mercoledì 15 gennaio 2014

UN PAIO DI CALZINI DI LANA


Il ghiaccio attanagliava la campagna lombarda. Gli alberi erano coperti dalla galaverna e formavano un intrico di rami spogli tutti bianchi, come un intreccio di fili di niveo cotone, passato all’uncinetto da mani esperte femminili. Delle trine candide e gelide. Uno spettacolo bellissimo ma anche terribile. La televisione aveva già annunciato che sarebbe stato l’anno più freddo da cent’anni a questa parte. Le temperature avevano raggiunto i meno diciotto e probabilmente sarebbero anche calate ulteriormente. Sembrava di essere dentro un’illustrazione del libro di Narnia: in ogni momento poteva saltar fuori la slitta guidata dalla Strega Bianca, che ti offriva una ciotola di Lokum. 

Per colpa di un sogno inquietante, si era svegliato presto e non era più riuscito a prender sonno. Tanto valeva alzarsi e farsi un bel caffè energico. Ora, Mauro era in piedi davanti alla finestra con una tazza calda di caffè tra le mani, e guardava affascinato la campagna imbiancata all’esterno. La nebbia avvolgeva ancora il panorama e gli alberi ghiacciati risaltavano contro la spessa coltre grigiastra che saliva dalla valle sottostante. Un merlo infreddolito attraversò in volo il giardino e si posò sulla cancellata di ferro. La stanza era silenziosa e immersa nella penombra del primo albeggiare. Mauro sospirò e appoggiò la tazza sul tavolino, poi prese due ciocchi di legna dalla cesta e li accese nel camino. Si sedette sul divano, coprendosi con un plaid e riprese a sorseggiare il suo caffelatte. Erano i primi giorni dell’anno nuovo, dopo l’Epifania sarebbe rientrato a scuola, insegnava lettere e latino in un liceo. L’anno prima era morta sua madre, appena quattro mesi dopo la morte del padre. Nel giro di poco più di un anno si ritrovava da solo, nella grande casa dei suoi genitori: padrone della propria vita ma anche dei suoi rimorsi. Li aveva accompagnati entrambi verso la loro partenza dal mondo, dopo l’improvvisa morte del padre e la lunga malattia della madre che l’aveva spenta pian piano, come una candela che si consuma lentamente e inesorabilmente. Gli mancavano entrambi ma se n’era fatta una ragione. Figlio unico di una coppia già anziana al momento della sua nascita, non aveva potuto avere altro aiuto se non quello di se stesso. Improvvisamente, ma quasi in punta di piedi se n’erano andati, come se non avessero voluto creare maggiori fastidi al loro figliolo. 

Le fiamme del camino lo ipnotizzavano e le palpebre si richiusero.

Quando riaprì gli occhi, una figura era seduta ai suoi piedi, sul divano accanto a lui. “Mamma?” domandò sconcertato riconoscendo la figura dell’anziana madre.

“Sono io Mauro”. Le sorrise lei: “Sono venuta a trovarti perché sono preoccupata per te. C’è qui anche papà” disse con una mossa della testa indicando verso la poltrona.

“Ciao, Mauro” lo salutò il padre, comodamente sprofondato nel suo sedile preferito. 

“Sei dimagrito” aggiunse la madre ansiosa “ti stai trascurando”.

“Finiscila Maria” brontolò il padre “non vedi che bella cera che ha?”

“Ma guarda com’è magro, Pierino!” sbuffò la madre rivolta a suo marito.

Mauro non riusciva a capacitarsi di quella situazione: “No mamma, sto seguendo una dieta, ho ripreso a correre e le ultime analisi del sangue erano perfette. Ho avuto un periodo di stress e di depressione dopo la vostra morte e il dottore mi ha consigliato di fare moto e di prendere le giuste quantità nutrizionali”.

“Bravo figliolo” lo spronò il padre “bisogna sempre tenersi in forma, anch’io ai miei tempi...”

La moglie lo interruppe: “Ai tuoi tempi hai fatto la guerra, Pierino, non correvi in giro per i campi. E poi vedi bene che cos’è successo. Ti è venuto un infarto!”. 

La mamma stava lavorando a maglia. Aveva due gomitoli in grembo, erano quasi al termine, come due palle da biliardo. I ferri da maglia danzavano nella luce della fiamma del camino, intrecciando un filo color cremisi ed uno color zafferano. Mauro sorrise, che situazione assurda! Non poteva essere reale. “Stai facendo i ferri mamma? Non hai ancora smesso?” le chiese affettuosamente.

“Sto facendo delle calze per tuo padre. Ha sempre freddo ai piedi. La circolazione non gli funziona più bene come una volta”.

“Maria! Per forza non mi funziona più la circolazione, sono morto!” ribatté il padre. “E poi non ti ho chiesto io, di farmi le calze. Sei tu, che non riesci a stare ferma con le mani. E poi non mi piace neanche il giallo, non le metterò mai”, aggiunse costui sbuffando.

Mauro scoppiò in una fragorosa risata. Battibeccavano ancora dopo la loro morte, ma era sicuro che si amassero profondamente, come da fidanzatini.

La donna brontolò qualcosa d’incomprensibile. Ci fu un attimo di quiete. La fiamma scoppiettava allegramente.

“Hai visto che inverno, Mauro? Sembra di essere in Siberia” disse il padre per rompere il silenzio. Mauro annuì silenziosamente.

“Ma se non sei mai stato in Siberia, Pierino!” esclamò la madre “ Non sai neanche dove si trova”.

“Zitta, donna! Per tua norma e regola mi sono diplomato alle scuole professionali e a quel tempo si studiava ancora la geografia”.

“Sì, le scuole professionali...” esclamò l’altra guardando il figlio furbescamente. “Le chiamavano così ma erano come la terza media di oggi”.

“Tu, intanto, non hai fatto neanche quelle” concluse il marito.

“Lassem perd, Pierino, va là” tagliò corto l’anziana signora. Il marito sbuffò di rimando. La donna riprese il lavoro a maglia e si rivolse al figlio: “Allora Mauro, stavo dicendo che siamo un po’ preoccupati per te”. 

“Sto bene mamma, davvero.” Cercò di tranquillizzarla lui: “Sono stato male, ho passato un periodo di depressione, è vero. Ma ora va meglio”. Ho anche trovato una persona che mi vuol bene e che si prende cura di me”.

“Sì, lo sappiamo, lo sappiamo” concesse la mamma. “Un bell’uomo! Molto distinto.”

Il professore arrossì violentemente. Mauro era omosessuale ma non lo aveva mai confessato ai propri genitori per evitare di dar loro l’ennesimo dispiacere. Dopo la morte della madre, preoccupato per la propria depressione, si era rivolto al proprio medico curante che lo aveva indirizzato a uno specialista del Polo Mutualistico di zona. Parlando con lui, gli aveva confessato che aveva un grande rimorso per non aver potuto dare dei nipoti ai propri genitori, per il fatto di non essere attratto dalle donne ma dagli uomini. Il dottore, un uomo di qualche anno più vecchio di lui, lo aveva seguito con professionalità ma anche con affetto, perché egli stesso era omosessuale. Grazie alle cure amorevoli di Filippo, Mauro si era ripreso pienamente e, in seguito, la loro amicizia si era approfondita e si erano innamorati. Filippo e Mauro stavano insieme da quasi nove mesi. 

 “Vedo che sapete già tutto” sospirò Mauro, pensando che il suo ‘coming out’ fosse il più strano mai avvenuto. Confessare il proprio orientamento sessuale ai genitori, solamente dopo la loro morte. Che assurdità! 

Maria alzò gli occhi dal lavoro a maglia e incrociò lo sguardo del marito con un gesto d’intesa. 

“Siete delusi di me?” chiese Mauro ansiosamente.

“E perché mai?” domandò il padre nel suo pesante accento lombardo “Ha anche un’ottima posizione!”.

“E ti vuole bene” aggiunse la madre conciliante. “Questa è la cosa più importante di tutte! Vedi, Mauro, per noi l’essenziale è che tu sia felice. Che ci sia un uomo al tuo fianco, oppure una donna, non ha importanza”.

Il padre si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla moglie. Le appoggiò una mano sulla spalla e guardò suo figlio. “Sai, Mauro, io ho avuto la fortuna di trovare tua madre. Io e lei ci vogliamo ancora bene, anche se brontoliamo tra di noi ancora adesso che non ci siamo più. Io sono convinto che tu e il dottore andrete d’accordo. Te lo auguro di cuore e se lo augura anche la tua mamma”.

“E’ vero, figliolo, io quest’uomo qui, l’ho servito e riverito per tutta la vita, ma non perché me lo avesse chiesto lui. No! A lui bastava un panino e un po’ di stracci puliti da mettersi addosso. Non mi chiedeva mai niente, non pretendeva mai niente. E la sera quando veniva a letto mi abbracciava stretta e mi ringraziava ogni sera per quello che avevo fatto per lui”.

“Invece lei mi teneva come un damerino, sempre gli abiti puliti che sapevano di sapone di Marsiglia e mi faceva la trippa che a me piaceva tanto!” aggiunse il signor Piero.

“Se sapevo che ti sarebbe venuto un infarto, mica te la facevo la trippa, Pierino!” esclamò lei incurante dell’errore verbale.

“Mica è stata la bùsecca a farmi venire l’infarto, Maria” ribatté il padre “è stata la guerra. Il patir la fame, la povertà, che mi hanno indebolito le coronarie!”

“Per lo meno ora che non abbiamo più bisogno di mangiare eviti tutti quei grassi!” le rimbrottò scontrosa la donna. Però sulle labbra aveva un dolce sorriso. “Sai, ora siamo fatti di energia” spiegò al figlio, “non abbiamo più bisogno di nutrirci. Catturiamo l’energia e la immagazziniamo dentro di noi”.

Il padre sospirò: “E’ per questo che dobbiamo quasi andare, Mauro. La consumiamo molto in fretta e ora siamo quasi esausti”.

“Non andate via, non ancora” piagnucolò il professore, per tentare di allungare il tempo della loro visita.

La madre lo guardò tristemente, aveva voglia di rimanere con suo figlio ma il tempo era ormai quasi scaduto. I gomitoli appoggiati sulla gonna della madre si erano ridotti ulteriormente, ora avevano le dimensioni di una noce.

“Comunque” riprese l’anziana madre “siamo contenti che hai trovato qualcuno che ti vuole bene. E’ di là che dorme. Lo abbiamo visto nel letto matrimoniale. Digli che con questo freddo non dovrebbe dormire nudo” le suggerì.

“Il… il piumone è caldo mamma” cercò di minimizzare Mauro, imbarazzato per il fatto sconcertante di essere stato visto dai genitori nel letto con un uomo. Quanto avevano visto dei loro incontri in quel letto? Si chiese pensieroso.

“Non veniamo spesso” disse il padre, rispondendo alla sua tacita domanda. “Ogni tanto ti veniamo a guardare mentre dormi, per non disturbarti. E comunque verremo sempre meno”.

“Abbiamo accumulato l’energia per lungo tempo, per poterti parlare e rassicurarti che siamo fieri di te e che benediciamo il tuo amore per il dottore”.

“Maria” la chiamò il marito “ dobbiamo quasi andare”.

“Ecco, ho finito” confermò la donna, alzando i calzettoni di lana per far vedere che erano completati. Sorrise al figlio.

Il padre sbuffò: “Non mi piacciono gialli. Non li metterò mai”.

“Pierino, piantala! Vuol dire che troverò qualcuno al quale regalarli” concluse lei. “Ora dobbiamo proprio andare, Mauro. Fai il bravo, mi raccomando”.

Il padre gli mise una mano sulla spalla: “Sappi che ti siamo vicini, figliolo. E non pensare che ti biasimiamo per le tue scelte. Filippo è un brav’uomo”.

“E ti vuole bene” disse la madre in un sussurro. Si alzò e raggiunse il marito ormai sulla porta della sala. “Ciao, bambino mio”.

“Vedremo di accumulare energia e di venirti a trovare ancora” promise il padre. “Ti vogliamo bene!”. Poi, come fosse entrato un filo di vento dal camino, si dissiparono nel vuoto. Un sospiro risuonò nella stanza, quasi come se avessero sigillato la loro promessa.

“Papà! Mamma!” chiamò Mauro tra le lacrime. Ma se n’erano già andati, un sospiro, una folata di vento e il vuoto gelido dell’inverno di gennaio.

Una mano si posò sulla sua spalla e Mauro si svegliò. Era stato tutto un sogno. Il volto sorridente di Filippo lo guardava. “Stavi sognando, tesoro?”

“Sì” rispose mezzo addormentato e con le lacrime agli occhi, “ho sognato che mamma e papà erano venuti a trovarmi per dirmi che avevo la loro benedizione”.

Il camino era quasi spento, Filippo si alzò e aggiunse della legna. Le lunghe gambe muscolose spuntavano dall’accappatoio pesante di spugna blu. Ai piedi aveva un paio di calzettoni color zafferano con gli intrecci rossi. Riconobbe immediatamente il lavoro appena terminato da sua madre : “Dove li hai trovati quelli?” chiese con un filo di voce.

“Cosa?”

“I calzettoni, dove li hai presi?”

“In un cassetto, avevo freddo ai piedi. Ti spiace?” chiese titubante il dottore.

“Assolutamente no, sono tuoi. Li ha fatti mia mamma per te!” rispose sorridendo. Filippo lo guardò interrogativo. Mauro picchiò la mano sul divano per invitarlo a sedersi al suo fianco. “Vieni qui amore mio, devo raccontarti una cosa. Sarà un po’ strano, forse ti sembrerò pazzo e anche io non credo di essere del tutto in me stesso in questo momento, ma voglio dirti di questo mio sogno. Che forse tanto sogno non è”.

Il vento scese dal camino e ravvivò la fiamma che crepitò forte tre volte. Mauro rabbrividì. Gli sembrò di aver udito distintamente tre semplici parole: “Vi vogliamo bene”.

6 commenti:

  1. Questo è veramente delizioso..è proprio vero..l'amore va ben oltre la morte..mi ha fatta sorridere

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  2. Grazie. Alcuni racconti li ho scritti con le lacrime agli occhi, questo è uno di quelli. E ancora adesso che li rileggo mi commuovo. Mi piace la figura dei due anziani che litigano ma si amano profondamente.

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  3. Perchè..il far sapere al proprio figlio che sono orgogliosi di lui?Sapere che sono e saranno sempre presenti nella sua vita?Chi non vorrebbe essere rassicurato ,dalle persone care..che ormai non ci sono più,?

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  4. Adoro quel telefilm e quindi il genere che hai proposto..l'unico che non digerisco è la fantascienza..ma se ci sono storie d'amore,ben venga anche quello XD

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  5. Questo racconto e' uno di quelli che preferisco, commovente, dolcissimo, la coppia di anziani genitori che appaiono in sogno al loro figlio per fargli sapere che lo amano e non lo giudicano per la sue scelte, anzi, sono felici per lui e' assolutamente adorabile. Insomma caro Eagle mi hai fatto davvero commuovere!

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