Lehahiah, o Lehehiyah, è il 34esimo Soffio e il secondo raggio angelico nel Coro marziano degli Angeli Potestà, nel quale amministra le energie di Saturno. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dal 15° al 20° della Vergine ed è l'Angelo Custode dei nati dall’8 al 12 settembre. I sei Angeli Custodi della Vergine sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone acute, comunicative, servizievoli, laboriose e precise.
Il nome di Lehahiah significa “Dio di conoscenza” o "Dio clemente"
Il dono dispensato da Lehahiah è la RETTITUDINE.
Dice Haziel che questo Angelo concede i suoi doni e poteri all'individuo perché questi li metta a disposizione di qualche figura di valore, o storicamente importante, per assisterla con devozione, rispetto, serietà, lealtà e disciplina, ed esserne in cambio generosamente ripagato. Nella vita quotidiana questa prerogativa si traduce nella tendenza, per i protetti da Lehaiah, a godere della piena fiducia da parte dei superiori, che in ambito professionale concederanno loro ogni genere di ricompensa legata al lavoro. Questo Angelo ama chi lavora duramente, ma concede la completa sicurezza nella continuità dell'impiego. I suoi protetti dovranno restare a stretto contatto con i loro capi, poiché l'ascesa dei superiori implicherà anche la loro; e con l'aiuto dell'Angelo potranno raggiungere posizioni invidiabili. Dice Haziel che Lehahiah struttura mirabilmente la vita materiale e se invocato imprime una forte accelerazione a tutte le nostre azioni. La sua energia propizia l'affermazione del grande industriale, dell'uomo che scolpisce la propria opera con tutta la forza dell'ambizione; ogni cosa, nella vita delle persone da Lui protette, avrà una sfumatura militare. Quest'Angelo conferisce forma definitiva al progetto che la persona difende ardentemente, possibilmente ad indirizzo nobile ed elevato. Protegge i re e i principi, assicurando solidità al regno e inducendo i sudditi alla lealtà che si prova verso coloro di cui si riconosce il carisma.
Secondo la Kabbalah, tre versetti dell'Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 del capitolo 14. Riguardo all'origine precisa delle lettere nel trigramma di questo Nome la lettera Lamed (aiguillon de boeuf) proviene da: "l'Angelo di Dio che stava davanti al campo di Israele si mosse e si mise dietro di loro" (Esodo 14, 19). La He (finestra), da: "questa nube da un lato (cioè per alcuni) era tenebrosa, dall'altro (cioè: per altri) rischiarava la notte" (Es. 14, 20). La Heit (barriera), da: "e l'Eterno ritirò il mare con forte vento da Oriente" (Es. 14, 21). Ne esce l'immagine di una dirittura spirituale che consente di adattarsi a tutte le situazioni. Questi segni suggeriscono anche che l’energia di questo angelo aiuti a mantenersi calmi nei momenti in cui potremmo farci prendere dalla collera: Lehahiah è infatti considerato anche l’angelo del placarsi.. viceversa (non per niente) l'angelo avversario induce proprio violenza e collera!
La radice lamed-he-heth contiene il concetto la mia crescita spirituale cerca la sua legge sempre più in là. Sibaldi descrive questa dinamica dicendo che i protetti di questa Potestà crescono come bambini, per tutta la vita. Il mondo, la mente, il corpo – anche il loro proprio corpo – sono e rimarranno sempre, per i Lehehiyah, luoghi di scoperte: ciò che ne sanno oggi, lo supereranno domani; e qualunque cosa ne possano imparare dagli altri, diverrà per loro una sfida ad andare oltre. Era un Lehehiyah l’esploratore Henry Hudson, che nel Cinquecento cercava il passaggio a Nordovest del continente americano, per allargare ancor di più i confini del mondo conosciuto; e Lev Tolstoj, che fino a ottant’anni continuò a distruggere sistematicamente le certezze altrui, senza che né le persecuzioni del regime, né la scomunica della sua Chiesa bastassero a fermarlo; e Riccardo I, detto Cuor di Leone, che non riusciva proprio a restarsene seduto sul suo trono, tanto lo attiravano le imprese sempre nuove: in Palestina, a Cipro, in Francia; e Jesse Owens, l’atleta nero che a Berlino, nel 1936, non si limitò a far infuriare il Führer battendo gli ariani nei cento metri, ma come per dispetto vinse subito dopo altre tre medaglie d’oro. Vincere, anzi trionfare, è appunto una delle esigenze fondamentali dei Lehehiyah. Non si accontentano dell’emozione del limite infranto, vogliono conquistare il vasto territorio che si apre più in là; non basta, a loro, dimostrare che un’opinione o una teoria altrui è insufficiente, ma ne strutturano dettagliatamente una nuova – che poi puntualmente supereranno ancora, di lì a non molto. Quale che sia il campo a cui abbiano scelto di dedicare le loro ricerche (ricerche scientifiche o di nuove forme espressive, di primati da battere, di nuovi mercati o di una nuova morale), diventano perciò con grande facilità individui di spicco. Li aiuta, in questo, anche l’abilità con la quale sanno farsi valere, suscitando irresistibilmente il rispetto sia dei colleghi sia anche, e soprattutto, dei superiori. I capi, in particolare, li amano: avvertono, nei Lehehiyah, un modo di pensare simile al loro, una competenza dirigenziale, e non è raro che accanto a un direttore generale, o sindaco, o presidente di qualcosa si trovi un consigliere o magari un coniuge o un amante nato in questi giorni, che dà consigli e comunica energia. I Lehehiyah si accorgono presto di avere questa prerogativa con i potenti, e di solito sanno sfruttarla bene. Più avanti (superandosi sempre, com’è loro uso) arrivano anche a intuirne le ragioni profonde: nei capi essi proiettano quello che è il vero motore e il vero obiettivo della loro crescita perenne: il loro Atman, il Sé, come direbbero gli psicologi. Si accorgono cioè di vedere, nei superiori, la parte migliore di se stessi: vi scorgono qualità che loro stessi hanno e che devono sviluppare, o modi efficaci di correggere qualche difetto che in se stessi hanno notato. E questa identificazione esercita un inconscio potere fascinatorio a cui nessun capo riesce a sottrarsi. Ma non appena i Lehehiyah si accorgono di questa dinamica, cessano di averne bisogno: la loro crescita diviene allora un autonomo slancio dello spirito e trova forme sempre più anarchiche e innovative, tali che nessuno status quo può più contenerle. Allora, veramente, cominciano a cambiare il mondo, come avviene a molti protagonisti tolstoiani e come avvenne a Tolstoj stesso nella seconda metà della sua vita. Due gravi rischi minacciano tuttavia questa bella evoluzione dei Lehehiyah. Il primo è la collera, insidia immancabile di ogni crescita spirituale. La loro insofferenza per la routine può trasformarsi in un’indignazione, in un odio addirittura, per coloro che nella routine si sono rassegnati a vivere: questo è, da ogni punto di vista, un errore, un voltarsi indietro invece di guardare avanti, un fermarsi a esigere l’approvazione di chi non ha e non comprende le loro doti. È una debolezza che nasconde, in realtà, una paura delle altezze che il Lehehiyah potrebbe raggiungere. Ma è anche una tentazione fortissima: l’indignazione inebria, è emozionante sentirsi eroi, profeti, davanti alla gente che ancora non sa. Il guaio è che quella gente è, nel mondo, una schiacciante maggioranza, e un Lehehiyah che si abbandoni alla collera nel guardarli può precipitare facilissimamente nella disperazione, se non ha modo di farsi ascoltare come vorrebbe, o persino nella spietatezza verso i suoi sottoposti, se nel frattempo ha acquisito un qualche potere (come avvenne per Marcos, dittatore delle Filippine), o magari verso i parenti, se il Lehehiyah è il capo famiglia. L’altro rischio è il ripiegarsi su se stessi, il trasformare la voglia di superare i limiti altrui in un’eccessiva attenzione per i propri. Il vigore con cui i Lehehiyah sanno distruggere le vecchie certezze diviene allora una dolorosa ansia di perfezione personale che fa di ogni loro difetto, anche minimo, un problema assurdamente enorme. Il perfezionismo è un sintomo di nevrosi, un segnale di allarme: per i Lehehiyah – anche per i più dotati fra loro – può diventare una passione infinita da cui, senza accorgersi, si lasciano avvolgere, come da un vortice. L’introversione ossessiva che ne deriva può portarli alla paralisi esistenziale. Il Lehehiyah Cesare Pavese imboccò a un tratto questa strada e, pur con tutta la grandezza del suo animo, non riuscì più a uscirne. L’antidoto sarebbe semplice: un po’ di autoironia, di leggerezza, nel pensare a se stessi; ma occorre cogliere per tempo i sintomi del perfezionismo, prima che le enormi energie dei Lehehiyah se ne lascino ipnotizzare.
Qualità di Lehahiah e ostacoli dall'energia "avversaria"
Lehahiah sviluppa la capacità di ascolto, disponibilità, comprensione, obbedienza; altruismo, fedeltà, serietà. Comprensione delle Leggi divine. Capacità di rendersi preziosi ai superiori; senso dell’ordine e della disciplina; rigore. Dona inoltre la capacità di riappacificare i contendenti e la facoltà di placare ogni sorta di violenza e ira. L'Angelo dell'Abisso a lui contrario si chiama Raner e rappresenta la violenza e la collera pericolosa. Provoca discordia, liti, guerra e rivoluzione.
Meditazione associata al Nome
La meditazione associata a Lehahiah si chiama chiama "relativizzarsi". Secondo la Kabbalah, infatti, la vibrazione di queste lettere consente di percepire come tutto quello che vediamo nella vita materiale altro non è che un'emanazione dell'Albero della Vita e concede, attraverso un'intima tensione, di collegarsi trascendendo l'ego: cioè relativizzando tutto quello che crea attaccamento alle nostre opinioni e riducendo così i blocchi e la staticità che ne discendono.
Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per la Luce di questo Nome trascendo il mio ego e mi tendo verso l’Albero della Vita. Ora che mi distacco dall’ego la felicità riesce a raggiungermi. Io lascio cadere la testardaggine e coltivo l’arte di non boicottami da solo.
Esortazione angelica
Lehahiah esorta a orientare le proprie energie verso un progetto universale, diventando coscienti delle proprie potenzialità e mettendole al servizio del bene comune.
Giorni e orari di Lehahiah
Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Lehahiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 10 febbraio, 24 aprile, 7 luglio, 20 settembre, 1 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come "angelo della missione", le energie dalle h.11.00 alle 11.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l'orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Lehahiah è il 3° versetto del Salmo 130: Speret Israel in Domino ex hoc nunc et usque in saeculum (spera Israele nel Signore, ora e sempre).
Esortazione angelica
Lehahiah esorta a orientare le proprie energie verso un progetto universale, diventando coscienti delle proprie potenzialità e mettendole al servizio del bene comune.
Giorni e orari di Lehahiah
Se sei nato nei suoi giorni di reggenza Lehahiah è sempre in ascolto per te; ma in particolare le sue energie si schiudono nelle date del tuo compleanno e negli altri 5 giorni che ti sono dati dal calcolo della Tradizione. Suoi giorni di reggenza sono anche: 10 febbraio, 24 aprile, 7 luglio, 20 settembre, 1 dicembre; ed egli governa ogni giorno, come "angelo della missione", le energie dalle h.11.00 alle 11.20. Assiste perciò, in particolare, anche i nati in questi giorni e in questo orario, in qualunque data di nascita, ed è questo l'orario migliore in cui tutti lo possono invocare. La preghiera tradizionale rivolta a Lehahiah è il 3° versetto del Salmo 130: Speret Israel in Domino ex hoc nunc et usque in saeculum (spera Israele nel Signore, ora e sempre).
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