Il valletto entrò dopo aver bussato discretamente sull’uscio del mio ufficio e dopo aver udito il mio permesso a entrare.
“Signor Ministro, Sua Maestà, il Principe, richiede la Vostra presenza”.
“Comunicate a Sua graziosa Maestà che mi presenterò immediatamente, Carlo”.
Mi rassegnai a dover rileggere gli atti durante quella notte e a firmarli il giorno successivo. Ormai erano le sette di sera. Dopo l’incontro con il Principe, mi sarei dovuto preparare per la cena: chissà a che ora sarei riuscito a coricarmi. Misi da parte gli incartamenti e li chiusi nella cassaforte, lontano da occhi indiscreti. Fuori era già buio. Mi guardai nello specchio, abbottonai il giustacuore che avevo allentato mentre lavoravo, aggiustai il colletto della camicia e infilai la marsina. Passai una mano sui miei capelli per sistemarli un poco e mi spruzzai qualche goccia di colonia. Il caldo cominciava a farsi sentire e non volevo certo presentarmi a Sua Altezza, puzzando come uno scaricatore.
Raggiunsi le sue stanze e il valletto mi aprì la porta, annunciando al nulla, la mia visita. Nessuno era presente nella stanza. Mi stupii ma non dissi niente. Aspettai che il valletto chiudesse la porta e quindi chiamai senza alzare la voce: “Maestà?”
Sentii la voce del mio Signore provenire dall’altra stanza: “Sono in camera, mio caro amico, venite pure”.
Entrai nella camera privata di Sua Altezza e mi sorpresi di trovarlo da solo, il suo bel corpo era reclinato nella tinozza da bagno, un lino era steso sopra la vasca per coprire, con pudore, le parti inferiori delle sue nudità.
Non era certo la prima volta che venivo introdotto alla presenza del Principe mentre faceva il bagno, ma ogni volta la vista del suo corpo muscoloso mi causava problemi di respirazione. Senza accennare ad altri evidenti e imbarazzanti ingrossamenti nel mio inguine traditore. In più, non mi era concesso voltare le spalle a Sua Altezza ed ero obbligato a rimanergli di fronte, mostrando le parti del mio corpo che, ubbidienti come la fanteria, facevano l’attenti davanti a Lui, ingrossando i miei pantaloni in maniera molto eloquente. Odiai la moda del momento che ci obbligava a vestire i calzoni aderenti sotto il giustacuore ricamato.
“Mio Signore, non sapevo che stesse prendendo un bagno; se vuole, posso tornare più tardi” dissi inchinandomi e cercando di sembrare il più naturale possibile.
“Mio caro Umberto, mi sembra di averla fatta chiamare io” mi rispose con uno sguardo indagatore “non ha bisogno di scusarsi”.
“Ha ragione, Altezza Reale, mi perdoni per l’impertinenza” tenni gli occhi al suolo per evitare di guardare quel torace forte e muscoloso e i suoi pettorali definiti, coperti da una fitta peluria scura.
Scoppiò in una risata. “Quanto siete professionale, mio caro ministro”.
Non osai controbattere. Osservai l’amato volto del mio Principe, i suoi occhi erano talmente belli da assomigliare a quelli di un rapace. Li aveva acquisiti dalla splendida madre spagnola. Immediatamente compresi perché i suoi cugini Iberici lo avevano soprannominato “La Real àguila Guillermo”: la Regale Aquila Guglielmo.
“Ed in più,” riprese il Principe “per me siete come un libro aperto. Conosco le vostre mosse e le vostre parole ancor prima che le abbiate pronunciate. Siete prevedibile, ma questa è una delle doti che più apprezzo in voi”.
Non sapevo se essere contento oppure arrabbiato per la sua affermazione.
“Mio Signore?”
“Certo.” mi spiegò quasi amorevolmente “La vostra prevedibilità è sinonimo di linearità con le mie stesse azioni e parole. Ciò significa che siamo sulla stessa lunghezza di pensiero. E questo significa che mi posso fidare completamente di voi, mio caro amico” rilevò con un sorriso.
“Maestà, la ringrazio per queste parole. Mi riempiono di orgoglio.” Ribattei umilmente, sempre tenendo gli occhi sul tappeto persiano che copriva il pavimento di legno lucido.
“Accomodatevi” mi ordinò con gentilezza.
L’unica sedia nella stanza era posta contro il muro, mi sedetti e accavallai una gamba sull’altra, grato di poter nascondere il soldatino che avevo nei pantaloni aderenti.
“Venite più vicino, Umberto”
Presi la sedia e la portai un poco più avanti.
“Mio caro amico, devo confidarvi una cosa e non voglio che orecchie indiscrete possano sentire. Avvicinatevi di più. Qui. Accanto alla vasca”.
Imprecai mentalmente e portai la sedia accanto alla tinozza. Sentivo il profumo del sapone di Marsiglia che il mio Signore stava usando; il cavallo dei miei pantaloni si restrinse ancora di più.
In tutta risposta il Principe si passò lascivamente la spugna sulle grandi spalle, mettendo in evidenza i trapezi poderosi. Da dove ero, potevo vedere il suo addome scolpito e seguire il fitto sentiero di peli che attraversava gli addominali, per poi tuffarsi nell’acqua torbida insaponata. Era un tormento. Un delizioso tormento.
Deglutii rumorosamente.
“Ciò che vi sto dicendo, mio caro amico e ministro, non dovrà uscire da questa stanza. Ma questo non dovrei neanche dirvelo. Conosco bene la vostra fedeltà alla Corona”, aveva impercettibilmente calcato la voce sule due parole che mi descrivevano: “amico e ministro”. Ciò era un’implicita dichiarazione per farmi comprendere che, quanto mi avrebbe comunicato, mi veniva affidato nella duplice qualità di amicizia e di professione.
M’inchinai per sottolineare la mia assoluta fedeltà. Non tanto alla Corona. Odiavo suo Padre, un Re ignorante e bigotto che non aveva mai fatto nulla per il Regno, se non andarsene in giro a ingravidare sguattere, contadine e puttanelle. Ma del mio Signore, del mio Principe Guglielmo, ero profondamente innamorato. Abile condottiero, fiero statista, uomo caritatevole e giusto; ogni qualità che risiedeva in Lui e che lo rendeva così meraviglioso ai miei occhi, era completamente assente nel suo panciuto e lascivo padre.
“Dovrete dare le dimissioni da ministro”.
L’affermazione mi investì in pieno petto. Come? Mi aveva appena detto che si fidava ciecamente di me. Per quale motivo? Dove avevo sbagliato? Era la mia rovina. Certo qualcuno dei miei nemici aveva nascostamente tramato contro di me e mi aveva inviso agli occhi della Casa Reale.
Dovevo essere sbiancato perché il mio signore urlò immediatamente: “Respirate, Umberto!” il Principe si alzò un poco dalla tinozza allarmato, stringendomi la spalla. “Che sciocco sono stato a non prepararvi bene alla notizia. Prendete i sali, amico mio, annusate e respirate a fondo”.
Era sinceramente spaventato.
Cominciai a respirare profondamente, cercando di calmarmi come mi era stato suggerito.
“Ecco, mio caro, così va meglio” disse calmandosi un poco anche lui “Perdonatemi. Perdonatemi, dovevo spiegarvi che per voi sarà una promozione a un titolo nobiliare. Il fatto è questo: mi verrà concesso il titolo di Re di un paese dell’America Latina che è soggetto alla corona spagnola, essendo erede da parte materna. Dunque, dovrò spostarmi in quelle terre ricche e fertili. E’ inutile rimanere qui in patria con i rumori di guerra d’Indipendenza che si stanno alzando su più fronti. Non che sia un codardo, lo sapete bene, ma il Regno è nelle mani di mio Padre e non vuole abdicare. Mi vedo costretto ad accettare questa corona all’estero e recarmi nelle nuove terre. Siccome mi siete caro come nessun altro, vorrei portarvi con me e per compensarvi della vostra compagnia, donarvi il titolo di Duca, mio caro Umberto”.
Balbettai qualcosa, l’emozione era troppa. Un titolo nobiliare, il mio dolce Principe che mi voleva con sé e che diceva di volermi bene come a nessun altro: “Mio caro Principe… mio Signore… Altezza Reale…”.
“Non dovete essere precipitoso, mio caro” cercò di tranquillizzarmi nuovamente ”Se non vorrete seguirmi, capirò la vostra decisione. Però valutatela, prima di decidere. Non avete famiglia o parenti stretti, ma se volete portare qualcuno con voi, ditemelo e procederemo. Ma vi prego, vi scongiuro, mio caro Umberto. Venite con me. So che mi volete bene, che in qualche modo mi amate.”
Il suo tono era quasi una supplica. Il Principe che chiedeva, supplicando, la mia presenza al suo fianco, questo era troppo.
“Mio Principe e Sovrano. Sarò ben felice di seguirvi. I miei anziani genitori sono ormai morti da tanti anni e la sorellina che avevo nell’età infantile, mi è stata portata via dalla tisi ancor prima di loro. E’ vero, lo sapete bene Mio Signore, non ho nessuno al mondo, se non qualche servitore e pochi amici che disilludo sempre, perché legato al lavoro del mio Ministero”. Sentii un groppo in gola e deglutii, cercai di continuare singhiozzando: “Lo sapete bene, mio Principe, che vi amo e che farei qualunque cosa per voi. La vostra offerta è talmente grande, che anche il mio affetto per voi è ulteriormente aumentato e, sì, vi seguirò mio Re. Non ho bisogno di valutare la vostra proposta. Ogni attimo accanto a voi mi è prezioso perché vi amo, mio Signore”.
Mi prostrai ai suoi piedi piangendo di felicità… be’ ai piedi della vasca da bagno, a onor del vero. Le lacrime rigavano il mio volto e la stanza era rotta solo dai miei singhiozzi incessanti.
Pian piano, mi ripresi un poco e mi accorsi del silenzio del Principe. Alzai lo sguardo e vidi che anche lui era in lacrime. Ero senza parole. Un Principe non si faceva mai vedere in lacrime dalla propria servitù, anche se di alto rango come me.
“Umberto, la vostra fedeltà e il vostro affetto mi sono di gran conforto, in una corte che trama continuamente dietro le nostre spalle. Quanto è fragile la ricchezza dell’uomo sulla terra! Siamo amati palesemente e nascostamente odiati; adulati apertamente e denigrati segretamente; osannati e allo stesso tempo derisi e maledetti. Ben la conobbe la doppiezza dell’anima umana, il nostro Signore Gesù Cristo. Ma solo di una cosa sono sicuro, mio caro, carissimo Umberto, della tua lealtà e della tua amicizia”. Aprì gli occhi e mi guardò fissamente. “Alzati in piedi, non voglio tu stia così prostrato di fronte a me. Sei il più degno degli amici, e gli amici si amano, non si adorano”.
Mi alzai come mi aveva così generosamente chiesto il mio Signore. Presi il fazzoletto nella marsina e mi strofinai gli occhi. Poi, come un novello Poseidone, Sua Altezza Reale sorse dalle acque in tutta la sua magnificenza. Non si dette peso di coprire immediatamente le proprie nudità. Abbassai immediatamente lo sguardo a terra. La mia erezione, che si era un poco addormentata durante il colloquio, riprese vigore e spinse nei pantaloni. Ero consapevole dell’oscenità del mio desiderio ed arrossii. Il Principe se ne accorse.
“Noto che il vostro affetto supera il limite del semplice attaccamento amicale, mio caro Umberto” affermò il mio Signore con un sorriso che gli sfiorava le belle labbra carnose.
“Maestà, perdonatemi. La mente comanda il corpo ma la lussuria interrompe i suoi ordini”.
“Non potete comandare su tutto, signor Ministro” mi rimproverò bonariamente. “Posso farvi una domanda impertinente?”
“Sono vostro servo, Altezza” ero un po’ spaventato ma non potevo negare il permesso.
“E’ questo dunque il motivo per il quale non vi siete mai sposato?”
Annuii impercettibilmente.
“Quanti anni avete, mio buon amico? Trentacinque? Quaranta?”
“Trentotto il prossimo ottobre, mio Signore. Tre anni meno di Vostra Maestà”. Del resto ero il Primo Ministro: ne ero a conoscenza perché ogni anno stilavo l’elenco degli invitati alla sua festa di compleanno che doveva essere celebrata ai primi di luglio.
“Non vi siete mai chiesto il motivo per il quale anche io non abbia preso moglie, Umberto?”
La domanda aveva un’unica risposta, palese e del tutto ovvia, ma non potevo rispondere sfacciatamente.
“Non è affar mio, Altezza”.
“E invece dovrebbe, poiché è per questo motivo che vi voglio portare con me” concluse.
“Perdonatemi ma non riesco a seguire il filo del dibattito” dissi confuso.
“Non ponete limiti al vostro acume, Umberto!” mi rimproverò sorridendo, “Siete un uomo intelligente. So benissimo che comprendete dove voglio andare a parare”.
Certo che lo avevo capito. Non mi capacitavo però di come potesse desiderarmi il mio Signore, così come lo desideravo io stesso.
Prese il lino e se lo legò in vita, nascondendo le sue nudità: finalmente e ahimè. Usci dalla vasca e mi si avvicinò. La sua mano sinistra si appoggiò al mio fianco, percorrendo i miei lombi e avvicinandomi a lui. Mi sovrastava di una buona spanna, era un uomo grande e muscoloso, un forte condottiero. Sentivo la sua stretta forte, le sue braccia muscolose che mi abbracciavano come avevo sempre sognato che accadesse.
“Guardatemi, Umberto” alzai il volto su di lui. Le sue labbra erano ad un passo dalle mie. Rimasi zitto, incapace di credere a quanto stava per accadere. “Se ho sbagliato, perdonatemi, mio amato amico; ma se il mio ragionamento è corretto, vorrei potervi baciare”.
“Non sono in posizione di potervi comandare, Mio Signore. Posso aggiungere però che è quello che desidero. Che ho sempre desiderato”.
Percorse la poca distanza che separava le nostre labbra e mi baciò intensamente. Mi sorprese la dolcezza del suo tocco. Ero come un fuscello tra le sue braccia, mi avrebbe potuto uccidere con un gesto di quelle grandi mani, staccando la mia testa dal collo, ed invece era così dolce, sensuale. Le sue labbra sorprendentemente morbide, in un uomo tanto possente. Forse stavo morendo veramente, ma com’era bello morire tra le braccia del mio Signore!
La mia mente si perse in quell’istante sublime, non pensai più a nulla e temevo di perdere i sensi. No, non potevo svenire! Non volevo perdermi un istante di quel bacio. Per anni avevo ammirato nascostamente il mio Principe, innamorato di lui come un adolescente. Ora, finalmente, potevo godere del suo sapore e del suo affetto. Staccammo le nostre labbra con riluttanza, mi mancava il fiato.
"Allora? Verrai con me in America Latina, Umberto?” mi domandò con passione. Una luce irradiava quei suoi begli occhi da predatore rapace.
“Verrei con voi fino alla fine del mondo, Principe Guglielmo” ribattei, sospirando con la stessa passione e con profonda convinzione.
“Bene, perché è proprio laggiù che andremo” mi sorrise e, prima di baciarmi nuovamente, aggiunse:
“Insieme, fino alla fine del mondo”
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