Lettera inviata da Maria a suo fratello Nicola
Carissimo Nicola, qui il sole è tramontato quasi del tutto. Il dormitorio si prepara ad un venerdì di baldoria al quale non so se parteciperò. Non sono proprio dell’umore. Siccome quando inizio a scrivere corro il rischio di essere eccessivamente prolissa.
Ti dico subito che nelle righe che seguono troverai la risposta al perché sono stata dallo psicologo l’anno scorso; al perché, quando l’otto gennaio mi hai trovata in lacrime sul mio letto, non avevi la minima idea della persona per cui mi sono ridotta in quello (questo..?) stato.
Non so se al mio riguardo, nell’ultimo periodo, o forse da sempre, ti sia posto altre domande… ma questo non è importante. L’importante è che, ad un certo punto, finalmente, si trovi la forza di dare delle risposte.
Credo che la cosa migliore sia iniziare dalla fine. In questo periodo soffro terribilmente per una relazione sentimentale conclusa ma ancora portatrice di strascichi tanto inutili quanto insopportabili. Tante volte avrei voluto chiamarti per parlartene, ma non ce l’ho mai fatta.
Specialmente quando Marta ti ha lasciato e stavi malissimo avrei davvero voluto consolarti nella più sincera delle maniere, mostrandoti che eravamo (siamo…?) compagni di dolore, perché anche io vivevo un casino assurdo nel cuore. Io potevo capirti.
Credo che la cosa migliore sia iniziare dalla fine. In questo periodo soffro terribilmente per una relazione sentimentale conclusa ma ancora portatrice di strascichi tanto inutili quanto insopportabili. Tante volte avrei voluto chiamarti per parlartene, ma non ce l’ho mai fatta.
Specialmente quando Marta ti ha lasciato e stavi malissimo avrei davvero voluto consolarti nella più sincera delle maniere, mostrandoti che eravamo (siamo…?) compagni di dolore, perché anche io vivevo un casino assurdo nel cuore. Io potevo capirti.
Ma non ha senso guardare al passato giacché solo adesso trovo il modo di raccontarti che la persona che mi ha spezzato il cuore è stata con me per un anno e mezzo, ha 24 anni, studia matematica e si chiama Monica.
Se sei davvero troppo scioccato, non preoccuparti: pensa che io lo sono stata e lo sono molto più di te. Spero questo pensiero possa supportarti nella lettura di quanto segue, insieme al fatto che in tutto questo dramma che sto vivendo il tuo viso, insieme a pochi altri, ogni tanto mi compariva dinanzi a rassicurarmi.
I momenti di massimo dolore sono sempre stati accompagnati dalla consapevolezza che in questa vita assurda che mi è toccata non sono sola. Tu, ad esempio, ci sei, ed io non voglio più escluderti dal mio dolore, se il mio dolore, ahimé, corrisponde alla mia vita.
Se sei davvero troppo scioccato, non preoccuparti: pensa che io lo sono stata e lo sono molto più di te. Spero questo pensiero possa supportarti nella lettura di quanto segue, insieme al fatto che in tutto questo dramma che sto vivendo il tuo viso, insieme a pochi altri, ogni tanto mi compariva dinanzi a rassicurarmi.
I momenti di massimo dolore sono sempre stati accompagnati dalla consapevolezza che in questa vita assurda che mi è toccata non sono sola. Tu, ad esempio, ci sei, ed io non voglio più escluderti dal mio dolore, se il mio dolore, ahimé, corrisponde alla mia vita.
Ci sarebbero così tante cose da dirti... cerco di selezionare le più importanti ed esplicative.
Monica è stata per me l’educazione sentimentale. Per tutta la vita, fino a prima che arrivasse lei, il mio più grande problema era che non riuscivo ad innamorarmi.
Eccezion fatta per quegli amori infantili che ricordo vividi tutt’ora, così forti perché privi di qualsivoglia concretezza, dal punto di vista dell’amore la mia esistenza è divisibile in due grandi parti: la parte dell’idealità, del pensiero (volgarmente: della sega mentale) era occupata un giorno a cercare con serietà e costanza il ragazzo perfetto, quello successivo a piangere amaramente per la sua evidente inesistenza, quello successivo ancora a non capire com’è che tutte le mie amiche lo avessero già trovato ed io proprio non riuscissi.
Il quarto giorno mi rimettevo in sesto e riprendevo la caccia, che non ha mai dato nessun risultato diverso dalla tanta frustrazione e da una sensazione di inadeguatezza perenne.
La parte dell’azione, della spontaneità (ovvero: della vita reale) è stata, per contro, costellata da emozioni forti, sentimenti caldi come il fuoco e dolorosi come le spine, da risate, da lacrime e poi di nuovo da risate. Elementi questi tutti tipici di ciò che la gente chiama amore, appellativo che io sono riuscita a conferire loro solo molto di recente.
E come potevo, dato che erano puntualmente indirizzati verso un oggetto di genere femminile? Ci sono voluti un percorso ancora da battere ed una quantità di dolore che temo ormai essere caratteristica della mia persona.
Tutto ciò che ti sto scrivendo è frutto di un lavoro estremamente difficile, che non è finito e forse non finirà se non con me. Da un anno e mezzo a questa parte ho dovuto fare i conti con una Maria che era sempre stata lì ma che non poteva uscire fuori per una serie di ragioni, in primo luogo per l’assenza di uno specchio su cui scrutarsi, studiarsi, interpretarsi.
Monica è stata per me lo specchio. Prima di lei avevo incrociato solo muri e cioè donne chiaramente eterossessuali che non solo non potevano ricambiare i miei sentimenti, ma che nella contigenza non servivano a darmi la minima chiarezza su me stessa: ogni volta che mi sono invaghita più o meno fortemente di qualcuna attribuivo il mio malessere ad una eccessiva sensibilità in amicizia, ad un carattere difficile, al periodo complicato, alla superficialità dell’altra e bla bla bla…sai, ho scoperto che il cuore, nelle sue gare contro la coscienza, è estroso, avveduto e fantasioso come un costumista.
Per travestire le cose sostituisce semplicemente una parola con un’altra…così per me il termine amore è stato per lunghissimo tempo un enorme tabù.
Fino al settembre 2012 ho vissuto su di un’altalena. Durante certi periodi mi sentivo tristissima per il mio non riuscire a realizzare ciò che desideravo: avere una storia, come tutte intorno a me… un ragazzo semplice e buono che mi volesse bene per quello che ero, con cui magari costruire qualcosa di serio, di importante.
Ho sempre immaginato me stessa da vecchia accerchiata da un nugolo di nipoti, naturale conseguenza dei miei figli. In altri periodi, grazie a Dio, la mia voglia di vivere e il mio senso della felicità hanno avuto la meglio.
Questi sono stati i momenti migliori, durante i quali mi sono fidata molto di Dio, mettendomi nelle sue mani e aspettando semplicemente che Lui mi facesse capire la mia strada. Non di rado ho cercato di collegare l’assenza di uomini nella mia vita con una scelta diversa, quella della castità, magari come suora o almeno come laica consacrata.
Ma ogni volta che mi sembrava di aver capito, ecco la passione terrena tornare e afferrarmi tutta. Dal punto di vista delle relazioni, ad un certo punto, in maniera molto subdola, nella mia mente l’annosa domanda ha cambiato verso: da “perché non piaccio agli uomini?” a “perché gli uomini non mi piacciono????”.
In questi termini così chiari, bada bene, la formulazione è stata recentissima…devi capire che fino a qualche mese fa tutto si è sviluppato allo stato della subcoscienza.
Ma il mio disagio cresceva e gli indizi erano sempre più inquietanti.
Ho conosciuto un centinaio di ragazzi e nessuno mai andava bene. Possibile che fosse sempre colpa loro? Quando le mie amiche mi raccontavano dei loro sentimenti, delle loro emozioni, io ribattevo che cose del genere non le avevo mai provate…ma quando poi mi ritrovavo a riflettere in me sorgeva il dubbio che non fosse proprio così…ma rapida mettevo tutto da parte, chiudevo il libro della mia vita e andavo avanti come un treno.
E poi un giorno è successo. Nel ricambiare il suo bacio la mia mente lasciava spazio a due sensazioni speculari: da una parte lo shock, il più grande che io abbia mai vissuto; dall’altra la sensazione che quanto stava accadendo era solo questione di tempo.
Le sacre Scritture e così i grandi testi delle origini, come la Commedia, ragionano spesso con il meccanismo della figura, che è una metafora continuata. Giosuè (quello che riesce a portare gli ebrei nella Terra Promessa, dopo che Abramo è morto) è ad esempio figura di Gesù, il quale a sua volta è di Giosuè l’adempimento, perché con la Sua presenza rende chiaro all’umanità cosa Giosuè volesse, quanto importante fosse il suo sforzo salvifico, che però solo Gesù porta a compimento.
Non so se si capisce, ma ho portato questo esempio retorico per provare a dirti che Monica è stata l’adempimento di un sacco di cose che nella mia vita si sono verificate realmente, ma che fino al suo arrivo io non potevo capire. Non che non volessi, perché sono stata sempre estremamente indagatrice nei confronti di me stessa. Non potevo. Non avevo gli strumenti.
E inoltre la mia formazione e la mia fede cattolica hanno complicato le cose. Per quanto mi riguarda l’omosessualità è sempre stata una cosa degli altri, che non poteva riguardarmi in alcun modo. In questo sono stata inconsapevolmente contraddittoria, perché se da una parte sono stata sempre la prima confidente dei miei amici gay (e sempre per scelta loro…era evidente che percepivano una capacità di comprensione particolare) dall’altra, dal punto di vista generale, pubblico, la temevo.
Non sai quante volte ho ripensato al nostro dialogo in cucina prima delle ultime elezioni politiche: ti avevo detto che non avrei votato PD per la questione dei diritti civili…ti avevo detto così perché ero letteralmente terrorizzata da ciò che stavo vivendo con Monica, mi pareva che tutti mi guardassero e capissero, dovevo fare di tutto per nascondermi.
All’inizio della nostra storia vivevo in un mondo che non esisteva. Tutto era surreale. Vivevo la mia vita con lei ma ero un’altra persona, mi muovevo guardandomi dal di fuori. Credo fosse lo shock. Come ti ha detto una volta Vale, la mente ha degli eccellenti meccanismi di difesa che impediscono al nostro organismo di impazzire. È verissimo!
Ci ho messo qualche mese per realizzare che quello che stavo facendo con Monica non era un videogame, non era la storia perversa di qualcun’altra, ma era la mia vita. Quando l’ho capito ho iniziato a piangere per non finire mai più. Mi sentivo maledetta! Mi sono domandata diverse volte se il mio Signore mi avesse dimenticato da qualche parte, o seppure direttamente non esistesse!
Fino a questo sono arrivata: a bestemmiare. La cosa più cattiva e violenta che ho fatto nei confronti di me stessa è stata convincermi che Gesù non mi volesse più bene…meno male che grazie alla fede e al supporto di Alberto da questo punto di vista va meglio, inizio a capire che Dio non sbaglia mai, e dal momento che di certo questa condizione non l’ho scelta io…forse l’errore sta nelle persone che ritengono di conoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato senza vivere (anche io sono stata fra quelle in passato).
Mi sono odiata per lunghissimi mesi. Lei mi stava accanto quando glielo permettevo, poi la respingevo perché avevo paura, poi la richiamavo perché mi mancava…un delirio, un assoluto delirio in cui la parte più difficile è stata quella della solitudine. Non parlavo con nessuno.
Mi crogiolavo nel processo a me stessa.
Nicola, ho rischiato seriamente di impazzire, non è un’iperbole, ho rischiato seriamente di perdere l’uso della ragione. Durante la sessione estiva l’unica cosa che mi ha salvata è stata il lavoro perché mi obbligava ad alzarmi la mattina, a vestirmi, a fare qualche cosa di utile.
Mi sono spaventata di me stessa più e più volte per la mia capacità di recitare. Uscire dalla camera e indossare la maschera era diventato il mio mestiere, tanto che iniziavo ad essere confusa: qual era la vera me?
Una settimana prima di rientrare a casa per l’estate, dopo aver passato 24 ore a piangere, ho capito che o facevo qualcosa per me stessa oppure la mia salute sarebbe stata veramente a repentaglio. Non sapevo dove sbattere la testa, volevo parlare con qualcuno ma mancandomi il coraggio di farlo ho optato per uno psicologo, che ho frequentato a Cagliari durante tutta la scorsa estate.
Non è stato un granché, ma per lo meno, finalmente, davo voce al mio travaglio… durante i primi incontri a dire la verità mica tanto, piangevo e basta.
Ma quando ho iniziato ad esprimermi ho capito che aprire bocca non corrispondeva necessariamente all’autocombustione del globo, anzi… era qualcosa di fondamentale.
Così ho iniziato un percorso… al soliloquio, spesso troppo paranoico e inconcludente, ho addizionato i colloqui di natura psicologica e quelli di natura religiosa, con Alberto.
Questi ultimi due mi hanno messa nelle condizioni di guardare a me stessa con l’occhio dell’intimità personale e non del giudice cattivo.
La mia vita è andata stravolgendosi giorno dopo giorno perché mano a mano che l’indagine su me stessa procedeva il quadro della mia persona si delineava, ed era decisamente diverso da quello che avevo sempre tratteggiato.
Diverso dal punto di vista sociale, dal punto di vista politico, dal punto di vista religioso…ma non era tanto questo a spaventarmi, quanto la paura di non riuscire ad accettarmi mai, di non riuscire a farmi accettare mai.
Per quanto riguarda me il lavoro è a buon punto, ma ancora adesso vivo dei momenti in cui credo che se sono così è perché qualcosa è andato storto durante l’infanzia, perché ho dei crediti nei confronti di mamma eccetera eccetera, insomma attribuisco la colpa a qualcuno perché non riesco ad accettare una condizione che mi spaventa e che spesso ritengo essere priva di senso.
Per quanto riguarda il mondo… sei la terza persona con cui parlo dopo Emanuela e Caterina. Sto iniziando a parlare in primo luogo perché non ne posso più di questa solitudine opprimente; in secondo luogo perché più tempo passa senza aprire bocca e più mi sento un’attrice, e niente mi sta più a cuore della verità.
In terzo luogo perché se fino al sette gennaio sono riuscita, seppure impazzendo, a barcamenarmi con tutto e tutti…non avevo messo minimamente in considerazione il fatto che Monica avrebbe potuto lasciarmi brutalmente, all’improvviso. Non immaginavo potesse essere così brutto.
Ho capito che nessuno, nessuno merita di essere lasciato e specialmente che un dolore del genere non può essere affrontato da soli. Da un certo punto di vista ringrazio Monica di avermi abbandonata perché viceversa non avrei ancora detto niente a nessuno, e chissà se e quando l’avrei fatto.
Ho scritto tantissimo, inizio ad essere molto stanca quindi cerco di dire ancora un paio di cose che mi stanno a cuore e poi ti lascio andare. A proposito di me: guardo la mia vita e mi faccio un sacco di domande. Ho un sacco di paura. Più dell’impossibilità di avere dei figli, più del dolore immenso di non poter parlare con i nostri genitori, più di tutto ho paura di non riuscire ad instaurare una relazione matura mai, conseguentemente sono terrorizzata dalla solitudine.
A proposito di te: non so quanto questa lettera sia coerente, quanto riesca a far capire di me. Spero almeno un po’. Mi è sembrato il modo migliore di metterti a conoscenza dei fatti. Grazie mille per aver letto fino alla fine.
Il motivo per cui ti ho scritto è che se la situazione fosse all’inverso, io avrei sofferto per il tuo silenzio e mi sarei sentita sottovalutata in quanto sorella. Ho capito che c’è una grossa differenza tra il ritrovarsi soli e il decidere di essere soli: se non dò alle persone che amo di più la possibilità di starmi vicino, allora sto scegliendo coscientemente la mia personale condanna.
Monica è stata per me l’educazione sentimentale. Per tutta la vita, fino a prima che arrivasse lei, il mio più grande problema era che non riuscivo ad innamorarmi.
Eccezion fatta per quegli amori infantili che ricordo vividi tutt’ora, così forti perché privi di qualsivoglia concretezza, dal punto di vista dell’amore la mia esistenza è divisibile in due grandi parti: la parte dell’idealità, del pensiero (volgarmente: della sega mentale) era occupata un giorno a cercare con serietà e costanza il ragazzo perfetto, quello successivo a piangere amaramente per la sua evidente inesistenza, quello successivo ancora a non capire com’è che tutte le mie amiche lo avessero già trovato ed io proprio non riuscissi.
Il quarto giorno mi rimettevo in sesto e riprendevo la caccia, che non ha mai dato nessun risultato diverso dalla tanta frustrazione e da una sensazione di inadeguatezza perenne.
La parte dell’azione, della spontaneità (ovvero: della vita reale) è stata, per contro, costellata da emozioni forti, sentimenti caldi come il fuoco e dolorosi come le spine, da risate, da lacrime e poi di nuovo da risate. Elementi questi tutti tipici di ciò che la gente chiama amore, appellativo che io sono riuscita a conferire loro solo molto di recente.
E come potevo, dato che erano puntualmente indirizzati verso un oggetto di genere femminile? Ci sono voluti un percorso ancora da battere ed una quantità di dolore che temo ormai essere caratteristica della mia persona.
Tutto ciò che ti sto scrivendo è frutto di un lavoro estremamente difficile, che non è finito e forse non finirà se non con me. Da un anno e mezzo a questa parte ho dovuto fare i conti con una Maria che era sempre stata lì ma che non poteva uscire fuori per una serie di ragioni, in primo luogo per l’assenza di uno specchio su cui scrutarsi, studiarsi, interpretarsi.
Monica è stata per me lo specchio. Prima di lei avevo incrociato solo muri e cioè donne chiaramente eterossessuali che non solo non potevano ricambiare i miei sentimenti, ma che nella contigenza non servivano a darmi la minima chiarezza su me stessa: ogni volta che mi sono invaghita più o meno fortemente di qualcuna attribuivo il mio malessere ad una eccessiva sensibilità in amicizia, ad un carattere difficile, al periodo complicato, alla superficialità dell’altra e bla bla bla…sai, ho scoperto che il cuore, nelle sue gare contro la coscienza, è estroso, avveduto e fantasioso come un costumista.
Per travestire le cose sostituisce semplicemente una parola con un’altra…così per me il termine amore è stato per lunghissimo tempo un enorme tabù.
Fino al settembre 2012 ho vissuto su di un’altalena. Durante certi periodi mi sentivo tristissima per il mio non riuscire a realizzare ciò che desideravo: avere una storia, come tutte intorno a me… un ragazzo semplice e buono che mi volesse bene per quello che ero, con cui magari costruire qualcosa di serio, di importante.
Ho sempre immaginato me stessa da vecchia accerchiata da un nugolo di nipoti, naturale conseguenza dei miei figli. In altri periodi, grazie a Dio, la mia voglia di vivere e il mio senso della felicità hanno avuto la meglio.
Questi sono stati i momenti migliori, durante i quali mi sono fidata molto di Dio, mettendomi nelle sue mani e aspettando semplicemente che Lui mi facesse capire la mia strada. Non di rado ho cercato di collegare l’assenza di uomini nella mia vita con una scelta diversa, quella della castità, magari come suora o almeno come laica consacrata.
Ma ogni volta che mi sembrava di aver capito, ecco la passione terrena tornare e afferrarmi tutta. Dal punto di vista delle relazioni, ad un certo punto, in maniera molto subdola, nella mia mente l’annosa domanda ha cambiato verso: da “perché non piaccio agli uomini?” a “perché gli uomini non mi piacciono????”.
In questi termini così chiari, bada bene, la formulazione è stata recentissima…devi capire che fino a qualche mese fa tutto si è sviluppato allo stato della subcoscienza.
Ma il mio disagio cresceva e gli indizi erano sempre più inquietanti.
Ho conosciuto un centinaio di ragazzi e nessuno mai andava bene. Possibile che fosse sempre colpa loro? Quando le mie amiche mi raccontavano dei loro sentimenti, delle loro emozioni, io ribattevo che cose del genere non le avevo mai provate…ma quando poi mi ritrovavo a riflettere in me sorgeva il dubbio che non fosse proprio così…ma rapida mettevo tutto da parte, chiudevo il libro della mia vita e andavo avanti come un treno.
E poi un giorno è successo. Nel ricambiare il suo bacio la mia mente lasciava spazio a due sensazioni speculari: da una parte lo shock, il più grande che io abbia mai vissuto; dall’altra la sensazione che quanto stava accadendo era solo questione di tempo.
Le sacre Scritture e così i grandi testi delle origini, come la Commedia, ragionano spesso con il meccanismo della figura, che è una metafora continuata. Giosuè (quello che riesce a portare gli ebrei nella Terra Promessa, dopo che Abramo è morto) è ad esempio figura di Gesù, il quale a sua volta è di Giosuè l’adempimento, perché con la Sua presenza rende chiaro all’umanità cosa Giosuè volesse, quanto importante fosse il suo sforzo salvifico, che però solo Gesù porta a compimento.
Non so se si capisce, ma ho portato questo esempio retorico per provare a dirti che Monica è stata l’adempimento di un sacco di cose che nella mia vita si sono verificate realmente, ma che fino al suo arrivo io non potevo capire. Non che non volessi, perché sono stata sempre estremamente indagatrice nei confronti di me stessa. Non potevo. Non avevo gli strumenti.
E inoltre la mia formazione e la mia fede cattolica hanno complicato le cose. Per quanto mi riguarda l’omosessualità è sempre stata una cosa degli altri, che non poteva riguardarmi in alcun modo. In questo sono stata inconsapevolmente contraddittoria, perché se da una parte sono stata sempre la prima confidente dei miei amici gay (e sempre per scelta loro…era evidente che percepivano una capacità di comprensione particolare) dall’altra, dal punto di vista generale, pubblico, la temevo.
Non sai quante volte ho ripensato al nostro dialogo in cucina prima delle ultime elezioni politiche: ti avevo detto che non avrei votato PD per la questione dei diritti civili…ti avevo detto così perché ero letteralmente terrorizzata da ciò che stavo vivendo con Monica, mi pareva che tutti mi guardassero e capissero, dovevo fare di tutto per nascondermi.
All’inizio della nostra storia vivevo in un mondo che non esisteva. Tutto era surreale. Vivevo la mia vita con lei ma ero un’altra persona, mi muovevo guardandomi dal di fuori. Credo fosse lo shock. Come ti ha detto una volta Vale, la mente ha degli eccellenti meccanismi di difesa che impediscono al nostro organismo di impazzire. È verissimo!
Ci ho messo qualche mese per realizzare che quello che stavo facendo con Monica non era un videogame, non era la storia perversa di qualcun’altra, ma era la mia vita. Quando l’ho capito ho iniziato a piangere per non finire mai più. Mi sentivo maledetta! Mi sono domandata diverse volte se il mio Signore mi avesse dimenticato da qualche parte, o seppure direttamente non esistesse!
Fino a questo sono arrivata: a bestemmiare. La cosa più cattiva e violenta che ho fatto nei confronti di me stessa è stata convincermi che Gesù non mi volesse più bene…meno male che grazie alla fede e al supporto di Alberto da questo punto di vista va meglio, inizio a capire che Dio non sbaglia mai, e dal momento che di certo questa condizione non l’ho scelta io…forse l’errore sta nelle persone che ritengono di conoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato senza vivere (anche io sono stata fra quelle in passato).
Mi sono odiata per lunghissimi mesi. Lei mi stava accanto quando glielo permettevo, poi la respingevo perché avevo paura, poi la richiamavo perché mi mancava…un delirio, un assoluto delirio in cui la parte più difficile è stata quella della solitudine. Non parlavo con nessuno.
Mi crogiolavo nel processo a me stessa.
Nicola, ho rischiato seriamente di impazzire, non è un’iperbole, ho rischiato seriamente di perdere l’uso della ragione. Durante la sessione estiva l’unica cosa che mi ha salvata è stata il lavoro perché mi obbligava ad alzarmi la mattina, a vestirmi, a fare qualche cosa di utile.
Mi sono spaventata di me stessa più e più volte per la mia capacità di recitare. Uscire dalla camera e indossare la maschera era diventato il mio mestiere, tanto che iniziavo ad essere confusa: qual era la vera me?
Una settimana prima di rientrare a casa per l’estate, dopo aver passato 24 ore a piangere, ho capito che o facevo qualcosa per me stessa oppure la mia salute sarebbe stata veramente a repentaglio. Non sapevo dove sbattere la testa, volevo parlare con qualcuno ma mancandomi il coraggio di farlo ho optato per uno psicologo, che ho frequentato a Cagliari durante tutta la scorsa estate.
Non è stato un granché, ma per lo meno, finalmente, davo voce al mio travaglio… durante i primi incontri a dire la verità mica tanto, piangevo e basta.
Ma quando ho iniziato ad esprimermi ho capito che aprire bocca non corrispondeva necessariamente all’autocombustione del globo, anzi… era qualcosa di fondamentale.
Così ho iniziato un percorso… al soliloquio, spesso troppo paranoico e inconcludente, ho addizionato i colloqui di natura psicologica e quelli di natura religiosa, con Alberto.
Questi ultimi due mi hanno messa nelle condizioni di guardare a me stessa con l’occhio dell’intimità personale e non del giudice cattivo.
La mia vita è andata stravolgendosi giorno dopo giorno perché mano a mano che l’indagine su me stessa procedeva il quadro della mia persona si delineava, ed era decisamente diverso da quello che avevo sempre tratteggiato.
Diverso dal punto di vista sociale, dal punto di vista politico, dal punto di vista religioso…ma non era tanto questo a spaventarmi, quanto la paura di non riuscire ad accettarmi mai, di non riuscire a farmi accettare mai.
Per quanto riguarda me il lavoro è a buon punto, ma ancora adesso vivo dei momenti in cui credo che se sono così è perché qualcosa è andato storto durante l’infanzia, perché ho dei crediti nei confronti di mamma eccetera eccetera, insomma attribuisco la colpa a qualcuno perché non riesco ad accettare una condizione che mi spaventa e che spesso ritengo essere priva di senso.
Per quanto riguarda il mondo… sei la terza persona con cui parlo dopo Emanuela e Caterina. Sto iniziando a parlare in primo luogo perché non ne posso più di questa solitudine opprimente; in secondo luogo perché più tempo passa senza aprire bocca e più mi sento un’attrice, e niente mi sta più a cuore della verità.
In terzo luogo perché se fino al sette gennaio sono riuscita, seppure impazzendo, a barcamenarmi con tutto e tutti…non avevo messo minimamente in considerazione il fatto che Monica avrebbe potuto lasciarmi brutalmente, all’improvviso. Non immaginavo potesse essere così brutto.
Ho capito che nessuno, nessuno merita di essere lasciato e specialmente che un dolore del genere non può essere affrontato da soli. Da un certo punto di vista ringrazio Monica di avermi abbandonata perché viceversa non avrei ancora detto niente a nessuno, e chissà se e quando l’avrei fatto.
Ho scritto tantissimo, inizio ad essere molto stanca quindi cerco di dire ancora un paio di cose che mi stanno a cuore e poi ti lascio andare. A proposito di me: guardo la mia vita e mi faccio un sacco di domande. Ho un sacco di paura. Più dell’impossibilità di avere dei figli, più del dolore immenso di non poter parlare con i nostri genitori, più di tutto ho paura di non riuscire ad instaurare una relazione matura mai, conseguentemente sono terrorizzata dalla solitudine.
A proposito di te: non so quanto questa lettera sia coerente, quanto riesca a far capire di me. Spero almeno un po’. Mi è sembrato il modo migliore di metterti a conoscenza dei fatti. Grazie mille per aver letto fino alla fine.
Il motivo per cui ti ho scritto è che se la situazione fosse all’inverso, io avrei sofferto per il tuo silenzio e mi sarei sentita sottovalutata in quanto sorella. Ho capito che c’è una grossa differenza tra il ritrovarsi soli e il decidere di essere soli: se non dò alle persone che amo di più la possibilità di starmi vicino, allora sto scegliendo coscientemente la mia personale condanna.
Io per me desidero una vita di pace, di serenità, di amore…e l’amore è una cosa grandissima che bisogna coltivare innanzitutto tra noi che abbiamo lo stesso sangue e che ci saremo sempre, qualsiasi cosa accada. Io sono sempre la stessa, spero davvero che tu questo lo sappia…non cambio di una virgola…sto solo imparando a fare i conti con una realtà che è più dura e complicata di quanto avrei creduto.
Se vorrai accompagnarmi in questo cammino te ne sarò grata per sempre, ma non più di quanto già te ne sia per aver letto queste pagine e per esserci, semplicemente, ogni giorno.
Ti voglio veramente molto bene, se e quando avrai voglia di parlare (anche se a distanza mi rendo conto che è difficilissimo) potrò spiegarti un sacco di cose che in questa lettera non hanno trovato posto.
Se sei confuso lo capisco perfettamente, riportare una cosa del genere su carta non è affatto facile, ti giuro che ho fatto del mio meglio. Ti prego di fare la massima attenzione con questa lettera, riponila in modo tale che nessuno possa trovarla.
Un abbraccio fortissimo dalla tua sorellina
Se vorrai accompagnarmi in questo cammino te ne sarò grata per sempre, ma non più di quanto già te ne sia per aver letto queste pagine e per esserci, semplicemente, ogni giorno.
Ti voglio veramente molto bene, se e quando avrai voglia di parlare (anche se a distanza mi rendo conto che è difficilissimo) potrò spiegarti un sacco di cose che in questa lettera non hanno trovato posto.
Se sei confuso lo capisco perfettamente, riportare una cosa del genere su carta non è affatto facile, ti giuro che ho fatto del mio meglio. Ti prego di fare la massima attenzione con questa lettera, riponila in modo tale che nessuno possa trovarla.
Un abbraccio fortissimo dalla tua sorellina
Maria
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