Che non siano solo i muri a costruirla.
Non solo gli architetti e i muratori a darle vita,
né solo gli urbanisti ad aprirla al mondo e agli uomini.
Fa’ che ad abitarla e a darle vita
siano i nostri sguardi e le nostre coscienze.
Fa’ che in essa i nostri occhi
mai non temano di incontrarsi
e le nostre coscienze sempre amino la trasparenza.
Fa’ che le nostre pupille
siano il luogo più nostro della nostra casa,
il luogo dove non ci stanchiamo mai
di innamorarci e di riconoscerci,
di crescere l’uno della vita dell’altro.
Che nella nostra casa faccia la sua tenda la parola,
il gusto di raccontarci i cammini percorsi.
Che in essa le nostre parole
sappiano farsi veramente carne e vita,
racconto e progetto.
Impedisci, Signore, che nella nostra casa
abiti il silenzio,
quello sordo della sfiducia e del conflitto,
quello gelido dell’indifferenza.
Fa’ che nessuna parola sia mai scontata,
che nessuna ripetizione nasca dalla noia,
che anche i balbettii siano amore ripetuto, stupore ritrovato.
La nostra casa sia, Signore,
la casa delle mani e dei gesti.
Che le nostre dita conoscano la tenerezza.
Che i nostri gesti sappiano sempre
del senso e del significato.
Che nulla sia perduto.
Che il nostro abbraccio conosca sempre
l’esatto equilibrio tra aprirsi e accogliere.
Solo così la nostra casa sarà luogo
di orizzonti e non di confini,
di ristori e non di fughe,
di inizi e non di diaspore,
di ospitalità e non di paura.
Fa’, o Signore, che la nostra casa sia le nostre utopie,
le nostre speranze comunicate e sofferte
e gioite insieme.
Che in essa respiri la fiducia nella vita e nella gente.
Che in essa le sconfitte siano occasione di crescita,
indicazione verso la saggia ironia.
La nostra casa sia la terra dell’ideale:
tempo e luogo dove l’astratto viva di concretezza,
dove l’ultimo sia il primo,
dove il “tu” sia il primo pronome della nostra vita.
La nostra casa sia la terra dell’ideale:
tempo e luogo dove l’astratto viva di concretezza,
dove l’ultimo sia il primo,
dove il “tu” sia il primo pronome della nostra vita.
Dacci, o Signore, la gioia di vivere anche le nostre vecchiaie
come crescita e come innamoramento,
come cammino che sempre più ci unisce
conducendoci a Te.
La nostra casa sia, allora, il tempo
dell’imminenza e dell’immanenza,
del Natale e della Resurrezione,
così che anche le nostre delusioni e le nostre morti
siano attesa, memoria e profezia del Tuo abbraccio,
fino a esserne
- con la tua grazia e nel Tuo perdono -
simbolo e sacramento.
Quando, Signore, vedremo il Tuo volto,
fa’ che nei Tuoi occhi possiamo ritrovare,
ancora più bella e vera e nostra,
la casa delle nostre giornate e delle nostre notti.
Che nel Tuo sguardo la nostra casa risorga
come carne e corpo dei nostri legami
e del nostro aprirci quotidiano alla vita.
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