L'incoerenza fa parte delle nostre vite, della mia vita di cristiano, e mi invita all'umiltà. Ma incoerenze ecclesiali ripetute, particolarmente in questi ultimi mesi di fronte all'omofobia, decisamente mi pongono degli interrogativi. L'omofobia è etimologicamente la paura dell'omosessualità (è necessario ricordare che la radice “fobia” viene dal greco e significa paura?).
Ora, strumentalizzare la paura, come hanno fatto certi responsabili della Chiesa cattolica a proposito del progetto di legge che permette il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, ha generato una omofobia che risorge in maniera preoccupante.
Infatti, il dibattito si è radicalizzato col passare delle settimane. E anche se è chiaro che non tutti gli oppositori al progetto di legge non sono omofobi, la dismisura della mobilitazione, le parole offensive ripetute nel corso degli ultimi mesi, la paura di un crollo della società, il fantasma dell'indifferenziazione dei sessi hanno strumentalizzato la paura dell'omosessualità, e quindi l'omofobia.
Si può volerlo contestare e deresponsabilizzarsene, ma i fatti sono evidenti. Da diversi anni, i documenti della Chiesa cattolica, come quello del 1986, sottolineano “che le espressioni malevole o le azioni violente contro le persone omosessuali meritano la condanna dei pastori della Chiesa”.
Più recentemente, nel settembre 2012, il testo del Consiglio “Famiglia e società” della Conferenza episcopale francese, invitava al rispetto delle persone. Diversi vescovi, come Mons. Daucourt o Mons. Housset (23 ottobre 2012) hanno riaffermato recentemente che al primo posto viene il rispetto di ogni persona, nella sua dignità inviolabile, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, e che si può comprendere “che dopo secoli di emarginazione, per non dire di disprezzo, le persone omosessuali abbiano veramente sete di rispetto”.
È davvero legittimo chiedersi se tutte queste belle parole non siano solo precauzioni oratorie. Sarebbe lunga la lista delle affermazioni o della azioni malevole che non sono mai state denunciate chiaramente come sottolineo nel mio libro (Homosexuels catholiques, sortir de l'impasse, ed. de l'atelier, 2012, p. 52 e ss.) Dov'è il rispetto delle persone omosessuali? Dove sono le condanne delle espressioni malevole che sono state espresse da mesi?
Sono numerose le testimonianze che rilevano le “espressioni malevole” sentite in questi ultimi mesi, come la testimonianza di Bertrand, che scrive al parroco, dopo aver partecipato alla messa: “Il suo partito preso domenica scorsa, espresso in modo sarcastico e derisorio, ci ha profondamente offesi.
È ancora una parola debole. Offesi, perché con il suo tono, lei ha contribuito a far ridere i parrocchiani a spese delle coppie omosessuali, lei ha contribuito a promuovere una certa forma di omofobia, che le ultime parole del suo discorso non sono riuscite a mascherare”.
O ancora la domanda di Olivier Châble, in una lettera inviata al vescovo di Le Mans: “Lei mi risponderà che la sua istituzione non è omofoba, che accoglie gli esseri nella loro diversità. Lei è forse sincero scrivendolo. Ma le buone intenzioni non cancellano né gli atti, né le parole, né le complicità e in questo campo l'episcopato e i suoi soldati sono diventati maestri nello stigmatizzare i gay e le lesbiche. La “famiglia” di Dio, ma dov'è questa famiglia per gli omosessuali?” (15 aprile 2013).
Riflettendo la settimana scorsa con cinque coppie omosessuali cattoliche sulla loro vita di coppia, mi fa molto male sentirli dire che oggi hanno paura ad entrare in una chiesa, paura di sentire parole offensive che li stigmatizzano e li rifiutano. Allora, dov'è lo sforzo di correzione fraterna dei responsabili della Chiesa cattolica di fronte a tutte queste dichiarazioni di cui sono informati da molte lettere ricevute che restano senza effetto?
Si può volerlo contestare e deresponsabilizzarsene, ma i fatti sono evidenti. Da diversi anni, i documenti della Chiesa cattolica, come quello del 1986, sottolineano “che le espressioni malevole o le azioni violente contro le persone omosessuali meritano la condanna dei pastori della Chiesa”.
Più recentemente, nel settembre 2012, il testo del Consiglio “Famiglia e società” della Conferenza episcopale francese, invitava al rispetto delle persone. Diversi vescovi, come Mons. Daucourt o Mons. Housset (23 ottobre 2012) hanno riaffermato recentemente che al primo posto viene il rispetto di ogni persona, nella sua dignità inviolabile, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, e che si può comprendere “che dopo secoli di emarginazione, per non dire di disprezzo, le persone omosessuali abbiano veramente sete di rispetto”.
È davvero legittimo chiedersi se tutte queste belle parole non siano solo precauzioni oratorie. Sarebbe lunga la lista delle affermazioni o della azioni malevole che non sono mai state denunciate chiaramente come sottolineo nel mio libro (Homosexuels catholiques, sortir de l'impasse, ed. de l'atelier, 2012, p. 52 e ss.) Dov'è il rispetto delle persone omosessuali? Dove sono le condanne delle espressioni malevole che sono state espresse da mesi?
Sono numerose le testimonianze che rilevano le “espressioni malevole” sentite in questi ultimi mesi, come la testimonianza di Bertrand, che scrive al parroco, dopo aver partecipato alla messa: “Il suo partito preso domenica scorsa, espresso in modo sarcastico e derisorio, ci ha profondamente offesi.
È ancora una parola debole. Offesi, perché con il suo tono, lei ha contribuito a far ridere i parrocchiani a spese delle coppie omosessuali, lei ha contribuito a promuovere una certa forma di omofobia, che le ultime parole del suo discorso non sono riuscite a mascherare”.
O ancora la domanda di Olivier Châble, in una lettera inviata al vescovo di Le Mans: “Lei mi risponderà che la sua istituzione non è omofoba, che accoglie gli esseri nella loro diversità. Lei è forse sincero scrivendolo. Ma le buone intenzioni non cancellano né gli atti, né le parole, né le complicità e in questo campo l'episcopato e i suoi soldati sono diventati maestri nello stigmatizzare i gay e le lesbiche. La “famiglia” di Dio, ma dov'è questa famiglia per gli omosessuali?” (15 aprile 2013).
Riflettendo la settimana scorsa con cinque coppie omosessuali cattoliche sulla loro vita di coppia, mi fa molto male sentirli dire che oggi hanno paura ad entrare in una chiesa, paura di sentire parole offensive che li stigmatizzano e li rifiutano. Allora, dov'è lo sforzo di correzione fraterna dei responsabili della Chiesa cattolica di fronte a tutte queste dichiarazioni di cui sono informati da molte lettere ricevute che restano senza effetto?
Denunciare fermamente le affermazioni e le azioni omofobe che si ripropongono oggi negli ambienti cattolici, sarebbe desiderabile e contribuirebbe, per una parte, a favorire a quel linguaggio di stima tanto atteso dalle persone omosessuali e dalle loro famiglie. “L'omofobia è un peccato”, ricordava nel 2007 Michel Deneken, decano della facoltà di teologia di Strasburgo, ad un congresso dell'associazione David e Jonathan.
Lungi dal garantire e promuovere il rispetto delle persone, questa radicalizzazione non denunciata attizza in modo demagogico i riflessi irrazionali di paura, di esclusione e gli istinti di violenza. Con Laurent Grzybowski, sono addolorato e preoccupato del “fossato che continua ad allargarsi tra le nostre Chiese e l'insieme della società. Come fosse uno sfogo, la Manif per tutti avrà certamente fatto del bene a coloro che vi hanno partecipato.
Avrà permesso ai più rivendicativi di esprimere le loro frustrazioni o la loro non comprensione di un mondo che cambia. Ma, nell'ora della nuova evangelizzazione, avrà contribuito a far amare Cristo e a costruire il Regno?” (15 gennaio 2013).
Véronique Margron, nella prefazione del mio libro, invitava già alla conversione: “Una conversione è richiesta qui a tutti, a coloro che si ritengono dentro e a coloro che si vivono come fuori: passare dalla ricerca ansiosa dell'approvazione tramite lo sguardo altrui per resistere in piedi, al riconoscimento fiducioso che lo sguardo del Padre, che vede nel segreto dei cuori, ci ha già giustificati, affinché siamo dei viventi e portiamo frutto”.
Le buone intenzioni non cancellano né gli atti né le parole. Aspetto questa conversione da parte di molti responsabili della Chiesa cattolica, affinché la Buona Notizia di Gesù Cristo sia onorata e affinché insieme, nella complementarietà e nella ricchezza delle nostre differenze, noi edifichiamo il Corpo di Cristo.
Lungi dal garantire e promuovere il rispetto delle persone, questa radicalizzazione non denunciata attizza in modo demagogico i riflessi irrazionali di paura, di esclusione e gli istinti di violenza. Con Laurent Grzybowski, sono addolorato e preoccupato del “fossato che continua ad allargarsi tra le nostre Chiese e l'insieme della società. Come fosse uno sfogo, la Manif per tutti avrà certamente fatto del bene a coloro che vi hanno partecipato.
Avrà permesso ai più rivendicativi di esprimere le loro frustrazioni o la loro non comprensione di un mondo che cambia. Ma, nell'ora della nuova evangelizzazione, avrà contribuito a far amare Cristo e a costruire il Regno?” (15 gennaio 2013).
Véronique Margron, nella prefazione del mio libro, invitava già alla conversione: “Una conversione è richiesta qui a tutti, a coloro che si ritengono dentro e a coloro che si vivono come fuori: passare dalla ricerca ansiosa dell'approvazione tramite lo sguardo altrui per resistere in piedi, al riconoscimento fiducioso che lo sguardo del Padre, che vede nel segreto dei cuori, ci ha già giustificati, affinché siamo dei viventi e portiamo frutto”.
Le buone intenzioni non cancellano né gli atti né le parole. Aspetto questa conversione da parte di molti responsabili della Chiesa cattolica, affinché la Buona Notizia di Gesù Cristo sia onorata e affinché insieme, nella complementarietà e nella ricchezza delle nostre differenze, noi edifichiamo il Corpo di Cristo.
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