ciao! Glielo diciamo come siamo capaci, ognuno … “Ciao” al nostro Don Gallo, il Don. E chiediamo, non per lui (che già il Padreterno l’ha abbracciato … - l’ha abbracciato! -, è un vulcano di Dio lassù, eh, Don Gallo), ma attenzione chiediamo a Dio – e tu (rivolto al Cardinal Bagnasco) fa’ la benedizione così – che Dio ci dia una bella pedata a tutti, la pedata di tutti perché nessuno si senta mai a posto, mai arrivati, che il morso del più ci appartenga, che San Benedetto, con voi, tutti con voi, continui questa strada che il nostro Don Gallo ha costruito. Auguri, e Ciao Don Gallo!»